RILEGGENDO LE OPERE DI VITTORIO ALFIERI
Te non il canto che di tenue vena
Lene a gli orecchi mormora e deriva
Né sottil arte di servil camena
Lusinga, o diva.
5 Te giova il grido che le turbe assorda
E a l’armi incalza a l’armi i cuor cessanti,
Te le civili su la ferrea corda
Ire sonanti:
E sol tra i casi de la pugna orrendi
10 E flutti d’aste e fulminose spade
Nel vasto sangue popolar discendi,
O libertade.
Tal t’invocava su la terra attèa
Trasibul duro ne’ dubbiosi affanni,
15 E cadean ostie a la cecropia dea
Trenta tiranni:
Tal, sollevato il parricida acciaro,
Teste di regi consecrando a Dite,
Bruto e Virginio un dì ti revocaro
20 Diva quirite.
Ma quale inermi a te le mani porge
Di tra una plebe che percossa giace
Non del tuo viso l’alma luce ei scorge;
Ma senza pace
25 Assidua larva tu lo premi: ei vola
Tra le tue pugne co ’l desio veloce,
E muto campo gli è il pensiero e sola
Arme la voce.
Tale il tuo nume nel gran cor portando
30 Correva Italia l’astigiano acerbo,
E trattò il verso come ferreo brando,
Vate superbo:
Te fra gli avelli sotto il ciel romano
Chiamava; e il nome giù per l’aer cieco
35 Cupo rendeva a lui dal vaticano
Vertice l’eco.
Tu l’implacato allór flutto d’Atlante
Rasserenavi de le die pupille:
Aspri deserti sotto le tue piante
Fiorian di ville.
Quindi crollando la corusca lancia
Saltasti in poppa a i legni di Luigi,
E ti scortaro i cavalier di Francia
Dentro Parigi.
45 Ma noi te in vano al tuo già sacro ostello
Desiderammo, triste itala prole:
Senza te mesto il cielo ed è men bello
Il nostro sole.
Torna, e ti splenda in man l’acciar tremendo
50 Quale tra i nembi ardente astro Orïone;
Deh torna, o dea, co’l bianco piè premendo
Mitre e corone.