MARTIRI DEL DIRITTO ITALIANO.
Torpido fra la nebbia ed increscioso
Esce su Roma il giorno:
Fiochi i suon de la vita, un pauroso
Silenzio è d’ ogn’ intorno.
5 Novembre sta del Vatican su gli orti
Come di piombo un velo:
Senza canti gli augei da’ tronchi morti
Fuggon pe ’l morto cielo.
Fioccano d’un cader lento le fronde
10 Gialle, cineree, bianche;
E sotto il fioccar tristo che le asconde
Paion di vita stanche
Fin quelle, che d’etadi e genti sparte
Mirâr tanta ruina
15 In calma gioventù, forme de l’arte
Argolica e latina.
Il gran prete quel dì svegliossi allegro,
Guardò pe’ vaticani
Vetri dorati il cielo umido e negro,
20 E si fregò le mani.
Natura par che di deforme orrore
Tremi innanzi a la morte:
Ei sente de le piume anco il tepore
E dice – Ecco, io son forte.
25 Antecessor mio santo, anni parecchi
Corser da la tua gesta:
A te, Piero, bastarono gli orecchi;
Io taglierò la testa.
A questa volta son con noi le squadre,
30 Né Gesù ci scompiglia:
Egli è in collegio al Sacro Cuore, e il padre
Curci lo tiene in briglia.
Un forte vecchio io son; l’ardor de i belli
Anni in cuor mi ritrovo:
35 La scure che aprì ’l cielo al Locatelli
Arrotatela a novo.
Sottil, lucida, acuta, in alto splenda
Ella come un’idea:
Bello il patibol sia: l’oro si spenda
40 Che mandò il Menabrea.
I francesi, posato il Maometto
Del Voltèr da l’un canto,
Diano una man, per compiere il gibetto,
Al tribunal mio santo.
45 Si esponga il sacramento a San Niccola
Con le indulgenze usate,
Ed in faccia a l’Italia mia figliuola
Due teste insanguinate −.
E pur tu sei canuto: e pur la vita
50 Ti rifugge dal corpo inerte al cuor,
E dal cuore al cervel, come smarrita
Nube per l’alpi solvesi in vapor.
Deh, perdona a la vita! A l’un vent’anni
Schiudon, superbi araldi, l’avvenir;
55 E in sen, del carcer tuo pur tra gli affanni,
La speme gli fiorisce et il desir.
Crescean tre fanciulletti a l’altro intorno,
Come novelli del castagno al piè;
Or giaccion tristi, e nel morente giorno
60 La madre lor pensa tremando a te.
Oh, allor che del Giordano a i freschi rivi
Traea le turbe una gentil virtù
E ascese a le città liete d’ulivi
Giovin messìa del popolo Gesù,
65 Non tremavan le madri; e Naim in festa
Vide la morte a un suo cenno fuggir
E la piangente vedovella onesta
Tra il figlio e Cristo i baci suoi partir.
Sorridean da i cilestri occhi profondi
70 I pargoletti al bel profeta umìl:
Ei lacrimando entro i lor ricci biondi
La mano ravvolgea pura e sottil.
Ma tu co ’l pugno di peccati onusto
Calchi a terra quei capi, empio signor,
75 E sotto al sangue del paterno busto
De le tenere vite affoghi il fior.
Tu su gli occhi de i miseri parenti
(E son tremuli vegli al par di te)
Scavi le fosse a i figli ancor viventi,
80 Chierico sanguinoso e imbelle re.
Deh, prete, non sia ver che dal tuo nero
Antro niun salvo a l’aure pure uscì;
Polifemo cristian, deh non sia vero
Che tu nudri la morte in trenta dì.
85 Stringilo al petto, grida – Io del ciel messo
Sono a portar la pace, a benedir –,
E sentirai dal giovanile amplesso
Nuovo sangue a le tue vene fluir...
In sua mente crudel (volgonsi inani
90 Le lacrime ed i prieghi) egli si sta:
Come un fallo gittò gli affetti umani
Ei solitario ne l'antica età.
Meglio così! Sangue de i morti, affretta
I rivi tuoi vermigli
95 E i fati; al ciel vapora, e di vendetta
Inebria i nostri figli.
Essi, nati a l’amore, a cui l’aurora
De l’avvenir sorride
Ne le limpide fronti, odiino ancora,
110 Come chi molto vide.
Mirate, udite, o avversi continenti,
O monti al ciel ribelli,
Isole e voi ne l’ocean fiorenti
Di boschi e di vascelli;
105 E tu che inciampi, faticosa ancella,
Europa, in su la via;
E tu che segui pe’ i gran mar la stella
Che al Penn si discovria;
E voi che sotto i furïosi raggi
110 Serpenti e re nutrite,
Africa ed Asia, immani, e voi selvaggi,
Voi, pelli colorite;
E tu, sole divino: ecco l'onesto
Veglio, rosso le mani
115 Di sangue e ’l viso di salute: è questo
L’angel de gli Sciuani.
Ei, prima che il fatale esecutore
Lo spazzo abbia lavato,
Esce raggiante a delibar l’orrore
120 Del popolo indignato.
Ei, di demenza orribile percosso,
Com'ebbro il capo scuote,
E vorrìa pur vedere un po’ di rosso
ne l’òr de le sue ruote.
125 Veglio! Son pompe di ferocie vane
In che il tuo cor si esala,
E in van t’afforza a troncar teste umane
Quei che salvò i La Gala.
Due tu spegnesti; e a la chiamata pronti
130 Son mille, ancor più mille.
I nostri padiglion splendon su i monti,
Ne’ piani e per le ville,
Dovunque s’apre un’alta vita umana
A la luce a l’amore:
135 Noi siam la sacra legïon tebana,
Veglio, che mai non muore.
Sparsa è la via di tombe, ma com'ara
Ogni tomba si mostra:
La memoria de i morti arde e rischiara
140 La grande opera nostra.
Savi, guerrier, poeti ed operai,
Tutti ci diam la mano:
Duro lavor ne gli anni, e lieve omai;
Minammo il Vaticano.
145 Splende la face, e il sangue pio l’avviva;
Splende siccome un sole:
Sospiri il vento, e su l’antica riva
Cadrà l'orrenda mole.
E tra i ruderi in fior la tiberina
150 Vergin di nere chiome
Al peregrin dirà: Son la ruina
D'un'onta senza nome.
30 nov. 1868.