Macerie civili e culturali: la caduta del Muro di Berlino

Ludovica Rizzi

L’errore di un funzionario della DDR durante una conferenza stampa; l’assennatezza di una guardia di frontiera: la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 è uno dei pochi eventi nella storia che furono, non solo raccontati, ma anche causati dai giornalisti. Com’è stato possibile?

 

1.  Il contesto

2.  La conferenza stampa che ne causò il crollo

3.  L’apertura delle frontiere

4.  Il Muro: architrave della cultura pop occidentale

5.  Bibliografia e sitografia

1. Il contesto

 

«Nessuno ha intenzione di costruire un muro» disse l’allora presidente della Germania Est Walter Ulbricht il 15 giugno del 1961. Fu con l’eco di queste parole che il 13 agosto dello stesso anno – neanche due mesi dopo l’affermazione di Ulbricht – che un gruppo di operai iniziò a posare il filo spinato che avrebbe preceduto la costruzione di quel muro che, per 28 anni, divise Berlino tra la zona Est, appartenente alla Germania Est (o Deutsche Demokratische Republik, abbreviato in DDR, ossia la Repubblica Democratica Tedesca) allineata all'Unione Sovietica, dalla zona ovest della città, che invece apparteneva alla Germania Ovest (o Bundesrepublik Deutschland, abbreviato in BRD, ossia la Repubblica Federale Tedesca), schierata con l'Occidente.

La divisione della Germania appariva a prima vista come una soluzione necessaria per tutti coloro che consideravano l’esistenza di una Germania unita – e ricostruita anche dal punto di vista economico – una minaccia per l’equilibrio europeo e, di conseguenza, per la pace: la creazione del muro sembrava una conferma di tale divisione. Ciò che appariva accettabile, anzi auspicabile, per i paesi europei non lo era, però, per i tedeschi: la coscienza di essere un popolo unico, separato dalle colpe di Hitler e dalla volontà dei vincitori, sopravvisse sempre, fino a quel 9 novembre quando decine di migliaia di abitanti della parte orientale della città si riversarono in quella occidentale per la prima volta dopo ventotto anni (Di Nolfo E. 2003:1334-1343).

L’avvento del sistema bipolare centrato sulle due grandi potenze uscite vittoriose dalla guerra – USA e URSS – estese questa divisione dall’Europa al mondo stesso. I due poli incarnavano modelli antagonisti sotto ogni punto di vista - economico, sociale e politico . 

Per questo motivo, quando il Muro di Berlino cadde, si raggiunse la cognizione di due importanti fattori: la fine di uno dei più importanti simboli della divisione del mondo tra est e ovest e la consapevolezza che i regimi comunisti dell’Europa orientale avevano i giorni contati. Ciò risultava ormai palese da tempo, soprattutto negli ultimi mesi della Germania Est durante i quali si erano svolte grandi proteste contro il regime comunista.

 

2. La conferenza stampa che ne causò il crollo

 

La sera del 9 novembre 1989, poco prima delle ore 19, era prevista una conferenza stampa per annunciare una serie di nuove riforme e di aperture nei confronti dell’occidente. Robert McCartney, corrispondente del The Washington Post, ricorda come

 

«tutti i presenti alla conferenza» fossero «annoiati […] nessuno pensava di essere a un passo da uno dei momenti più importanti della storia del Novecento».

 

Improvvisamente, in questo clima soporifero, Gunter Schabowski – segretario del Comitato Centrale del Partito Socialista Unificato di Germania – fa un’inimmaginabile dichiarazione in seguito alla domanda di Riccardo Ehrman – l’allora corrispondente ANSA da Berlino – relativa ad alcune restrizioni ai viaggi imposte dal governo poco tempo prima:

 

«Oggi abbiamo deciso su un nuovo regolamento che rende possibile per ogni cittadino della Repubblica Democratica Tedesca di uscire attraverso i posti di confine della Repubblica Democratica Tedesca».

 

Ciò che il portavoce tedesco sembra affermare a decine di giornalisti provenienti da ogni parte del mondo, senza alcun preavviso e con profonda incertezza, è che il muro di Berlino era caduto.

Il clima della conferenza ha a questo punto una svolta repentina, dalla noia alla trepidazione: le pressanti domande dei giornalisti che seguirono, mandano Schabowski in una tale confusione da fargli fare un annuncio storico, per quanto completamente sbagliato. Infatti, quando un giornalista di Berlino Ovest pone la fondamentale domanda per capire da quanto queste nuove misure avrebbero avuto effetto, Schabowski, sempre più confuso, risponde: 

 

«Che io sappia dovrebbero avere effetto immediatamente. Da ora». 

 

In breve tempo la notizia si diffonde ovunque ed entro pochi minuti una prima folla si raduna silenziosa e timorosa davanti ai vari checkpoint del Muro.

Ma cosa volevano effettivamente significare le dichiarazioni del segretario? La leadership della Germania Est non aveva alcuna intenzione di consentire il libero passaggio verso la Germania Ovest e meno che mai di abbattere il Muro. Quindi? Cosa voleva dire Schabowski con le sue confuse dichiarazioni? 

La risposta è molto semplice, per quanto tragicomica: durante una riunione tenuta quello stesso pomeriggio dal Politburo – il gruppo dirigente della DDR – era stato deciso che, a partire dalla mattina del 10 novembre, sarebbe stato consentito il passaggio soltanto a chi avesse ottenuto una serie di documenti e permessi di transito.

Schabowski, non avendo partecipato alla riunione, per rispondere alle domande degli inviati aveva a disposizione solo pochi fogli che contenevano il comunicato stampa ufficiale, per di più incompleto. I giornalisti non gli diedero il tempo di ragionare né di allontanarsi per chiedere ulteriori chiarimenti e così, quando affermò che le nuove regole si sarebbero applicate sin da subito, non ci fu nulla che poté trattenere i berlinesi dal raggiungere il confine.

 

3. L’apertura delle frontiere

 

Ancora oggi delle lacrime rigano il volto di Harald Jäger, tenente colonnello della guardia di frontiera, quando ricorda il momento di aver dato ordine di aprire i varchi di confine. L’uomo ha raccontato all’Independent cosa accadde quella notte, dopo le contraddicenti dichiarazioni di Schabowski: quando arriva presso il suo checkpoint di guardia a Bornholmer Strasse, trova i suoi uomini già armati. L’iniziale piccola folla che si è già radunata al di fuori non sembra, però, minacciosa; qualcuno chiede persino con coraggio se sia possibile attraversare il confine.

Il problema sta nell’incapacità di risposta delle guardie di frontiera: quando Jäger chiama per chiedere spiegazioni, gli viene ordinato di rimandare indietro chiunque non abbia i documenti necessari per poter attraversare il confine. Quando, alle ore 20, vanno in onda i telegiornali della Germania Ovest con tutti i titoli dedicati all’apertura dei confini, la folla davanti a Bornholmer Strasse si fa sempre più grande e sempre più rumorosa.

Alle ore 21 c’è talmente tanta gente che tra le guardie di frontiera comincia a diffondersi il panico. Vengono nuovamente chieste indicazioni ai comandanti, ma nessuno sa cosa fare e dal governo non arrivavano né ordini né istruzioni. Alle 23.30 la situazione è tanto incontrollabile che un’unica decisione sembra sensata da prendere: senza istruzioni dai suoi superiori, Jäger ordina ai suoi uomini di aprire i varchi tra Berlino Est e Berlino Ovest.

Una folla di decine di migliaia di persone si riversa dall’altro lato, accolta dagli abitanti di Berlino ovest, i quali si erano radunati a loro volta in attesa dell’arrivo dei loro vicini orientali. Come ha raccontato sempre all’Independent, per i primi minuti Jäger e i suoi uomini si sentono paralizzati da un sentimento di umiliazione e di sconfitta; come se in quel preciso momento avessero assistito alla rovina e alla caduta del loro mondo

 

«We stood there and watched our citizens leaving en masse. These were our people. We cried. We felt betrayed by our superiors. It was the terrible realisation that not only the system and our leaders had failed. We had too».

 

Ma dopo aver visto gli abitanti di Berlino Ovest accogliere calorosamente i suoi concittadini, dopo averli visti salire sul Muro per festeggiare, dopo aver visto sconosciuti abbracciarsi, baciarsi e piangere di gioia, anche Jäger e i suoi uomini vengono colpiti dall’euforia

 

«The crowds won us over with their euphoria, we realised that they were overjoyed and our tears of frustration turned to those of joy».

 

4. Il Muro: architrave della cultura pop occidentale

 

La cosa più mirabile della storia è che ogni sua realtà diventa inevitabilmente figlia – e soprattutto fonte – del suo tempo: il Muro, con i suoi 3,6 metri di altezza che hanno mantenuto diviso il mondo per quasi trent’anni, si è trasformato, nel corso degli anni, in un architrave della cultura popolare occidentale. È inevitabile affermare che il Muro – e il suo successivo crollo – ha segnato l’immaginario collettivo non solo sul lato socio-politico, ma anche culturale, ispirando decine di prodotti, tra i quali spicca decisamente la musica.

Partiamo col raccontare un evento ineffabile legato alla musica. È il 1969, precisamente il 6 ottobre, quando uno speaker radiofonico di Berlino Ovest, Kai Blömer, annuncia che il giorno successivo, nel giorno delle celebrazioni per i vent’anni della Repubblica Democratica Tedesca, i Rolling Stones – incarnazione di quell’ideale totalmente occidentale di libertà, ribellione e trasgressione – si sarebbero esibiti sul tetto della sede della casa editrice Axel Springer, un palazzo talmente vicino al Checkpoint Charlie che al concerto avrebbero potuto assistere anche i tedeschi dell’Est

Il giorno delle celebrazioni della DDR migliaia di giovani si radunano nei pressi del Muro in attesa degli Stones: gli scontri con la polizia iniziano verso le 17, quando si scopre che il concerto non ci sarebbe stato. Gli arrestati sono stati 383; uno di loro, appena sedicenne, viene sorpreso a urlare freiheit, libertà, ritrovandosi a scontare 762 giorni di carcere: il Politburo parlò in questo caso di «una chiara provocazione del nemico di classe». 

Dopo quel giorno, i Rolling Stones sarebbero diventati materiale sovversivo e controrivoluzionario: «È davvero necessario copiare qualsiasi schifezza che viene dall’Occidente?» afferma a tal proposito Walter Ulbricht, capo del Comitato centrale del Partito comunista della Germania Est dal 1950 al 1971. «Credo, compagni, che la monotonia di questo yeah-yeah-yeah debba essere fermata». 

Essere sorpresi ad ascoltare gli Stones a Berlino Est significa essere davvero nei guai: in fin dei conti si tratta pur sempre di segni della disintegrazione morale del capitalismo e della degenerazione borghese, una vera e propria sfida ai valori e all’immagine del sistema comunista, forme di deprecabile imbarazzo per le autorità. 

In particolare gli Stati Uniti (e con essi il Regno Unito) sono divenuti un modello da copiare, specie per le classi più istruite e colte, fortemente disilluse dal fallimento dei piani di sviluppo comunisti e particolarmente esposte ai mass media. La speranza è che quei Paesi siano in grado di affrontare e risolvere i problemi rimasti insoluti a est, non tanto per motivazioni politico-istituzionali, quanto perché fondate sulla ricerca del progresso e sulla sfida della modernità: anche per i giovani l’Occidente è un punto di riferimento che sfruttano al meglio per mandare un messaggio simbolico alla società e alle istituzioni.

Istituzioni che, da parte loro, identificano burocraticamente quello che deve essere il giovane comunista: idealista più che materialista, orientato alla centralità del collettivo piuttosto che alla propria dimensione egoistica, culturalmente evoluto e raffinato, in contrapposizione con la volgarità e la violenza della gioventù occidentale (Ambrosi E. 2017:66). I partiti comunisti locali si sono dati da fare per contrastare la fatica con cui i giovani guardano all’Unione Sovietica come a un modello culturale intrigante e interessante, puntando quindi all'anticapitalismo, ai valori del mondo rurale e alle sue espressioni folkloriche, alle quali i giovani avrebbero dovuto guardare con orgoglio e passione anziché lasciarsi abbindolare dall’aliena cultura occidentale e dalla sua espressione più volgare: la musica rock

Ancora una volta il regime ha contribuito ad accrescere l’isolamento del paese dal mondo esterno e, in particolare, da qualsiasi influsso di provenienza occidentale, nel quale la Gran Bretagna era il nemico storico e gli Stati Uniti il suo fedele alleato. 

In questo contesto è resa impossibile qualsiasi opportunità di uscire dalla clandestinità in cui la cultura rock e pop era relegata. Questi generi di musica sono stati rigidamente vietati e lo sono stati per lunghi anni, sino alla caduta del regime. Un esempio lo si riscontra in Kosovo quando, nell’estate 1991, le autorità, per calmare una protesta giovanile, trasmettono a tutto volume proprio quelle canzoni dei Beatles che un’intera generazione aveva fino ad allora ascoltato solo a rischio della propria incolumità (Vickers M, Pettifer J. 2000:121).

 

 5. Bibliografia e sitografia 

 

Ambrosi, Eugenio. Come jazz, rock, beat & pop contribuirono alla caduta della Cortina di Ferro. Edizioni Università di Trieste, 2017.

Brockell, Gillian; Coburn, Davin. The Day the Berlin Wall fell. The Washington Post, 6 novembre 2014 (data di ultima consultazione: 10/10/2021).

Cancellato, Francesco. Muro di Berlino: 10 cose che ancora non sai sulla sua storia. Fanpage, 8 novembre 2019 (data di ultima consultazione: 25/10/2021).

Comparato, Sara. Quel giorno del 1969, quando i Rolling Stones non suonarono a Berlino. Berlino Magazine, 17 giugno 2014 (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

Di Nolfo, Ennio. Storia delle relazioni internazionali 1919-1999. Editori Laterza, 2003.

La caduta del Muro di Berlino, 30 anni fa. ilPost, 9 novembre 2019 (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

Paterson, Tony. Fall of the Berlin Wall: The guard who opened the gate – and made history. Independent, 7 novembre 2014 (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

Pugliese, Rosanna. Muro di Berlino, Riccardo Ehrman: “La mia domanda fece cadere il Muro”. Ansa, 4 novembre 2019 (data di ultima consultazione: 23/10/2021).

Vickers M, Pettifer J. Albania: from Anarchy to a Balkan Identity. Hurst and Company, London 2000.

 

Foto 1 da Berlino.com (data di ultima consultazione 25/10/2021)

Foto 2 da ilPost.it (data di ultima consultazione 25/10/2021)

Foto 3 da ilPost.it (data di ultima consultazione 25/10/2021)

Foto 4 da ilPost.it (data di ultima consultazione 25/10/2021)

Foto 5 da ilPost.it (data di ultima consultazione 25/10/2021)