Restauro Casa della Gazzella

Il recupero, il restauro e la conservazione

Il wafer climatico: comunicazione e pratica conservativa

La realizzazione del cosiddetto wafer climatico nel vano d della Casa della Gazzella, nell’Insula I del Quartiere ellenistico-romano, rappresenta una risposta temporanea alle esigenze conservative emerse dallo studio dello stato del degrado e delle alterazioni. L’intervento, effettuato dall’Università di Bologna, intende inibire i fattori ambientali responsabili del degrado delle pitture antiche. Non si tratta di un restauro, piuttosto di un pronto intervento atto a garantire la preservazione del manufatto con la prospettiva di una futura operazione che risolva le criticità conservative senza confrontarsi con lo stato d’urgenza. Il wafer è quindi la rielaborazione di una protezione che prende il proprio nome dalla successione di strati di materiali che creano un ambiente igrotermico positivo e controllato per il reperto. Il manufatto è attualmente coperto dalla struttura protettiva, dunque non visibile a studiosi e visitatori. Questa situazione in apparenza svantaggiosa è stata trasformata in opportunità: sulla superficie esterna del wafer è installata una riproduzione in scala 1:1 delle pareti sottostanti, alle quali è stata sovrapposta in trasparenza una proposta di ricostruzione degli originali schemi decorativi dipinti del vano. Ora, oltre a poter apprezzare il manufatto come si è conservato, è possibile fornire l’esperienza aggiuntiva del restauro virtuale, derivato dallo studio dei segni di preparazione delle campiture della parete e da labili tracce di colore superstiti. Il restauro virtuale, elaborato a partire da modelli digitali ottenuti attraverso tecnologia Laser Scanning, non sarebbe altrimenti apprezzabile dal pubblico che viene così maggiormente coinvolto. La nitidezza della stampa è calibrata per essere visibile da lontano unitamente al pavimento musivo, inducendo i visitatori a mantenersi al di fuori del vano ed evitando così che il mosaico sia calpestato, secondo un meccanismo di protezione passiva. L’assenza di un testo esplicativo aumenta la capacità di divulgazione dell’installazione, che da sola riesce ad assecondare i diversi gradi di lettura, i differenti interessi, competenze e coinvolgimento del pubblico.

(Da Michael Benfatti, I Colori di Agrigentum p. 45)

 

Archeologia pubblica: l’occasione della Casa della Gazzella

Il progetto risponde a un aspetto della disciplina archeologica emerso con crescente forza negli ultimi decenni: l’archeologia pubblica. La prima definizione di public archaeology risale agli anni ’70, quando si cominciò a riflettere sulla relazione tra archeologia, diritto di proprietà e gestione del suolo pubblico. Il dibattito considerò innanzitutto l’interrelazione tra archeologia e pubblica fruizione. Tali riflessioni portarono la realtà accademica a riconoscere la nuova necessità di presentare l’archeologia a soggetti che normalmente non se ne occupano attivamente, rispondendo al concetto anglosassone di Educational Archaeology. L’archeologia pubblica consiste in una molteplicità di pratiche volte alla restituzione della conoscenza e del patrimonio archeologico al pubblico. Questa necessità non parte solo dalla considerazione che spesso gli archeologi operano con fondi pubblici, quindi tale pratica rende in qualche modo conto dei fondi destinati alla ricerca, ma anche dal fatto che il patrimonio deve rispondere per definizione ai principi di possesso e di accesso da parte della comunità – a patto che ciò non ne mini la conservazione. La ritrovata attenzione verso il fruitore ha lo scopo di incontrare gli interessi di più pubblici, latori di domande differenti. La missione archeologica dell’Università di Bologna sostiene tale sensibilità incentrando il proprio operato sulla restituzione alla collettività delle attività che svolge, servendosi anche dei recenti strumenti di comunicazione sviluppati dai media. L’ottica di compartecipazione, definita open archaeology, mette a disposizione degli interessati strumenti d’accesso facilitato ai risultati della ricerca. In tale contesto la funzione comunicativa del wafer climatico della Casa I E/F. L’installazione sintetizza la riflessione e lo studio svolti per la salvaguardia e la comprensione del bene archeologico, diventando l’occasione per offrire uno strumento d’accesso immeditato alla comprensione dell’evidenza antica. Il ruolo del pubblico non è dunque quello di passivo spettatore o ascoltatore, ma al contrario, di parte attiva per la conservazione e la comprensione del Quartiere. In questo modo si vuole costruire un modello che reinserisca gli archeologi nella collettività, a cui è garantita la restituzione del patrimonio messo a disposizione in piena trasparenza.

(Da Niccolò Savaresi, I Colori di Agrigentum p. 46)

 

  • Restauro in corso

  • Restauro in corso

  • Risultato finale del restauro e conservazione in situ

Wafer climatico

Il dott. Michael Benfatti (coordinatore sul campo della Missione Insula III), ci spiega a cosa serve il "wafer climatico" e come può ridurre il deterioramento delle pitture del Quartiere ellenistico-romano di Agrigento.