Un viaggio nella Romagna di Carducci, da Faenza a Rimini
a cura di Alessandro Merci
«Da che toccai queste terre, […] il mio cuore fu sempre con voi, o Romagnoli. […] Oltre che, nelle ricordanze della mia vita io ritrovo un vincolo tutto intimo che a voi mi congiunge, un sentimento che, non senza vanità forse, mi porta ad amare la Romagna come mia patria seconda, come patria elettiva. Tra voi la mia facoltà poetica si rafforzò e tentò un secondo e più largo volo. Quando sentii i cuori della gioventù romagnola battere con simpatia d’assentimento a’ miei sensi; quando vidi ripercuotermisi raddoppiata la luce de’ miei fantasmi; io ripresi fiducia, e dissi trepidando a me stesso: Anch’io son poeta» (G. Carducci, Per la poesia e per la libertà. Discorso agli elettori del collegio di Lugo nel banchetto offertogli il 19 novembre 1876, in O, vol. IV, pp. 319-331: 322-323).
Le parole che Giosue Carducci pronunciò a Lugo il 19 novembre del 1876, in occasione della sua elezione a deputato, testimoniano come meglio non si potrebbe il rapporto strettissimo che legò lo scrittore alla Romagna: un rapporto che si protrasse per oltre quarant’anni e che fu caratterizzato fin da subito da reciproca simpatia e profonda affinità caratteriale.
Il primo incontro del poeta con la regione risale al principio degli anni Sessanta, quando un Carducci appena venticinquenne e ancora pressoché sconosciuto si recava a Faenza a trovare l’amico Giuseppe Torquato Gargani, docente di greco e latino presso il locale liceo, diretto da Luigi Bolognini. Fu grazie all’antico compagno delle Scuole pie di Firenze, fondatore del sodalizio degli Amici pedanti, che Carducci conobbe gli intellettuali faentini che erano soliti riunirsi presso la Tipografia Conti (Giovanni Ghinassi, Filippo Lanzoni, Saverio Regoli, Sante Bentini, don Marcello Valgimigli), con i quali rimase in contatto anche dopo la prematura scomparsa dell’amico, avvenuta nel marzo 1862, e dai quali fu invitato a far parte della locale Società Scientifica e letteraria, fondata nel settembre di quell’anno; fu in seno a un’adunanza di questa associazione che Carducci lesse tre anni più tardi, nel 1865, i tre sonetti Nel sesto centenario di Dante (Levia Gravia).
I rapporti con Faenza si fecero poi ancora più stretti tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, ossia nel periodo di più accesa militanza politica di Carducci nelle file della sinistra, anche grazie all’amicizia con Vincenzo Caldesi, il «leon di Romagna», cui il poeta dedicò un celebre epodo (Per Vincenzo Caldesi, 1871). Emblematica di questa stagione rimane la visita che il poeta fece a Faenza nel novembre del 1869 in occasione della nomina di Ferdinando Cristiani a docente di storia presso il liceo della città manfreda, perché durante il banchetto serale offerto in onore suo e di Aurelio Saffi all’Albergo del cannone infiammò gli animi dei presenti recitando per la prima volta la lirica Nostra santi e nostri morti e la più antica (ma non meno battagliera) ode Dopo Aspromonte.
Da Faenza i rapporti di Carducci si estesero ben presto alle altre città della Romagna: a Imola, dove insegnava l’amico Francesco Donati (Cecco frate) e dove era attivo l’editore Galeati, presso il quale Carducci pubblicò le Nuove poesie (1873); a Forlì, dove strinse amicizia con Aurelio Saffi, Alessandro Albicini e Giuseppe Mazzatinti; a Lugo, nel cui collegio elettorale si candidò con successo alla Camera dei deputati nel 1876, come testimonia il discorso Per la poesia e per la libertà da cui abbiamo preso le mosse; a Ravenna, che visitò più volte per via dell’amico Adolfo Borgognoni o per pubbliche conferenze (celebre quella su Heine, tenuta il 20 aprile 1873 su invito della locale Società Operaia); a Cesena, dove Carducci conobbe e frequentò Gaspare Finali, Eugenio Valzania e Pietro Turchi; a San Marino, cui lo legavano l’amicizia di Pietro Franciosi e Marino Fattori, promotori del celebre discorso La libertà perpetua di San Marino, pronunciato in occasione dell’inaugurazione del nuovo palazzo governativo (30 settembre 1894). Questa fitta rete di relazione fu favorita anche dal ruolo inizialmente di segretario, quindi di presidente della Regia Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna e dall’affiliazione all’Accademia dei Filopatridi di Savignano, della riforma dei cui Statuti fu incaricato nel 1869 e di cui fu nominato Presidente, dapprima effettivo poi onorario, nel 1878.
Il legame tra Carducci e la Romagna si fece ancora più stretto quando il poeta conobbe, nel 1887, Silvia Baroni Semitecolo, moglie del conte faentino Giuseppe Pasolini Zanelli, alla quale fu legato per i vent’anni successivi da un’amicizia profonda, testimoniata dal ricco carteggio tra i due. Fu in sua compagnia che Carducci visitò per la prima volta Bertinoro, di cui divenne dal 1898 cittadino onorario, e la pieve di San Donato in Polenta, cui dedicò una celebre ode (La chiesa di Polenta, 1897, in Rime e ritmi) al fine di promuoverne il restauro, e fu presso la sua villa di Lizzano, sulle colline di Cesena, che trascorse buona parte delle estati negli ultimi anni della sua vita, in cerca di pace e tranquillità. Dal buen ritiro di Villa Silvia, dove è ancora possibile visitare la camera del poeta, Carducci si spostava talvolta nelle località vicine: a Forlimpopoli, la cui Scuola Normale era diretta dal fratello Valfredo; a Montiano, visitata nel giugno del 1900; nella vicina Longiano, dove fu invitato nel 1902 dal sindaco Luigi Turchi; a Modigliana, dove nel 1903 ebbe l’occasione di visitare la casa di Don Giovanni Verità, carica di memorie risorgimentali; a Cervia e a Rimini, toccate nel 1904 in occasione di un viaggio che prevedeva anche un’escursione in pineta.
Questa lunga fedeltà del poeta fu ampiamente ricambiata: poche regioni d’Italia sono state infatti così tenacemente carducciane, anche nel corso del XX secolo, come la Romagna. Merito di una indubbia affinità elettiva e caratteriale, certamente, ma anche dei tanti allievi diretti e indiretti del poeta, che ne seppero tener viva la memoria negli anni: da Alfredo Panzini, che proprio a Carducci dedicò uno dei suoi primi libri (L’evoluzione di Giosue Carducci, 1894), a Renato Serra, autore di una memorabile commemorazione di Carducci nel teatro comunale di Cesena (21 marzo 1914), a Giovanni Pascoli, che ricordò Carducci in ben quattro discorsi pubblici, a Manara Valgimigli, senza dimenticare Aldo Spallicci o Paolo Amaducci, autore di un fondamentale commento dell’ode La chiesa di Polenta. Di questa passione tutta romagnola per lo scrittore sono testimonianza anche i “raduni carducciani” che ogni settembre si tengono, da oltre un secolo, a Polenta di Dante, accanto all’erma dello scrittore scolpita da Garibaldo Alessandrini: ulteriore conferma dell’importanza e della vitalità del nostro scrittore.
O = Opere di Giosue Carducci, Bologna, Zanichelli, 1889-1909, 20 voll.
Antonio Messeri, Giosue Carducci e la Romagna, in Da un carteggio inedito di Giosue Carducci, Bologna, Zanichelli, 1907, pp. 1-75.
Alfredo Grilli, Cecco Frate e Giosue Carducci in Imola, «L'Archiginnasio», XXI, 14-15 (1936), pp. 287-304.
Federigo Danesi, Carducci e Ravenna, Bologna, Zanichelli, 1949.
Raduni carducciani a Polenta di Dante, a cura di Milvia Dal Zozzo, Fabrizio Fornasari e Giovanni Gatti, «I Quaderni dell’Accademia dei Benigni», I, Forlì, Grafiche MDM, 1995.
Natalino Guerra, Carducci e la Romagna, Faenza, Edit Faenza, 2008.
Giosue Carducci, La chiesa di Polenta, ristampa anastatica dell’ode e del commento di Paolo Amaducci, con un saggio di Pantaleo Palmieri, a cura dell’Accademia dei Benigni, Bertinoro, GE.GRAF, 2016.