Vecchia nella traduzione e nella messa in scena

Il protagonista comico in Aristofane è quasi sempre vecchio, connotato talvolta da qualche affaticamento fisico (per esempio, Rane vv. 127 s.), ma sempre dotato di dinamicità, intraprendenza, ingegnosità. Con la figura comica della Vecchia, γραῦς (Ec.; Pl.), ci troviamo invece di fronte a un orizzonte del tutto differente: si riscontra una particolare insistenza sulla decadenza corporea e morale del personaggio e, più in generale, il deteriorato aspetto fisico assume rilevanza nella caratterizzazione della maschera (si veda la Sezione 1).

Nel testo comico ricorrono dunque riferimenti allo stato di degradazione del corpo anziano, che le traduzioni non mancano di sottolineare. L’aggettivo denigratorio σαπρά, presente al v. 926 delle Ecclesiazuse, è volto a suscitare repulsione nello spettatore: tra le traduzioni italiane spiccano, in questa prospettiva, «vecchia fracida» [cfr. Cantarella (1972)], «rottame» [cfr. Del Corno (1989)], «carogna» [cfr. Capra (2010)]. Lo stesso aggettivo si trova nel Pluto (v. 1084), ma riferito per metafora alla feccia (τρὺξ): Cantarella (1972) opta in questo caso per «rancida», Torchio (2001) e Paduano (2001) scelgono «marcia». A tali poco lusinghiere apostrofi si affiancano epiteti quasi affettivi, utilizzati per ottenere un antonomastico effetto ironico: ricorre per esempio γράδιον (Ec. 949, 1000) o ancora μαῖα (Ec. 915), che vengono tradotti con «vecchietta» [cfr. Cantarella 1972)], «nonnetta» [cfr. Del Corno (1989)] o «nonnina» [cfr. Capra (2010)].

Il testo comico indugia (più di quanto accada per altre maschere) su alcuni dettagli caratterizzanti l’aspetto delle Vecchie, inducendo così i registi a prendere in particolare considerazione le indicazioni visive. Nelle Ecclesiazuse si parla esplicitamente di trucco, abiti e persino di cosmesi (al v. 878 si fa riferimento allo ψιμύθιον, cera da applicare sul viso per coprire le rughe, o ancora al rosso dell’ἤγχουσα; si veda la Sezione 1). E l’intero episodio è del resto costruito come climax di deformità: pare quasi che, in un crudele e inquietante gioco, l’immagine della prima Vecchia si moltiplichi.

L’amplificazione graduale della bruttezza delle donne è funzionale a mettere in luce il carattere paradossale della nuova legge: imporre preferibilità al più brutto equivale ad aprire un regressus ad infinitum, «come se sulla soglia di ogni possibile soddisfacimento sessuale gravasse l’ombra di un possibile e maggiore diritto» [cfr. Paduano (2001, 26)]. Il progressivo peggioramento estetico delle tre maschere comiche è stato ben reso e interpretato in alcune delle più recenti messe in scena italiane. Tra queste, l’allestimento di Serena Sinigaglia (2006/2007) presenta un aumentare progressivo di mostruosità e di vecchiaia (i costumi sono firmati da Federica Ponissi): la prima Vecchia è caratterizzata da abito nero, voce roca e una postura forzatamente seduta; la seconda cammina appoggiata a un deambulatore, e presenta sugli abiti neri ragnatele e polvere (ma appare non meno determinata a raggiungere il Giovane); la terza avanza veloce su una sedia a rotelle.

Nella messa in scena di Vincenzo Pirrotta (2013) l’escalation è meno pronunciata, ma molta importanza viene data all’abbigliamento e alla cosmesi, in una voluta ostentazione di cattivo gusto: la prima Vecchia indossa un vistoso copricapo, un ingombrante pellicciotto, e ha il volto nascosto da uno spesso cerone bianco (ψιμύθιον); la seconda è avvolta in un vestito interamente nero, a evocare una vedovanza; i lineamenti della terza sono alterati da una grottesca maschera di trucco e da gigantesche sopracciglia.

Anche nel Pluto i medesimi dettagli estetici (capelli bianchi, v. 1043; rughe, vv. 1050 s.; assenza di denti, vv. 1057-1059; belletto, v. 1064) paiono altrettanto funzionali: l’obiettivo drammaturgico è da un lato sottolineare la discrasia tra l’età della donna e il suo comportamento amoroso [cfr. Henderson (1991, 106)], dall’altro mettere in luce la sua indesiderabilità sul piano sessuale (in contrasto con i desideri ripetutamente espressi dal personaggio). Nell’allestimento diretto da Popolizio (2008) l’attrice indossa una maschera grottesca che mette in forte risalto le rughe e la bocca sdentata, e porta in mano un vassoio di pasticcini, dono destinato a Cremilo per ottenerne l’aiuto. L’inadeguatezza del piccolo presente, del tutto vano di fronte all’impossibilità di raggiungere il proprio scopo (conquistare l’interesse del giovane amato) è volto ad accentuare i tratti patetici del personaggio.

Tanto nelle Ecclesiazuse quanto nel Pluto, la scena si conclude con precise indicazioni sceniche. Nel primo caso, il ragazzo viene strattonato dalle tre Vecchie (dai vv. 1083-1088 si susseguono avverbi di luogo con valore deittico: δεῦρο / δεῦρὶ / δεῦρο); nel secondo caso, Aristofane utilizza la metafora dell’ostrica sullo scoglio, per indicare che la Vecchia, vincitrice, si allontana attaccata al Giovane (v. 1096). I suggerimenti del testo vengono seguiti in quasi tutti i casi: in Sinigaglia (2006/2007) le tre Vecchie tirano una corda in tre diverse direzioni, forzando il Giovane a movimenti dolorosi e innaturali; in Popolizio (2008) il Giovane esce trascinando il peso della Vecchia che si attacca alla sua giacca; in Pirrotta (2013) prendono al laccio il gigantesco fallo che appesantisce l’andatura del Giovane.

Laddove il testo comico si rivela più generoso di dettagli riguardo ai costumi e alle indicazioni sceniche, i registi tendono a restare fedeli alle indicazioni aristofanee: e i personaggi delle Vecchie di Pluto ed Ecclesiazuse restano tra quelli più nitidamente descritti.

Maddalena Giovannelli @ 2016