De la quadriga eterea
Agitator sovrano,
Sferza i focosi alipedi,
Bellissimo Titano.
5 Te pur, de l’ugna indocile
Stancando il balzo eoo,
Chiamâro in van ne’ vigili
Nitriti Eto e Piroo,
Quando la bella Orcamide
10 Ti palpitò su ’l core
E gli achemenii talami
Chiuse ridendo Amore.
E a noi con l’alma Venere
Facile Amor si mostra,
15 E noi gli amplessi affrettano
De la fanciulla nostra.
In vano, in van la rigida
Madrigna a me la niega;
Amor che tutto supera,
20 Amor che tutto piega,
Vuol, fausto iddio, commetterla
Ne le mie mani e vuole
I nostri amor congiungere,
Te declinato, o Sole.
25 Ed ella omai le tacite
Cure nel petto anelo
Volge, e te guarda. Oh giungati
Il caro sguardo in cielo!
Dolce fiammeggian l’umide
30 Luci nel vano immote:
Siede pallor lievissimo
In su le rosee gote.
Ecco, presente Venere
Ne l’anima pudica
35 Regna, e il pensier virgineo
Con forza empia affatica.
Cotal forse aggiravasi
Ne la stanza odïosa
Del giovinetto Piramo
40 L’inaugurata sposa,
E in cor pensava i gaudii
Al fido orror commessi
Ed i furtivi talami
E i raddoppiati amplessi:
45 In tanto Amor gemeane,
De’ preparati lutti
Già fatalmente prèsago
E de’ mutati frutti.
Ma le dolenti imagini
50 Si portin gli euri in mare:
Diciam parole prospere:
Benigno Amor ne appare.
Oh sperar lungo e timido,
Oh d’angosciose notti
55 False quïeti, oh torbidi
Sogni dal pianto rotti!
Mercé, mercé! pur compiesi
Il dolce e fier desio,
Pur debbo al fine io stringerla
60 Su questo petto mio!
Ah no che sen più candido
Endimïon non strinse
Quando notturna Venere
La schiva dea gli scinse!
65 Io ardo. Amore infuria
Nel fulminato petto;
E corro, e guardo, ed Espero
Gridando in cielo affretto.
Pietà, divino Apolline!
70 Spingi i destrier celesti,
Le inerti Ore sollecita;
Ruina…. A che t’arresti?
E ancor rattieni il cocchio
In su l’estrema curva?
75 E ancor l’ancella undecima
Lenta su ’l fren s’incurva?
Male io sperai te facile
Al suon di mie querele,
Sempre a gli amanti infausto,
80 Sempre in amor crudele!
Clizia oceania vergine
Per te conversa in fiore
Ancor mutata sèrbati
Il non mutato amore.
85 Imprecò già Coronide
Per te al disciolto cinto:
Amìcle un giorno e Tàigeta
Pianser per te Giacinto.
Ma e tu d’amor gl’imperii,
90 Tu, petto immansueto,
Durasti; e i greggi a pascere
Pur ti ritenne Admeto.
Te solitari attesero
I templi ermi del cielo,
95 Né più muggìa da gli aditi
La religion di Delo.
Giacea de’ tori indocili
Dal vago piè calcato
L’arco divino argenteo
100 In abbandon su ’l prato.
Né bastò l’arte medica
Verso la cura nova:
Ahi, sol di furie e lacrime
Il nostro iddio si giova.
105 Né tra le dita ambrosie
Più ti splendea la lira,
Quella onde al padre caddero
Sovente i fuochi e l’ira.
E che? l’avena rustica
110 Dal labbro tuo risona,
O figlio de l’Egioco,
O figlio di Latona?
Tu d’amor gemi, ed orride
Co ’l muggito diverso
115 Rompon le vacche tessale
La dotta voce e il verso.
Fama è però che memore
Tu de l’incendio antico
A gli amorosi giovini
120 Nume ti porgi amico.
E i vóti a te salirono
Del buon Cerinto grati,
Quando immaturi pressero
L’egra Sulpizia i fati:
125 Tu al bel corpo le mediche
Mani applicar godesti,
Tu al giovinetto cupido
Integra lei rendesti.
E giorno fu che in trepida
130 Cura Tibullo ardea:
Varia di amori il candido
Vate Neera angea.
Gemeva egli le vigili
Piume stancando in vano:
135 Ma in piena luce videti
Il cavalier romano.
Pe ’l lungo collo eburneo
Intonsi i crin fluire
Vide e stillar la mirtea
140 Chioma rugiade assire.
Qual de la luna in placido
Sereno, era il candore:
Era nel corpo niveo
Di porpora il colore,
145 Come al settembre tingonsi
Bianche méle fragranti,
Come fanciulle intrecciano
I gigli a li amaranti.
– Soffri, dicesti: ad Albio
150 Serbata è pur Neera:
Tendi le braccia a i superi
Con molta prece, e spera. –
E anch’io pregai: di lacrime
Io gli abbracciati altari
155 Sparsi: e non furo i superi
A me di grazia avari.
Non io lamento perfida
La mia fanciulla, escluso
Non io gli aspri fastidii
160 De la superba accuso;
Né de le mense eteree
Vuo’ che ti prenda oblio,
Ed entri, almo Latoide,
Quest’umil tetto mio.
165 Mi dolgo io ben che tardisi
A le mie gioie l’ora
Dal corso tuo che a Nereo
Par non accenni ancora.
Dolgomi…. Ahi folle! inutili
170 Querele io spando: errore
Al cor m’induce il memore
Libetrico furore.
Te da le valli tessale
Te da l’egea marina
175 Vedea de’ vati ellenici
La fantasia divina,
Giovine iddio bellissimo
Pe’ i cieli ermi sorgente:
Ignei tu avevi alipedi,
180 Carro di fiamma ardente;
E intorno ti danzavano
Ne la serena spera
Le ventiquattro vergini
Fósca e vermiglia schiera.
185 Né vivi tu? né giunseti
Del vecchio Omero il verso?
E Proclo in van chiamavati
Amor de l’universo?
Il vero inesorabile
190 Di fredda ombra covrìo
Te larva d’altri secoli,
Nume de’ greci e mio.
Or dove il cocchio e l’aurea
Giovanil chioma e’ rai?
195 Tu bruta mole sfolgori
Di muto fuoco, e stai.
Ahi! da le terre ausonie
Tutte fuggîr li dèi:
In vasta solitudine,
200 O Musa mia, tu sei.
In vano, o ionia vergine,
Canti, ed evochi Omero:
Surge, e minaccia squallido
Da’ suoi deserti il vero.
205 Vale, o Titano Apolline,
Re del volubil anno!
Or solitario avanzami
Amore, ultimo inganno.
Andiam: de la mia Delia
210 Ne gli atti e nel sorriso
Le Grazie a me si mostrino
Quai le mirò Cefiso;
E pèra il grave secolo
Che vita mi spegnea,
215 Che agghiaccia il canto ellenico
Ne l’anima febea!