Mario Schiavone
Jack London, uomo dai mille mestieri e dal destino già segnato di scrittore, visse una vita breve ma intensa: irrequieto sulla terra ferma, come un avventuriero per mare e da eterno sognatore nella stanza in cui scriveva.
Jack London nacque il 12 gennaio del 1876 e, prima che suonasse per lui la sua ultima campana, il 22 novembre 2016, trascorse in poco meno di mezzo secolo una vita estrema. Scegliendo di muoversi nell’esistenza come un animale libero e selvatico, quasi un abitante di quella natura vasta che ben descrisse anche nelle sue popolari storie per ragazzi, si ritrovò a cavallo di due secoli, svolgendo così tanti lavori da avere materia narrativa per più vite. Eppure rimase al mondo solo 40 anni. Prima di salutare tutti in maniera silenziosa si dedicò anima e corpo all’invenzione di storie. Tuttavia, prima di diventare uno scrittore a tempo pieno, fu pescatore abusivo di ostriche, cacciatore di foche, pugile, cercatore d’oro, corrispondente di guerra e infine costruttore di case. Per un autore classico come lui, sarebbe facile sostenere che il suo destino era già scritto nelle stelle, non fosse che - ironia del destino - già alla nascita ricoprì il ruolo di figlio illegittimo (secondo diversi biografi) di William Henry Chaney, un astrologo ambulante di origini irlandesi. È davvero arduo condensare in poche pagine una vita tanto breve quanto intensa come quella di Jack London. Che nasce il 12 gennaio 1876 a San Francisco: “il padre, un astrologo itinerante, si rifiuta di riconoscerlo e abbandona la famiglia[...]” (Maffi, 2016:ix)
Durante il suo lungo percorso di scrittore autodidatta, durato quasi una ventina di anni, ogni giorno collezionava pagine di scrittura. Fermo su una barca in balia delle onde oceaniche o impegnato a pensare come costruire case, fece di tutto per ritrovarsi a fissare suggestioni fatte di inchiostro e carta: millecinquecento parole al giorno, impresse sulla carta di getto e senza sosta alcuna. Diventò così uno dei più grandi scrittori di inizio Novecento, dalla mente prolifica (una cinquantina di libri e centinaia di racconti in prosa) e dalle mani perennemente bucate per i debiti accumulati, dovuti al crescente alcolismo.
“Io appartengo per nascita alla classe operaia. Molto presto ho iniziato a scoprire l’entusiasmo, l’ambizione e gli ideali e il soddisfarlo è divenuto il problema della mia vita di fanciullo […]”. (London, 1906)
Queste le parole dell’incipit contenute nel saggio Che cosa la vita significa per me, un testo di matrice politica e d’impronta autobiografica per un autore che in quel tempo consuma il suo io tra ribellione politica e desiderio di una vita altra.
Arriverà a parteggiare con tutto se stesso per gli oppressi da sostenere in celebri discorsi politici pubblici.
Questa sua idea genuina di giustizia lo indusse a osservare il mondo che lo circondava con lo sguardo del cittadino medio e favorì in lui una ricerca di appagamento sociale intesa come pura libertà individuale. Nient’altro che la ricerca di un vivere moderno visto dalla contemporaneità come aspirazione e mobilità verso una vita migliore. Se quel concetto era sincero e coraggioso, bisogna pur ricordare che quanto postulato da London presentava entrambe le facce della medaglia in merito a certe scelte di vita.
I rischi eccessivi, ricordava London, per l’uomo medio in quanto animale sociale, sono concreti e tangibili: garantirsi una libertà totale, arrivando (nell’ideale americano) a diventare un capitalista, non ha prodotto né uno stato di benessere né una vita (davvero) felice e sicura. Siamo di fronte, per dirla in breve, a un pensiero socialista che non nasconde una cocente delusione che si fa beffa della vita stessa: la ricerca di un profitto a ogni costo spinge l’industria sul baratro; al di sotto di esso la distruzione della risorsa più pregiata - l’amore per lo sforzo professionale dei suoi migliori lavoratori.
Giovanissimo visse come Hobo, ossia un viaggiatore che svolge lavori occasionali e vive con mezzi di sussistenza minimi, aspirando a una crescita interiore profonda e lontana dalla vita reale.
Arrivò così a campare a lungo per strada, attraversando l’America da clandestino sui treni, per poi trarne un libro vivace e spericolato: The Road (1907).
Si tratta di un testo autobiografico in cui descrive i suoi incontri da vagabondo: furbi e piccoli delinquenti, drop-out fuggiti di casa e poliziotti, treni merci, bische clandestine, stazioni ferroviarie, prigioni fredde, strade infinite. Nel diventare un attivista politico agli esordi e un acceso rivoluzionario maturo in seguito, elaborò teorie e dottrine degne di un vero combattente del capitalismo moderno: “L’altro giorno ho ricevuto una lettera. Da un uomo dell’Arizona. Iniziava con Caro compagno e terminava con Tuo per la rivoluzione” (London, 1909).
[...] Jack London accusa il capitalismo di avere sprecato l’occasione storica di progresso dell’umanità usando le risorse della terra e del lavoro umano a scopo di cieco accaparramento.[...] (Cfr. nota di Erri De Luca, 2017:8)
In celebri opere in volume quali The Road (1907), The Iron Heel (1908) e Martin Eden (1909), Jack London narrò senza mezzi termini il mondo feroce in cui viveva, cogliendo e descrivendo appieno il tessuto interiore di una società divisa in classi. I suoi testi feroci annunciarono, come in una profezia vera e propria, quel mondo che avrebbe trascinato la sua essenza di macchina capitalista fino ai giorni nostri. Sempre scrivendo le pagine di The Iron Heel, si spinse con l’immaginazione fino a prevedere la prima guerra mondiale e la successiva svolta fascista che segnò il mondo intero. Le sue analisi sincere rimasero indelebili anche nella mente di un lettore tanto vorace come Benito Mussolini che (contrariamente a quanto riportato in rete nella biografia dello scrittore), appena ebbe il potere in mano, vietò di fatto la stampa e la diffusione dei libri di Jack London. London aveva a cuore il sogno di riscatto dei meno fortunati e riuscirà a descrivere quel sogno e la sua conseguente caduta abissale proprio in Martin Eden, romanzo di espiazione e coraggio di un alter ego che visse gran parte della sua vita con il solo desiderio di diventare scrittore.
La lieve brezza estiva agita le sequoia e la Wild Water sciaborda con ritmiche cadenze sulle pietre muscose. Ci son farfalle nel sole, e dappertutto si leva il sonnolento ronzio delle api. (London, 2004, p.17)
Inizialmente snobbato per anni dalla critica ufficiale, riscoperto solo in seguito, per London il destino di scrittore offrì una sorte binaria.
[...] Nella vita e nell’opera di London ci pare di poter distinguere un periodo di ascesa e di lotta reale col mondo, che si conchiude nel 1909. [...], periodo di formazione e di conquiste politico-culturali ammirevolmente narrate in Martin Eden che in qualche modo lo conclude [...] (Prefazione di Goffredo Fofi in London, 2004, p. 10)
Durante tutta la sua carriera quasi nessuna delle sue classiche storie trovò spazio tra le pareti creative degli studios cinematografici americani. Eppure, divenuto autore popolare in tutto il mondo, i suoi libri vissero una felice riscoperta accademica e una fama così vasta da permettere la sua presenza nei più svariati paesi: ad oggi i testi di London sono presenti in traduzioni letterarie di ben 68 lingue.
De Luca Erri, in Jack London Rivoluzione, Napoli, Libreria Dante & Descartes, 2017
Dyer Daniel, Jack London, vita, opere e avventura, Mattioli 1885, Fidenza 2013.
London, J., Il tallone di ferro, Milano, Feltrinelli 2004
London, Jack. What Life Means to Me, Cosmopolitan, Marzo 1906
London, Jack. The Road, Cosmopolitan, Gennaio 1907
London, Jack. Revolution and Other Essays, 1909
London, Jack. The Iron Heel, 1908
London, Jack. Martin Eden, 1909
London, Joan. Jack London and his times. An unconventional biography University of Washington Press, Seattle 1974.
Maffi, Mario. Jack London, Il senso della vita (secondo me), Milano, Chiarelettere, 2016)
Stone, Irving. London. L’avventura di uno scrittore, Editori Riuniti, Roma 1979.
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