O monna tu, ch’io non so qual tu sia
Tanto se’ in vista difformata e strana,
Monna Clio, monna Ascrea, monna befana,
O monna dal malan che Dio ti dia;
5 A la croce di Dio, tu se’ ….
Se t’acconci a chi vuole in su la via;
E se ne mente la mitologia
Che giurò su ’l candor di tua sottana.
Poi che ti presti ogni or mattina e sera
10 A tutte voglie d’ogni razza ingordi,
Tornata di regina in paltoniera;
O sciagurata, fa che ti ricordi
A chi tu fosti ed a chi se’ mogliera
Onde per te mi fremono i precordi.
15 Anime al ben concordi
Già ti levâr d’ogni bel pregio in cima:
Or ti preme ciascun, ciascun t’adima.
Non si può dir per rima
Quanto sia cattivello e piccolino
20 Questo gentame ch’ora t’ha in domino.
Qual vien ruttando il vino
Sovra il tuo petto; e l’anima imbriaca
Urla l’idillio, e la canzon si placa.
Qui Geremia s’indraca,
25 E i cembali sonando in colombaia
Vagisce la bestemmia, il pianto abbaia.
Un altro, ecco, si sdraia
Nel verso sciolto, e ci fa un voltolone,
Come somaro dentro il polverone.
30 Ben venga il bambolone
Che non iscompagnato ancor dal latte
Bela, e pur con Melpomene combatte.
In van la si dibatte
Tra le man del piccino: ella n’è stracca,
35 Ed ei rimesta le tragedie a macca.
Il cherichetto insacca
Pur nel tuo tempio, e sa di sagrestia
E di mòccoli spenti e d’eresia:
Con lirica bugia
40 Gorgoglia l’inno, e struggesi di frega
Meditando il bordello e la bottega.
Ve’ colui che si frega
A l’epopeia, e, perché troppo è lunga,
La concia sì, che al suo termine giunga.
45 Come par che la punga
E la cincischi sì che il sangue spicci!
E poi le aggiusta il parruccone a ricci.
Al fin par che s’appicci
Il divin corpo al corpicciuol digiuno,
50 E camminando son né due né uno.
Iscarmigliato e bruno
Or si fa oltre Gracco: il pecorino
Cuor gli tentenna come il personcino.
Da l’eliso divino
55 Inchìnati a costui, nonno Catone,
C’ha sempre in bocca una rivoluzione.
È un repubblicanone
Che ingozza prima la sua libbra buona
Di mazzinïanissima prosona,
60 Poi tuona e tuona e tuona.
A udir quell’omaccino armipotente
Isbigottisce la povera gente,
E dice: Veramente
Cotestui studia per le invenzïoni
65 Di verseggiar le bombarde e i cannoni.
In decasillaboni
Egli squaderna co’ profeti santi
Ippopotami neri e lïonfanti,
E sopravi giganti
70 Che vanno armati di monti e montagne
A imbottar nebbia per queste campagne:
Ma poi grugnisce e piagne,
Quando tornato al cristïan suo core
S’inginocchia davanti al confessore.
75 Deh quanto è gran dolore
Del tristo punto ove condotta sei,
O tósca Musa già cara a gli dèi,
Da questi uomini rei
Che ad ogni voglia lor buona o non buona
80 Adoperano pur la tua persona.
Non che rotta la zona,
E’ t’han diserto i più gentili arredi:
E infantocciata come tu ti vedi,
Dal capo infino a’ piedi,
85 Ti mandano accattando in su ’l sentiero.
Ov’è il regal paludamento altiero?
Or se’ tu da dovero
Che a l’universo descrivesti fondo
E fosti prima poesia del mondo?
90 Or è questo il giocondo
E nobil sen del quale a’ dì più tardi
Si nutriva il gran cor del Leopardi?
Ah no! tu di codardi
Se’ madre e sposa: or ti conosco io tutta,
95 O barattiera svergognata putta.
Deh via, sudicia e brutta,
Lascia, via, di menar tanto fracasso;
Uccella a’ barbagianni, e statti in chiasso.