Un viaggio nella Modena di Carducci, dal Duomo alla Biblioteca Estense.
a cura di Federico Carrera
«Piccola città / bastardo posto» cantava di Modena Francesco Guccini in uno dei suoi album autorialmente più compiuti (Radici, 1972) – e d’altronde il punto di vista di Guccini è quello di un modenese di nascita, ma pavanese d’origine e bolognese d’adozione, e quindi di un uomo proiettato già nella cultura centripeta e centrifuga di una Bologna magmatica, allontanato sin dall’infanzia da una Modena che non è in grado di riconoscere come propria. Da bolognese a sua volta d’adozione – essendo originario, com’è noto, della Maremma – non ha invece affatto sminuito la «piccola città» modenese il poeta-professore Giosue Carducci, che vi ha anzi ambientato alcune sue poesie e nella quale si è spesso recato e molto volentieri, prendendo il treno proprio dalla vicina Bologna, ora per alcune ricerche di studio, ora per coltivare rapporti e amicizie, ora per eventi istituzionali e accademici (cfr. Canevazzi 1908).
Nel 1882, Carducci consegnò alla «Domenica Letteraria», rivista letteraria a cadenza quindicinale fondata e allora diretta da Ferdinando Martini, una poesia provvisoriamente intitolata Alla Messa cantata, poi ripubblicata senza titolo nelle Rime nuove (1887, lirica LXXI), in cui si allude in maniera piuttosto esplicita al duomo di Modena, uno dei più celebri esempi dello stile romanico: è «la chiesa lombarda» (v. 3) di cui il poeta descrive «la porta arcuata, che i leoni / millenni di granito ama carcar» (vv. 5s.) e «la volta d’una bruna arcata, / in tra due rosse colonnette snelle» (vv. 17s.), e nei cui pressi rimane incantato dalla visione di una «bella donna inginocchiata» (v. 19) in atto di preghiera. Per quanto Giovanni Canevazzi (1912, pp. 155s.) dubitasse che Carducci si riferisse proprio al duomo di Modena, il fatto venne in seguito confermato dal patriota Giuseppe Picciòla:
«[…] posso affermare senza possibilità di contraddizione, che la chiesa lombarda, è veramente il duomo di Modena. Quando mi trovavo solo col Carducci, gli recitavo spesso versi suoi; in sulle prime si ribellava, ma poi ne aveva piacere. E un giorno appunto in cui gli ripetevo, a Bologna, le bellissime quartine della chiesa lombarda […], gli domandai a quale chiesa volesse alludere; se, forse, ad una delle basiliche di Verona. Mi rispose: No; è il duomo di Modena. Della imprecisione di qualche particolare non c’è, credo, da far troppo caso; il Poeta non è obbligato né a ricordar tutto, né, anche se ricorda, a riprodurre ogni minuzia fotograficamente, tanto più che il Carducci non intendeva niente affatto di identificare la cattedrale, che in argomento del suo canto» (Canevazzi 1912, pp. 155s.).
Carducci cantò di Modena anche il valore patriottico, in un sonetto contenuto in Juvenilia (1850-1860), dove, accomunata alla storica rivale Bologna, la città è definita «di martiri e d’eroi famoso nido» (Modena e Bologna, v. 7). Il riferimento è senz’altro ai progetti rivoluzionari di Ciro Menotti (1798-1831), protagonista dei falliti moti modenesi del febbraio 1831, durante i quali venne arrestato, condotto presso il Duca Francesco IV d’Este e in seguito processato e condannato a morte dallo stesso, salvo poi divenire, durante il periodo risorgimentale, un’icona romantica e un esempio di patriottismo. Il ceppo di Ciro Menotti è ora visibile nel quartiere Cittadella della città e gli è inoltre stata dedicata una statua oggi situata in Piazza Roma, di fronte all’antico palazzo ducale, mentre in mente riecheggiano ancora una volta i versi di Carducci:
Or chi pria leverà d’Italia il grido | Spezzando il vario, infame, antico freno? | Di martiri e d’eroi famoso nido, | Voi Modena e Bologna. Oh al dí sereno || Di libertà cresciute anime altere | Tra i ceppi | sanguinanti e gli egri esigli | E gli orrendi martóri in prigion nere, || Voi ne’ tedeschi e ne’ papali artigli | Chi piú mai renderà, poi che un volere | Raccoglie al fin de la gran madre i figli?
Modena riveste un ruolo importante per Carducci, al di là della sfera più propriamente poetico-ideologica, anche nella sua biografia privata e di studioso. Proprio a Modena, infatti, Carducci intesse numerose amicizie, in particolare con alcuni studiosi che lo aiutano e supportano nella ricerca.
A questo proposito, è bene ricordare almeno i nomi di Giuseppe Silingardi (1827-1896) e di Severino Ferrari (1856-1905). Silingardi, professore di storia e geografia al Liceo Muratori dal 1865, diviene sin dalla metà degli anni Settanta il principale collaboratore di Carducci a Modena, come testimonia un nutrito e duraturo carteggio (1872-1896), in cui emerge la forza «di una profonda amicizia, resistente allo scorrere degli anni e ai sempre più numerosi e pressanti impegni ufficiali del poeta professore» (Cavazzuti 2000, p. 85).
Severino Ferrari, invece, «allievo prediletto e poi l’amico più caro e fidato del poeta» (Cavazzuti 2000, p. 89), viene nominato professore di letteratura italiana al Liceo Muratori nel 1889, un periodo in cui Carducci fatica sempre di più a recarsi nella città estense, di cui mantiene però un giudizio chiaro e limpido, come era già ai tempi delle celebrazioni modenesi del Secondo centenario di L. A. Muratori (1872), laddove il poeta definiva Modena «città studiosa», «storica» e insieme «critica» (cfr. Cottignoli 2016).
Fonte inesauribile di manoscritti pregiati e di testi rari è stata per Carducci la Biblioteca Estense di Modena, nella quale, fin dal suo primo trasferimento a Bologna, negli anni Sessanta, Carducci ha potuto trovare materiali fondamentali per i suoi studi, in particolare in riferimento ai testi delle origini della letteratura italiana e alla poesia popolare. Qui, Carducci incontra la complicità di due eruditi bibliotecari, che molto gli sono utili nelle sue ricognizioni testuali, Antonio Cappelli (1818-1887), già editore di alcune Lettere e memorie di Lorenzo de’ Medici (1863), e don Venanzio Celestino Cavedoni (1795-1865), ricordato, oltre che per la propria acribia bibliografica, anche per una «semplicità rara» (Canevazzi 1908, p. 443) nei modi di fare.
Non solo, Modena rappresenta infatti per Carducci anche un momento di importante svolta editoriale, quando approda, con la seconda edizione delle Nuove poesie di Enotrio Romano, alla Zanichelli (1819-1884), che, pur avendo sede a Bologna già dal 1867, manteneva a Modena la tipografia, dove Carducci si recava per la correzione delle bozze dei libri in stampa. È proprio per questo motivo e in questo periodo che Carducci comincia a frequentare i letterati e studiosi modenesi, che si riunivano il sabato sera nell’albergo della Montadora (cfr. Cavazzuti 2000, p. 85).
Canevazzi 1908 = Giovanni Canevazzi, Giosue Carducci a Modena, «Rivista d’Italia», XI, 3 (1908), pp. 443-460.
Canevazzi 1912 = Giovanni Canevazzi, Ancora ricordi sul Carducci a Modena, «L’Archiginnasio: bullettino della biblioteca comunale di Bologna», 7 (1912), pp. 144-157.
Cavazzuti 2000 = Silvia Cavazzuti, Carducci e i collaboratori modenesi, «Italianistica. Rivista di letteratura italiana», XXIX, 1 (gennaio-aprile 2000), pp. 83-89.
Cottignoli 2016 = Alfredo Cottignoli, Carducci muratoriano, in Giosuè Carducci prosatore. XVII Convegno internazionale di Letteratura italiana “Gennaro Barbarisi” (Gargnano del Garda, 29 settembre – 1° ottobre 2016), a cura di Paolo Borsa, Anna Maria Salvadè, William Spaggiari, Milano, Quaderni di Gargnano, 2019, pp. 129-137.
Fotografie a cura di Diego Soli.