(24 GIUGNO 1871)
Raggia di luce un riso
Da i marmi che d’argiva anima infusi
Vivono dèi ne le medicee sale,
Un fremito improviso
5 Corre lungo i severi archi dischiusi
De l’alta Santa Croce, or che immortale
De’ numi e de’ poeti a le serene
Sedi il molto aspettato Ugo riviene.
O vate che nel canto
10 La bellezza e la morte e di Mimnermo
Il senso al pianto del Petrarca annodi,
Vieni e posa nel santo
Luogo di gloria, nel solenne ed ermo
Tempio de’ padri; al tumolo custodi
15 Son qui l’itale muse, e la divina
Venere arride in vetta a la collina.
Di rose e laüreti
Ella ti adorna con eterne feste
Le note a l’Alighier contrade austere,
20 E i colli e gli oliveti,
Che il tuo verso di luce anco riveste,
Come la luna, a le odorate sere
Che forse nel desio de la tua lira
Da Bellosguardo il rosignol sospira.
25 Chi a le libere muse
Puro si addisse e per l’augusto vero
Spregiò vulghi e tiranni e ’l fato a prova,
Chi al popol suo dischiuse
Dal cor profondo e da l’ingegno altero
30 L’onda e la luce de la vita nova,
Ben posa qui da la mortal fatica
A l’ombra de la grande Italia antica.
Vivi tu, conscio spirto,
Forse, e da i verdi elisi, ove te Dante
35 Per mano addusse al gran veglio smirnèo
E tra l’ombroso mirto
Saffo ti ride e in gioventù raggiante
Teco d’armi e d’amor favella Alceo,
Rivóli ombra placata, e de’ nipoti
40 Ascolti il lacrimoso inno ed i vóti?
O ver nudo pensiero
Vivi ne l’universa alma che solve,
Rinnovellando ognor, le forme antiche?
E noi, te di severo
45 Culto onorando ne la muta polve,
Questa diva onoriamo umana Psiche
Che i secoli, varcando, adempie e schiara?
Pietra a i servi le tombe, a noi son ara.
Ma di Carrara i monti
50 Marmo non dan che paghi la ferita
Del poeta e i dolori ignoti e soli,
O belle ardite fronti
Ove s’impenna il sogno or de la vita,
Se quindi a voi gentil desio non voli,
55 Gentil desio di glorie e di dolori:
O gioventù d’Italia, in alto i cori!
Meglio le ingiurie e i danni
De la virtude in solitaria parte,
Che assidersi co’ i vili a regia mensa:
60 Meglio trascorrer gli anni
Ne l’ombra de l’oblio, che vender l’arte
A cui d’ignobil fama aure dispensa:
Meglio i nembi sfidare al monte in cima,
Che belar gregge ne la valle opima.
65 Co ’l bello italo regno
Non crebber l’alme, e per più largo cielo,
Qual farfalletta in cui formazion falla,
Svolazza il breve ingegno:
Giacquer gli eroi; sogghigna, e senza velo
70 La fronte oscena e la deforme spalla
Da la verga d’Ulisse illividite
Su ’l tumulo d’Aiace erge Tersite.
Qual gittò fra le genti
Pensier l’Italia? in su l’antica fronte
75 Qual astro ride a l’avvenir d’amore?
Alte parole, e lenti
Umili fatti! Ahi, ahi; mal con le impronte
De le catene a i polsi e più nel core,
Mal con la mente da l’ignavia doma,
80 Mal si risale il Campidoglio e Roma!
Patria di grandi e forti,
Il tuo fato qual è? Se tal risponde
A gli avi suoi tuttor questa mal viva
Gente, l’ossa de’ morti
85 A che gravar di marmi? Io l’onde a l’onde
Impreco avverse in su la doppia riva,
E da i ridesti in Apennin vulcani
Pioggia di fuoco a i nostri dolci piani.