Non sempre aquario verna, né assidue
Nubi si addensano, piogge si versano
Malinconicamente
Sovra il piano squallente:
5 Non sempre l’arida chioma a le roveri
I torbid’impeti d’euro affaticano,
Né dura artico ghiaccio
A industri legni impaccio:
Ma tu, o che vespero levi la rosea
10 Face su l’ampio del ciel silenzio
O fugga al sol d’avanti
Mal gradito a gli amanti,
Tu sempre in flebili modi elegiaci,
Lamenti, o Giulio, la cara vergine
15 Che il fren de’ tuoi pensieri
Reggea con gli occhi neri.
Oh non continue querele e gemiti
Commise a’ dorici metri Simonide;
Né ogn’or gemé in Valchiusa
20 Nostra più dolce musa,
Sì fra le memori tombe romulee
Destò l’italica speme, e del lauro
Di Gracco ornò la chioma
Al tribuno di Roma;
25 E anch’oggi splendidi gli sdegni vivono
Ne’ tardi secoli, spirano i fremiti
De le genti latine,
Ne le armonie divine.
Deh, se pur prèmeti desio di piangere,
30 Mira la patria; grave d’obbrobrio
Il nome italo mira;
E qui piangi e ti adira.
Mira: di barbaro lusso le rigide
Torri si vestono, dove già gl’integri
35 Petti e le forze e i gravi
Senni crebber de gli avi.
Qui dove i trivii d’urli e domestico
Marte e di fiaccole notturni ardevano
E insanguinò le spade
40 Gelosa libertade,
Di specchi fulgido ecco e di lampade
È il luogo, e gli ozii molce di un popolo
A cui diè il cielo in sorte
Noia pallida e morte.
45 Torpe degenere la plebe, e lurida
Ammira gli aurei splendori, ed invida
E vil con mano impronta
I duri Cresi affronta;
Lieta se a’ nobili tetti d’obbrobrio
50 Saliron avide le plebee vergini
A ricomprar le fami
De’ genitori infami.
No, di quel valido sangue, che spiriti
Gentili e rapida virtù ne gli animi
55 De’ parenti fluiva,
L’onda ahi più non è viva.
Sacri a la pubblica salute, estranee
Minacce ed impeti di re fiaccarono:
Plebe altera, de’ grandi
60 Prostrâr l’orgoglio e i brandi.
Discese il ferreo baron da l’orride
Castella, e al popolo vincente aggiuntosi
Con mano usa al crudele
Cenno trattò le tele.
65 Da le patrizie magioni al popolo,
Premio d’industria, benigna copia
Calò; di languid’oro
Non custodian tesoro
L’arche difficili. Crebbe a la patria
70 Larga di pubblici doni e di gloria
Ogni studio più degno
E di mano e d’ingegno.
E pompe sursero di fòri e portici
Ed are a l’unico signor de’ liberi.
75 Né a gli ozi allor de’ vili
Servian l’arti civili;
Ma dal magnanimo voler, da’ semplici
Cuor de gli artefici, sfidando i secoli,
Balzò con franco volo
80 Su l’attonito suolo
Di Flora il tempio; dove tra i memori
Padri fremerono d’assenso i giovini
A l’ira e a’ carmi austeri
Del gran padre Alighieri.