"And Just Like That..." , il revival che ha cambiato per sempre Sex and the City

Aurora Papa

Se le serie TV e i film italiani si sono avvicinati in ritardo alla tematica del Covid, ammettendolo nelle proprie sceneggiature con estrema riluttanza, negli USA la pandemia ha fatto il suo ingresso in tempo reale nella produzione destinata al piccolo schermo. Allo stesso modo, il ritorno alla situazione pre-pandemica è stato narrato con la stessa sincronicità, ricominciando a raccontare serie TV ambientate in un mondo dove il virus resta sullo sfondo, come un brutto ricordo. È il caso della tanto attesa e discussa serie Tv And Just Like That.., reboot di Sex and the City.

La vita e le avventure di Carrie, Miranda e Charlotte, le tre protagoniste ormai cinquantenni, tornano a farci compagnia per una stagione di 10 nuove puntate. Tre protagoniste, avete capito bene: come è noto ormai da tempo la Super-Esse “Scoppiettante, Sfacciata, Schietta” Samantha Jones (interpretata da Kim Cattrall) ha deciso di non partecipare alle riprese del reboot.

 

Ogni puntata tocca argomenti differenti e tutti attualissimi con cui lo spettatore empatizza facilmente, tra cui anche la scomparsa (talvolta improvvisa) degli affetti cari. Le protagoniste si ritrovano a dover fare i conti con la fine di un grande amore (come nel caso di Carrie e Big, e di Miranda e Steve) o la rottura di legami molto forti, come appunto quello che teneva saldamente insieme Samantha e il trio Carrie-Miranda-Charlotte. I personaggi sono ritratti alle prese con le analisi più intime e personali, a dover accettare se stessi e, al contempo, i cambiamenti che la vita gli ha presentato. Sono chiamati a fare i conti con il passato, con ciò che erano (che il pubblico affezionato di Sex and the City conosce bene) e confrontarsi, adesso, con ciò che sono diventati.

Nuovi desideri, progetti e sogni, voglia di riconoscere e superare le proprie dipendenze (come quella dall’alcol) e cambiare, tra i timori di non riuscirci e la consapevolezza che non sempre significa diventare la versione migliore di se stessi. Lo scorrere del tempo (e, quindi, il reboot And Just Like That…) chiede alle protagoniste di affrontare delle prove mostrando la loro maturità, pur mantenendo il solito approccio scanzonato impresso nel cuore e nella memoria del pubblico.

La prima puntata  ha l’arduo compito di presentarci i personaggi chiave della storia di Sex and the City, con le peculiarità che ce li hanno fatti amare nel corso delle stagioni e degli anni.

Ritroviamo sempre uguali le tre protagoniste e i personaggi che gli gravitano attorno, con la confortante sensazione che il tempo, per loro, sembra non essere passato. Le premesse ci sono tutte: ci prepariamo a rivivere le stesse emozioni che ci hanno fatto innamorare della serie cult. Sensazioni a parte, però, il tempo è davvero passato e in And Just Like That… le nostre beniamine si devono scontrare con i cambiamenti del presente. Carrie è alle prese con i podcast mentre elabora il lutto per la perdita del marito, Mr. Big; Miranda decide di ritornare all’università, si innamora della collega non binaria di Carrie, Che Diaz (interpretata da Sara Ramirez) e lascia il fidato e monotono Steve; Charlotte, invece, è sempre super impegnata a realizzare la sua idea di famiglia perfetta con Rose (la figlia che ha tanto desiderato e che ha tanto faticato ad avere). Proprio tramite Rose (che si fa chiamare Rock) la serie sceglie di affondare le proprie radici in nuovi terreni, quali le discussioni sul tema della sessualità e del genere. Rose si professa né donna né uomo, vuole essere libera di esprimere il genere che vuole al di là di ogni istruzione religiosa, cozzando quindi con i piani della madre.

Partenza col botto per le tre donne mature che vorrebbero farci rivivere le stesse sensazioni e speranze del passato, pur in un contesto così tanto diverso. In realtà, però, lo spettatore vive il susseguirsi delle puntate come un continuo sperare che possa accadere qualcosa in grado di rendere più interessante il tutto. Nonostante l’ingresso di nuovi personaggi che provano a movimentare gli episodi, il quadro complessivo, abbastanza deludente, ci porta ad ammettere rassegnati che lo scorrere degli anni non rende qualcuno necessariamente più maturo.

Ad esempio, Carrie ci viene presentata per tutta la stagione come una donna egoista ed egocentrica che chiede continuamente l’attenzione e il supporto delle amiche, senza ricambiare il favore nei loro momenti di crisi e difficoltà. Ad esempio, scopre della relazione di Miranda con la sua collega Che, ma non l’aiuta quando questa le chiede aiuto, sorda (volente o no) allo sconforto in cui è piombata la vita matrimoniale dell’amica. Non aiuta Charlotte che le chiede una mano, causa i problemi adolescenziali delle figlie (Lily e Rose). Si comporta allo stesso modo con Stanford (quando le chiede aiuto per il matrimonio con Anthony) e con lo stesso Anthony (quando le chiede di accompagnarlo e supportarlo in una visita medica per un intervento chirurgico). La sua immaturità non è manifesta solo nelle relazioni interpersonali, ma anche verso se stessa in una specie di auto-sabotaggio e fuga a gambe levate dalle prove della vita. Quando per lei arriva un nuovo amore, lo tratta con sufficienza e lo paragona continuamente al suo scomparso Mr. Big, giungendo a credere che sia lo stesso marito defunto a mandarle messaggi dall’aldilà per farle troncare la nuova frequentazione. Lo spettatore, qui, si ritrova davanti a una Carrie che ha paura e fa fatica ad andare avanti, lasciandosi alle spalle il passato, come quando cerca una nuova casa per lasciare quella in cui viveva quando era sposata. Nessuna le va bene, perché tutte hanno qualche difetto, a parer suo. Alla fine, torna nel suo vecchio appartamento, dove si sente protetta e dove riesce a scrivere un nuovo libro (affacciata alla solita finestra a cui gli spettatori si erano abituati a vederla nella prima serie). Al libro, però, manca un finale carico di belle speranze e aperture al futuro: la sua protagonista, così come lei, è ben lontana dal lasciarsi alle spalle la tristezza e la malinconia del passato.

 

Il personaggio di Samantha (che non è presente in tutta la prima stagione se non tramite qualche sms nostalgico) è stato soppiantato dall'entrata in scena dell’agente immobiliare di Carrie, Seema Patel (interpretata da Sarita Choudhury). Anche lei come Samantha è una donna che si è fatta da sola, dalla tempra forte, senza paure, senza inibizioni, disinvolta, prende la vita a morsi e se la spassa. Seema ha un solo desiderio: trovare l’amore della vita, un uomo che le faccia perdere la testa accettandola così com’è senza scendere a quei compromessi che un classico rapporto porterebbe.

And Just Like That… ci fa capire che non basta rimettere insieme gli stessi ingredienti di una ricetta di successo del passato (e seguire lo stesso copione) per ottenere le stesse emozioni della prima volta in cui Sex And The City è apparsa sugli schermi. Il rischio è quello di lasciare i propri affezionati della prima ora con l’amaro in bocca, in attesa di un ritorno al passato che si traduce in un’attesa senza fine. Sappiamo bene che non si può continuare a vivere nel passato o nel limbo: se da una parte le protagoniste dovrebbero accettare che il tempo passa e si invecchia, la morte esiste, l’amore finisce, i figli non sono sempre come avresti voluto che fossero, dall’altra sarebbe meglio che produttori e nostalgici desistano alla tentazione di cavalcare l’onda del revival, se non sono loro stessi a capire per primi l’effetto boomerang di queste operazioni.

La puntata conclusiva di questa prima stagione di And Just Like That… ci riporta alle emozioni di vent’anni prima e ad apprezzare Miranda, l’unica che si è distinta nella serie per essere stata sempre fedele a se stessa. Il suo personaggio ha saputo affrontare e accettare a testa alta i cambiamenti che la vita le ha posto davanti inaspettatamente e ad avere la forza di accogliere con serenità il cambiamento. Probabilmente, se tutti i personaggi fossero stati trattati alla stregua di Mirada, fedele a se stessa ma calata coerentemente nel presente, avremmo avuto davvero un reboot degno di nota. Ciò che ci è stato presentato, invece, è finito per essere una semplice operazione nostalgica figlia della tendenza del recupero dei cult, con qualche menzione meritevole, ma non proprio “like that”.

I cult sono tali proprio perché figli di una formula di successo apprezzata anche dalla critica del proprio tempo. Oltre a questo, sono successi intramontabili ed esempi per chi li seguirà: è giusto che alcuni restino intoccabili nel loro Olimpo.

Dopo aver visto la prima stagione di And Just Like That… una domanda è d’obbligo: le prossime stagioni sapranno togliere l’amaro dalle nostre bocche? E soprattutto: è proprio necessario averne altre?