Vecchia nella commedia

Nella lunga vicenda della caratterizzazione della donna anziana nella produzione letteraria greca, l’Archaia svolge un ruolo peculiare, che fa emergere la costante natura scoptica del termine graus, sempre legato alla loidoria, a differenza del corrispettivo maschile γέρων [cfr. Henderson (1987, 110)]. Non a caso, nelle commedie femminili che Aristofane mette in scena a partire dal 411, nonostante le donne anziane prendano parte attiva ed egemone sia nel progetto comico di Lisistrata sia nella vendetta comune contro Euripide nelle Tesmoforiazuse, il termine graus compare solo di rado e in bocca a figure che ostacolano il progetto comico, come il Probulo nella Lisistrata (v. 345). Al contrario, la maschera della graus è presentata in modo esplicito nelle scene burlesche delle Ecclesiazuse e del Pluto, dove essa diviene personaggio sulla scena. Sarà opportuno quindi distinguere tra due modi della caratterizzazione della donna anziana nell’Archaia: da una parte la donna matura, non definita in modo esplicito quale graus, rappresentata in modo simpatetico come portavoce del genere femminile e al fianco della protagonista; dall’altra la maschera vera e propria della graus, quale emerge in modo esplicito nelle scene delle Ecclesiazuse e del Pluto, dove il personaggio della Vecchia ha un ruolo passivo, grazie a cui sono illustrate le conseguenze del progetto comico che Prassagora e Cremilo hanno realizzato con successo. Nel prologo della Lisistrata, il personaggio di Calonice è caratterizzato sin dalle prime battute, con l’apostrofe ὦ τέκνον, «Oh, figlia!», rivolta a Lisistrata (v. 7), come donna anziana ed esperta [cfr. Mastromarco (1995, 72-75)] e quindi guida della protagonista. E, per questo motivo, per Calonice la definizione denigratoria di graus sembra essere evitata da Aristofane. In modo analogo il Semicoro delle Vecchie (vv. 319-1042) ha un ruolo non marginale nello sviluppo dell’azione comica: occupano e difendono l’Acropoli, supportano Lisistrata nell’agone con il Probulo (vv. 476-613), svolgono il ruolo di sagge consigliere (vv. 614-705). Questo tipo di donna anziana, che non sembra coincidere con la maschera della graus, è da ricondurre con ogni probabilità al filone rappresentato anche dal travestimento di Euripide-mezzana nelle Tesmoforiazuse (vv. 1177-1209), che certo riflette una tendenza dello stesso Euripide a impiegare la προαγωγός, «ruffiana», come emerge sia dalle Rane (vv. 1043, 1079) sia dall’Ippolito con la Nutrice (vv. 589 s.). Si profila quindi la maschera della mezzana che tanta fortuna avrà nella commedia nuova (Epicr. fr. 8 K.-A.; Philippid. fr. 15 K.-A.; Theophil. fr. 11 K.-A.) sino all’impiego diffuso che ne farà Plauto (Cleareta nell’Asinaria; Syra e Melaenis nella Cistellaria; Laena nel Curculio; Scapha nella Mostellaria)Sembra, al contrario, appartenere in modo marcato all’Archaia la maschera della graus, come emerge dalle Ecclesiazuse e dal Pluto.

 

Tratti fisici

I tratti fisici della maschera della graus che emergono dall’Archaia sono il volto rugoso e grinzoso (Ec. 877-879, 928 s., 1072 s.; Pl. 1050 s., 1064 s.), il colorito pallido (ὠχρός: V. 1413; Pl. 422), i pochi denti (Pl. 1055-1059; Philetaer. fr. 9 K.-A.), i capelli grigi (Pl. 1042 s.), e in particolare la σαπρότης, «putredine» [cfr. Oeri (1948, 11 s.)]. Sul decadimento fisico come corruzione Aristofane costruisce numerosi motti. Nella scena della Vecchia nel Pluto (vv. 9591096), al lamento di tono lirico della Vecchia che si strugge perché abbandonata dal giovane amante (ὑπὸ τοῦ γὰρ ἄλγους κατατέτηκα, «mi struggo per il dolore»), dopo che Pluto ha recuperato la vista, Cremilo risponde rovesciando di segno il registro elevato che l’immagine omerica del κατατήκειν, «liquefare», dello struggimento amoroso (Hom. Od. XIX 136) conferisce al lamento della Vecchia mutando κατατέτηκα in κατασέσηπας, «sei marcita» (οὔκ, ἀλλὰ κατασέσηπας). Ancora nel Pluto, Cremilo esorta il Giovane a bere anche la feccia del vino rosso, alludendo così ancora alla putredine della Vecchia (v. 1086). Nella Lisistrata, il Corifeo del Coro maschile di Vecchi chiama σαπρά, «marcia», la Corifea delle Vecchie (v. 378). Nelle Tesmoforiazuse, il Parente definisce Critilla γραῖα σαπρά, «putrida vecchia» (vv. 1024 s.), già caratterizzata in precedenza quale graus da Euripide (v. 896). Nella scena tra la Vecchia e la giovane etera delle Ecclesiazuse (vv. 877-937), il primo insulto che la νεανίς, «fanciulla», rivolge alla graus è ὦ σαπρά (v. 884), apostrofe ripetuta poi nel corso dello scontro che segue (v. 926). Ancora nelle Ecclesiazuse, nella scena successiva con le due megere, il Giovane chiude la scena con un lamento dal sapore tragico nel quale si proclama τρισκακοδαίμων, «tre volte sventurato», perché dovrà «chiavarsi per una notte e un giorno interi» una γυνὴ σαπρά, la «vecchia rancida» (vv. 1098 s.). Allo stesso modo, nel Cleofonte di Platone, la madre di Cleofonte è σαπρά (fr. 57 K.-A.), come nelle Panettiere di Ermippo la madre di Iperbolo è apostrofata quale σαπρά (fr. 9 K.-A.). Il tratto della σαπρότης è ereditato anche dalla Nea: la decadenza fisica è attribuita all’etera Neaira da Filetero nella Kynagis secondo le movenze del Wortspiel osservato nel Pluto: καὶ Νέαιρα κατασέσηπε (fr. 9,5-7 K.-A.).

 

Tratti caratteriali

La maschera della graus compare sulla scena dell’Archaia con una caratterizzazione compatta e coerente, fondata su tre principali elementi: l’amore per il vino, la tendenza alla chiacchiera vuota e, in particolare, l’innaturale desiderio erotico per i Giovani. È in maggior misura quest’ultima caratteristica il perno attorno al quale Aristofane, nelle Ecclesiazuse e nel Pluto, costruisce le scene nelle quali la graus diviene personaggio. L’eros della donna anziana appare quindi come il fondamentale tratto distintivo della maschera della Vecchia; pur presenti nel ritratto della Vecchia, l’amore per il vino e per la chiacchiera insulsa distinguono infatti il genere femminile nel suo complesso. Mentre la φιλοινία, «amore per il vino», e la λαλιά, «loquacità», ribaltano la realtà che esclude le donne di ogni età sia dal simposio sia dalle occasioni di dialogo pubblico o privato, con l’astinenza dal vino e il silenzio che rappresentano gran parte della virtù femminile, la maschera della vetula repuerascens è un tratto esclusivo della Vecchia, che, non più in grado di partorire, rovescia il ruolo della donna giovane ancora in grado di procreare, garanzia per la continuità dell’oikos, oppure della giovane etera che mette in atto un comportamento accettabile perché fondato sul ragionevole scambio tra bellezza e denaro. Con l’inversione dei rapporti erotici naturali, la maschera della Vecchia risponde quindi al complessivo progetto carnascialesco della commedia; non a caso, la graus assume un ruolo maggiore nelle scene delle Ecclesiazuse e del Pluto, dove rappresenta, in un contesto di notevoli innovazioni della struttura comica, un momento nel quale Aristofane torna alla tradizione della commedia «antinaturalistica e antipsicologica in contraddizione con le tendenze – probabilmente già operanti a questa data – che porteranno alla commedia nuova» [cfr. Capra (2010, 251)].

 

λαλιά

Per la λαλιά quale tratto della Vecchia [cfr. Oeri (1948, 12 s.)], un contributo è offerto dalla Lisistrata, dove il Corifeo dei Vecchi descrive come λαλεῖν l’argomentazione che la Corifea delle Vecchie sta sviluppando (v. 356). Ancora nella parabasi della Lisistrata, nell’epirrema dalla prima sizigia affidata al Coro di Vecchi, i consigli che le donne, rappresentate nella parabasi dal Coro di Vecchie, offrono ai cittadini sono ridotti all’inutile λαλεῖν (v. 626). Nel Pluto, al suo ingresso sulla scena Penia assume i tratti distintivi della graus: la faccia è giallognola (ὠχρά) e sbraita (ἀνἐκραγες) come un’ostessa o una venditrice di erbe (vv. 415-429). Ma ben più numerosi sono i luoghi dell’Archaia in cui la λαλιά è un tratto che distingue le donne di ogni età, come mostra in modo emblematico la battuta della Γυνή Α nel prologo delle Ecclesiazuse: τίς δ’ ὦ μέλ’ ἡμῶν οὐ λαλεῖν ἐπίσταται; (v. 120: «Ah sì, cara mia! Chi di noi non sa vociare a vanvera?»). Il tratto della λαλιά è ereditato dal ritratto della graus che offre Menandro: nei frammenti compaiono una διάβολος γραῦς, «vecchia pettegola» (fr. 878 K.-A.), una γραῦς τις κακόλογος, «vecchia maldicente» (fr. 256 K.-A.), e all’identico cliché è da ricondurre la sentenza conservata dal fr. 802: πολὺ χεῖρόν ἐστιν ἐρεθίσαι γραῦν ἢ κύνα, «è molto peggio provocare una vecchia che un cane».

 

φιλοινία

Il tratto della φιλοινία è attribuito nella commedia alla donna di ogni età [cfr. Oeri (1948, 13-18)], come mostrano la Coriannò di Ferecrate (frr. 73-76 K.-A.) e soprattutto le Ecclesiazuse, dove l’amore del genere femminile per il vino ricorre con frequenza (vv. 14 s., 43-45, 153-155, 227), ma nelle scene finali con le Vecchie tra i numerosi insulti che prima la giovane etera e poi il Giovane rivolgono alle tre γρᾶες mancano del tutto i richiami alla φιλοινία. La parabasi delle Nuvole, invece, conserva notizia della presenza nel Maricante di Eupoli di una γραῦς μεθύση, «vecchia ubriaca» che danza il cordace, forse la madre di Iperbolo (v. 555). Nel Pluto, Carione esorta la moglie di Cremilo, la cui età doveva essere avanzata se Cremilo, nel prologo, sostiene di essere ormai al termine della propria vita (v. 34), a portare del vino per festeggiare il recupero della vista da parte di Pluto, vino che, commenta Carione, lei ama bere (vv. 643-646). Allo stesso modo, mentre racconta alla padrona del momento in cui Pluto riacquista la vista al tempio di Asclepio, quale criterio di misura Carione impiega il tempo che la moglie di Cremilo impiega per bere dieci tazze di vino (vv. 737 s.). E all’ingresso della Vecchia, disperata a causa del recupero della vista da parte di Pluto, Cremilo costruisce un gioco fondato di nuovo sulla φιλοινία, con l’aprosdoketon ἔπινες, «bevevi», per ἐδίκαζες, «eri giudice», o ἔκρινες, «giudicavi» [v. 972; cfr. Totaro (2013, 118 n. 5)]. Nel Cocalo (fr. 364 K.-A.), compaiono delle γρᾶες che versano grandi quantità di vino puro in enormi tazze, prese con violenza dall’eros per il vino nero di Taso. Nella Nemea di Teopompo (fr. 33 K.-A.), la vecchia serva Teolite cede subito all’invito a bere da una tazza del celebre Tericle. La Vecchia ubriaca doveva essere una maschera frequente in Teopompo, come attesta Polluce, che offre una serie di attributi per la maschera comica della Vecchia ubriaca (Poll. II 18 = fr. 80 K.-A.). Tracce della φιλοινία quale tratto distintivo della γρᾶυς sono conservate nella commedia nuova da Antifane, che nell’Asclepio (fr. 45 K.-A.) e nella Mystis (fr. 163 K.-A.) gioca sulla predilezione delle Vecchie per le grandi tazze da vino, come da Assionico (fr. 7 K.-A.), Dionigi (fr. 5 K.-A.) e da Menandro nella Perinthia (fr. 5 K.-A.). Pur presente nella caratterizzazione della graus, l’amore per il vino, come la loquacità, è con ogni probabilità un tratto che la Vecchia condivide con il genere femminile nel suo insieme. Certo, la maggiore libertà dai doveri familiari della donna anziana, spesso vedova, rispetto alla giovane sposa permette alla φιλοινία e alla chiacchiera di trovare il libero sfogo che gli obblighi verso il decoro dell’oikos vietavano alla donna giovane e matura. Ma, come vedremo, il tratto che distingue la maschera della graus nell’Archaia non sembra essere né l’amore per il vino né la λαλιά, bensì l’innaturale desiderio sessuale.

 

Vetula repuerascens

Aspetto preminente della maschera comica della Vecchia è il rapporto innaturale con l’eros, dal quale emerge il profilo della vetula repuerascens [cfr. Oeri (1948, 19-21)]. In Aristofane, la vetula repuerascens diviene personaggio sulla scena: nelle Ecclesiazuse, l’assemblea femminile delibera sulla precedenza che le vecchie devono avere sulle donne giovani nell’unione sessuale con i giovani maschi. Su questa base, Aristofane costruisce una scena di competizione fra una giovane etera e una graus, nella quale la giovane prevale sino all’ingresso in scena di una seconda graus, che a sua volta esce vincitrice dall’agone contro la prima Vecchia. Una analoga caratterizzazione è offerta dal Pluto: una Vecchia entra in scena lamentandosi di essere stata abbandonata dal suo giovane amante, che grazie alla guarigione di Pluto ora non ha più bisogno dei suoi doni. In particolare la scena del Pluto permette di osservare come la maschera della Vecchia rovesci di segno il topos del servitium amoris nella coppia di giovani amanti [cfr. Totaro (2013)]. La Vecchia indossa vesti ricamate (v. 1119), è truccata per coprire le rughe (vv. 1064 s.) e lamenta la fine del proprio idillio amoroso che seguiva le norme del reciproco servizio d’amore: εἰ γάρ του δεηθείην ἐγώ / ἅπαντ’ ἐποίει κοσμίως μοι καὶ καλῶς / ἐγὼ δ’ ἐκείνῳ γ’ αὖ τὰ πάνθ’ ὑπηρέτουν (vv. 977-979: «Avevo un desiderio? E lui era lì, cortese, pronto ad accontentarmi. Io, da parte mia, lo contraccambiavo in tutto»). Aristofane attribuisce alla Vecchia un ricco repertorio di motivi topici dell’eros che Cremilo detorce sempre in chiave comica: il mantello quale oggetto che ricorda l’amata (vv. 989-992), l’assidua frequentazione (vv. 1006 s.), il desiderio verso la voce dell’amata (vv. 1008 s.), l’uso di vezzeggiativi (vv. 1010 s.), la gelosia violenta (vv. 1013-1016), la celebrazione di parti del corpo della donna (vv. 1018, 1020, 1022), la promessa di fedeltà eterna (v. 1032). Ma il recupero della vista da parte di Pluto, che ha liberato dall’indigenza il giovane amante della Vecchia, pone fine all’idillio regolato dalla norma della giusta reciprocità: la Vecchia si rivolge ora al dio per ristabilire la δίκη amorosa. Agisce qui il locus classicus della reciprocità amorosa: l’ode saffica ad Afrodite (fr. 1 V.), dalla quale, con ogni probabilità, Aristofane deriva per la scena del Pluto anche lo scambio iniquo dei dolci che segna agli occhi della Vecchia la fine dell’equilibrio amoroso [cfr. Totaro (2013, 121 s.)]. Dopo l’ingresso del giovane amante, la scena offre una ricca rassegna della scommatica riservata alla maschera della Vecchia: le rughe (vv. 1050 s.), i pochi denti (vv. 1055-1061), la sporcizia (v. 1062), l’età iperbolica di tredicimila anni (vv. 1082 s.).

La maschera della Vecchia è caratterizzata in modo analogo nelle scene burlesche delle Ecclesiazuse (vv. 877-1111). La prima Vecchia, probabilmente un’etera, compare davanti alla porta di casa mentre attende l’arrivo degli uomini dal banchetto, in aperta rivalità con una giovane affacciata alla finestra, anch’essa in attesa. Come nel Pluto, emergono dal testo gli elementi che subito danno forma alla maschera della vetula repuerascens: il trucco abbondante (v. 878) e la raffinata veste color zafferano (v. 879). La Vecchia invoca ora la Musa perché le ispiri una canzoncina ionica, con ogni probabilità un esempio di canzone popolare oscena, le ἑταιρικαί o πορνῳδίαι, che aveva avuto anche interpreti raffinati come Gnesippo e Meleto: l’aspetto della Vecchia abbinato alla chiara portata erotica del canto, insieme al modulo epico con il quale è richiesto l’aiuto della Musa, offre un ritratto grottesco di una maschera che agisce in modo inverso rispetto a quanto l’età e l’aspetto esteriore richiedono. Nello scontro che segue con la νεανίς, emergono di nuovo gli elementi ricorrenti di scommatica: la σαπρότης (vv. 884, 926), il trucco inutile (vv. 904, 929), la prossimità alla morte (vv. 905, 926), il vecchio come unico amante possibile (v. 932). Al medesimo tema della vecchiaia che si identifica con la morte allude il giovane amante, nella scena che segue, quando sostiene che il vero ἐραστής, «amante», della Vecchia dovrebbe essere il pittore che dipinge le anfore dei morti (vv. 994-997). Come il registro lirico dell’inno cletico e della canzone ionica, così il linguaggio giuridico con il quale la prima Vecchia obbliga il Giovane a seguirlo nella casa innesca il tour de force comico che, con l’arrivo in successione della seconda e della terza Vecchia, condurrà alla rovina finale del Giovane: il decreto di Prassagora che consente alla Vecchia di portare via l’amante alla giovane (vv. 1015-1020). La detorsione comica del linguaggio dei decreti segna di nuovo la natura tradizionale della maschera della graus in quanto rovesciamento carnascialesco del dato di realtà. Il gioco sul linguaggio giuridico prosegue infatti con la Vecchia 2, che mostra una notevole confidenza con il codice nuovo imposto da Prassagora. Con l’ingresso della Vecchia 3, il finale delle Ecclesiazuse illustra quindi il trionfo della maschera della graus, che grazie all’utopia realizzata da Prassagora afferma il rovesciamento di segno della realtà: un tratto che rivela come la maschera della graus rappresenti forse un tentativo estremo da parte di Aristofane di far sopravvivere elementi dell’Archaia nella nuova Stimmung che culminerà nella Nea.

Mario Regali © 2016