Beviam, se non ci arridano
Le sacre Muse indarno,
Ora che artoa caligine
Preme i laureti d’Arno.
5 Gema e ne l’astro pallido
Stanchi le inferme ciglia
La scelerata astemia
Romantica famiglia:
A noi progenie italica
10 Ridan gli dèi del Lazio,
La madre de gli Eneadi
E l’armonia d’Orazio.
M’inganno? o un’aura lirica
Intorno a me s’aggira?
15 Flacco, io ti sento: oh, al memore
Convivio assisti e spira!
Or che percuote l’ungaro
Destrier la valle ocnèa,
E freme il lituo retico
20 Dove Maron nascea;
Or che l’efòd levitico
La diva Roma oscura,
E altier di Brenno il milite
La sacra via misura;
25 Qui cupe tazze vuotansi
Secondo il patrio rito,
Ben che sia lunge l’arbitro
Dal libero convito.
Flacco, il tuo bello Apolline
30 Fuggì dal suol latino
Cedendo innanzi a Teutate
Ed a l’informe Odino,
La musa a noi da gelide
Alpi tedesche or suona,
35 Turba un vil gregge i nitidi
Lavacri d’Elicona:
Noi pochi e puri (il secolo
Sìeci, se vuol, nemico)
Libiamo a Febo Apolline
40 E al santo carme antico.
Lenti, e che state? or s’alzino
Colme le tazze al vóto.
A le decenti Cariti,
Ecco, tre nappi io vuoto.
45 Sacro a’ sapienti è il numero
De i nappi tre: ma nove
A noi ne chieggon l’impari
Figliuole ascree di Giove.
Né san le dive offendersi
50 Del temperato bere,
Né tu discordi, o Libero,
Da le virtù severe.
Anch’ei la tazza intrepido
Catone al servo chiese,
55 Poi ripensando a Cesare
Il roman ferro prese:
E, in quel che Bruto vigila
Su le platonie carte,
Cassio tra’ lieti cecubi
60 Gl’idi aspettò di Marte.