Monica Longobardi - Tradurre una lingua minoritaria: l'Occitano

(A proposito di) Joan Ganhaire, Voi che mi avete uccisa, Introduzione, traduzione e note di Monica Longobardi. Nota linguistica di Matteo Rivoira, Arenzano, Virtuosa-Mente («Testo a fronte»), 2021, pp. 454.

 

Terra incognita: la letteratura occitanica oggi

 

Ma quasi tutti (e spesso perfino i nostri filologi romanzi, dediti esclusivamente al Medioevo) ignorano che quell’antica letteratura ha continuato a vivere e vive tuttora: unica a svilupparsi con continuità di tradizione sul territorio chiamato Francia, fra Atlantico e Mediterraneo, a dispetto del centralismo parigino e d’una costituzione che recita: “il francese è la lingua della Repubblica”. Sicché il verso di Robert Lafont collocato alla ribalta – “il solo potere è dire” – testimonia una disperata, secolare tenacia

 

Così si esprimeva Fausta Garavini a proposito dell’occitano, la lingua minoritaria dal pedigree letterario più nobile di Francia[1]. Con l’ordinanza di Francesco I, infatti, nel 1539, si imponeva il francese per gli usi ufficiali (“en langaige maternel françois, et non autrement”» ), declassando le lingue ‘altre’ a patois.[2]

Eppure la letteratura occitanica proseguì in epoca barocca e rococò[3], e, dopo Mistral, sino ad oggi, bella e varia, contemplando, oltre alla poesia, tutti i generi letterari della prosa[4]. Conquistata da tale letteratura, dal 2015 le ho dedicato sempre più spazio nei miei corsi universitari, ed in soli cinque anni ho assegnato tesi[5] e formato un fondo librario di oltre 250 volumi. Nel 2019, uscì il mioViaggio in Occitania[6], dedicato a tre grandi autori novecenteschi: Joseph d’Arbaud, autore di un meraviglioso romanzo ambientato in una Camargue mitica; Max-Philippe Delavouët, con un poema epico consacrato alla salma di un re che discende la corrente del Rodano sino agli Alyscamps, e Joan Ganhaire, di cui traducevo estratti di un romanzo neo-medievale dove le stirpi degli uomini e dei lupi, nemici, scrivono pagine di una guerra che duetta con la grande storia.

Eppure, della letteratura occitanica contemporanea, in Italia, si continua ad ignorare per lo più l’esistenza, mancando gli spazi accademici o quelli divulgativi per farla conoscere.

 

Le parole perdute del mondo occitano

 

«un populu / diventa poviru e servu / quannu ci arrubbanu a lingua / addutata di patri: / è persu pi sempri»[7].

 

Nel convegno internazionale sulle minoranze linguistiche che organizzai a Ferrara nel 2015[8], indugiai sulle testimonianze novecentesche del doloroso distacco dalla lingua madre, di questa menomazione della propria dignità. E vi unii le voci poetiche degli occitani, delle loro parole perdute o morenti:

 

Los mòts de quau país que dermiàn diens ma tèsta / que mas aurelhas auvián plus /que ma bocha aiá plus / l’avèrtia de los dire / que m’èro resougut a eissublar / los mòts de quau país que cresiáu lètras mòrtas / se botèran a me parlar / coma qui ramassa sas força’ au darreir rofle» (le parole di questo paese che mi dormivano in testa / che i miei orecchi non sentivano più / che la mia bocca non sapeva più dire / che mi ero rassegnato a dimenticare / le parole di questo paese che credevo lettera morta / si sono messe a parlarmi / come chi raccoglie le forze all’ultimo soffio). [9]

 

Le leggi di tutela[10] giungono dopo tempi secolari di discriminazione linguistica, mentre  meccanismi costanti tra conflitti di lingue e di cultura -- sprezzo da parte della lingua egemone, e vergogna di chi parla una lingua perdente – arrivano a provocare quell’auto-censura condensata nel titolo del recente volume Je n’ai plus osé ouvrir la bouche[11]. Philippe Blanchet la chiama addirittura glottophobie[12] e ravvisa nella discriminazione linguistica, che arriva a stigmatizzare persino le inflessioni dialettali[13], un grave danno ai diritti della persona. Per contro, le lingue minoritarie in territorio francese conoscono in questi ultimi decenni un grande risveglio per quanto concerne le loro letterature usualmente neglette[14]. Così vale per la poesia:

 

S’il est un domaine où nous sommes gouvernés sans le savoir et contraints malgré nous à la soumission… c’est bien celui de la parole… On comprend dès lors aisément que ledit pouvoir récuse en principe, par exclusion ou marginalisation, ce qu’il ressent comme un excès de langue, les langues dites régionales évidemment, les dialectes, argots et autres expressions non conformes… la poésie par example[15]

Mentre, come ribadisce Jean-Pierre Siméon: «toute langue non conforme à la langue dominante est une terre de liberté».

 

Limosino: lenga maudicha

 

Gli esempi di discriminazione delle lingue minoritarie in Francia abbondano[16], ma raccogliamo direttamente la testimonianza dell’autore di cui abbiamo curato la traduzione, Joan Ganhaire (Agen, 1941)[17]. Il limosino è la lingua del Périgord, dove Ganhaire ha vissuto da adulto; nella sua infanzia, la lingua locale gli era stata taciuta in famiglia, poiché «era dejà una lenga maudicha que faliá pas parlar, que faliá pas parlar aus dròlles». Questo processo di censura linguistica nei confronti dei bambini, del resto, è un fenomeno che anche in Italia si verificò ampiamente nel Novecento, perché il dialetto era ancora connotato di tutte quelle disqualità (arretratezza, svantaggio sociale, mancata scolarizzazione) di cui le famiglie intendevano liberarsi per sempre facendo apprendere la buona lingua nazionale[18]. Quando si istallò da medico di campagna nel Périgord, però, imparò dai suoi pazienti la lingua locale in un paese che, alla fine degli anni Sessanta: «i aviá enquera tot plen de monde que parlavan occitan, de personas ajadas un pauc», ovvero, contava ancora molti locutori, anche se un po’ attempati.... E la sua vocazione di scrittore? Questa idea maturò realmente insieme alla scoperta della sua identità linguistica occitana: «n’ai jamai escrich una linha en francés e io pense que podrai pas» (non ho mai scritto una riga in francese e penso che non potrei). In Ganhaire, dunque, la scelta esclusiva dell’occitano, nella variante limosina esprime una posizione ideologica, condivisa da molti occitanisti, contro il colonialismo interno francese. Il suo uso esclusivo, in questa prospettiva, vale a dimostrare che la sua lingua regionale è capace di dare forma a tutti i generi della letteratura. Poliziesco compreso.

 

Esiste un poliziesco occitano!?

 

Come accade per tutta la letteratura occitanica contemporanea, anche nel caso di questo genere più recente, si stenta ad arrivare ad una consapevolezza diffusa oltre i confini dell’Occitania. Eppure, da quasi un cinquantennio si contano decine di polar scritti in occitano, ma non tradotti in francese o tanto meno in italiano[19]. E si tiene pure un numero sorprendente di festival del noir sul territorio[20]. Come esistono polar che, pur redatti in francese, oppure una forma peculiare quale il cosiddetto ‘francese di Marsiglia’, per esempio, ci restituiscono una realtà mediterranea meticcia che non è né la Francia parigina né l’idealizzata Provenza. È il caso di Jean-Claude Izzo (1945-2000), Philippe Carrese (1956-2019) e François Thomazeau (1961-), di cui solo il primo gode di traduzione italiana.

Quello che a noi interessa rintracciare, però, avendo esplorato letterariamente il Périgord di Joan Ganhaire, non sono le metropoli francesi, Parigi o Marsiglia, antagoniste tra loro, ma entrambe scenario elettivo della malavita internazionale, bensì il piccolo mondo della provincia. Potremmo parlare della Manosque (Alpes de Haute-Provence) di Pierre Magnan (1922-2012), noto e tradotto anche in Italia. La ‘capitale’ di questo minuscolo universo agitato dai casi su cui il commissario Laviolette indaga è addirittura la piccola Digne. Paesaggio ricreato e sognato alla luce di quella letteratura che, al giovane digiuno di lettere, dispensò il più noto cantore della Provenza mitica, Jean Giono, manosquino come lui, suo maestro di vita e di cultura. L’omaggio più consacrante lo regala a Magnan proprio un altro maestro del genere, Andrea Camilleri, ne La prima indagine di Montalbano:

tutti i so’ libra stavano in due casse ancora chiuse, le più pesanti. Si susì, raprì la prima cassa e, naturalmente, non trovò quello che circava, il romanzo giallo di un francisi che si chiamava Magnan, intitolato Il sangue degli Atridi. L’aviva già liggiuto, ma gli piaceva per come era scritto.[21]

 

Ma Pierre Magnan scrive in francese, facendo dunque parte di tutti quegli autori “d’expression française” in cui la lingua nativa occitana rimane un’ombra, l’ombra del rimosso[22].

Ma chi conosce i polizieschi, scritti in varianti dell’occitano, di Raimond Guiraud (1929-2013), Joan-Loís Lavit (1959) o Éric Gonzalès (1964-); di Jòrdi Peladan (1938-) o di Reinat Toscano (Nizza, 1959-), che vive a Le Val, presso Brignoles, dove ambienta L’afaire dau porquet ?[23] E c’è pure una Marsiglia diversa dagli Izzo-Carrese-Thomazeau: c’è Romieg Jumèu (1930-) che scrive in provenzale Embolh a Malamosca. Florian Vernet (1941-), tra i più originali, scrive polizieschi ‘alla marsigliese’, ma con storie sarcastiche e surreali, fra traffici d’organi di clinici Suça-sang e storie che ammiccano al pulp di Tarantino (Popre Ficcion)[24]. Insomma, dai Pirenei ai confini con l’Italia, tutto un mondo non conosciuto che vive nell’ombra di una terra incognita, nella più nota Francia.

 

Joan Ganhaire, medico e scrittore

 

Pour le médecin comme pour l’écrivain, les hommes sont donc avant tout des corps fragiles, sans cesse menacés par la maladie et la mort. C’est cette fragilité qui fait la vie si précieuse[25]

Sull’opera di Ganhaire, sicuramente uno dei maggiori scrittori occitani, nel 2020 si è discussa a Montpellier un’imponente tesi di dottorato[26]; secondo la studiosa, Fabienne Garnerin, il mestiere di medico, esercitato per oltre trent’anni, ha predisposto l’autore all’osservazione minuziosa delle malattie, fisiche e mentali, la cui esperienza emotiva, piena d’orrore e di pietà, ha naturalmente riversato nella sua attività letteraria. La sua opera abbonda di organi spappolati da ferite o invasi dal cancro,[27] sino a quelli tranciati ed essiccati (orecchie, teste, cuori) che si fanno amuleto macabro per i suoi personaggi, specie nel genere di ‘cappa e spada’ che questo eclettico scrittore ha coltivato.

Come osserva acutamente la Garnerin, la competenza e la pietà umana di Ganhaire arrivano a compatire un ampio ventaglio di malattie, incluse quelle mentali o dello spirito. Ora comicamente (la degenerazione senile del barone Montalassus nelle Cronicas de Vent-l’i-Bufa), ora semitragicamente (la scissione identitaria dell’ ispettore Le Goff, metà còrso e metà bretone, nei suoi polizieschi), ora indagando le ferite dell’anima più oscure (l’incesto, le allucinazioni, il mutismo in cui si blindano le piaghe piu cocenti), egli dà voce a questi afflitti[28].

In Vautres que m’avetz tuada, per esempio, il povero Cristòu, che soccombe alla crudeltà del padre militare, è affetto da una sindrome teratogena, come soccombono agli abusi gli indifesi disabili al centro del poliziesco di denuncia Un tant doç fogier.

 

Personalmente, conobbi Joan Ganhaire al Festival delle  lingue madri di Ostana, dove, nel 2016, veniva premiato. E una delle prime cose che mi raccontò di sé fu il suo orrore per le autopsie patito da giovane studente di medicina a Bordeaux. E fu per liberarsi da questa ossessione che molti anni dopo scrisse il magnifico Lo viatge aquitan, che narra del macabro recupero del corpo di un amico nelle vasche di conservazione dei cadaveri dell’obitorio[29]. E di cadaveri e di autopsie non potevano non parlare (e con dottrina) anche i suoi polizieschi[30], compreso questo Voi che mi avete uccisa, storia criminosa di ambientazione medica, che ne presenta ben tre, eseguite dal medico legale Masdelbòsc, detto Sniffamorte. Nella stessa occasione del Premio Ostana, gli fu dedicato un video, da lui magnificamente interpretato, dove visita il piccolo cimitero di questo paese di montagna di ottanta anime, e, mentre medita sulle tombe e sulla morte, la sua voce pronuncia le parole inorridite de Lo viatge aquitan[31].

 

Voi che mi avete uccisa: Vautres que m’avetz tuada (2013)

 

Dopo una produzione vasta e varia, che data dal 1979, il primo vero poliziesco di Ganhaire, Sorne trasluc[32] (Fosco plenilunio) è solo del 2004.  La serie, che ad oggi conta otto volumi, vede la medesima squadra capitanata da Alexandre Darnaudguilhem affrontare i casi più disparati, molti dei quali inscenano situazioni che rispecchiano i suoi impegni politici e civili in difesa dei diritti dei rifugiati politici, dei disabili, degli zingari. L’ultimo, Vent de sable (2020), vede il clochard Rodilha ricomparire dal passato (ha un ruolo determinante nello scioglimento del plot di Vautres que m’avetz tuada). Ma ricomparire morto stecchito: la morte di un ‘invisibile’, informatore della polizia di Maraval, porterà verso luoghi dimenticati della storia colonialista dell’Occitania.

Dicevamo l’ultimo… ma ecco che una lettera di Ganhaire mi annuncia in questi giorni l’uscita in volume di Enquestas de pas creire de Gaëtan Caüsac daus Ombradors (Novelum-IEO Perigòrd), sorta di eteronimo di Darnaudguilhem, che aveva preso forma proprio mentre maturava Vautres que m’avetz tuada[33]. Del primo episodio, uscito come i successivi sulla rivista «Paraulas de Novelum», si diceva:

Cette fois, nous suivons l’équipe du Comte Gaëtan Caüsac daus Ombradors, commissaire de police de son état, mélomane et sorte de cousin un peu déjanté du commissaire Darnaudguilhem, dans des aventures qui vont le conduire jusqu’à d’anciennes carrières non loin de Maraval[34].

E saranno davvero Indagini incredibili

 

E il suo terzo poliziesco?

 

le pire est que cette histoire est une histoire vraie qui fut racontée à l’auteur par une de ses patientes dépressives dans un moment rare de confiance: «je n’en ai jamais parlé à personne...». Simplement, l’envie de tuer est restée au stade de projet, mais le vieux revolver de son mari avait été soigneusement entretenu, au cas où... l’auteur devait bien à cette dame de l’aider à entreprendre sa vengence... (Ganhaire).

 

È da questa vicenda di una donna caduta vittima di una famiglia di militari e della corruzione dei medici, che ho deciso di presentare i polizieschi di Ganhaire. Come parlarne senza svelare il plot? Già il titolo schiude la siloeta dell’intrigo: Vautres ‘voialtri / voi’ allude ad una congiura e tuada ad un omicidio di una donna. E tuada va inteso in senso proprio o morale?

Dicevamo che il calibro dei luoghi dove spazia l’azione dell’investigatore è principalmente quello delle piccole comunità del suo Périgord. Tra essi, ci sono quelli di fantasia, come Maraval (sotto mentite spoglie, la sua piccola Périgueux), centro dell’azione e sede del commissariato dove opera e investiga Alexandre Darnaudguilhem e la sua squadra bizzarra. E frutto di fantasia è pure Puegmaurin, paesello dove il Bastard (ha il fiuto di un bastardo ed è un ‘figlio dell’Assistenza’) ha vissuto con la sua famiglia adottiva, ritornandoci, in questo numero della serie, per una maestosa macellazione del porco in cui tutti i delitti degli umani sembrano riconoscersi in paradigma. Il reticolo geografico del mondo irrequieto di Darnaudguilhem, di fatto, si dissemina su piccole località vagamente afferenti all’Alta-Dordogna, come Aiguranda, dove vive la sua infelicità la vittima di questo poliziesco, sino all’evento scatenante.

Lontana è la granda vila, Bordeaux. Più lontano il gran diporto di pensionati d’oro: è l’Atlantico delle ventilate Cabanes Tchanquées di Arcachon. Eppure, anche in «ce merveilleux pays de sable et de pins, de sel et de résine»[35], si è spinto il ricordo dell’orrore di sacrifici perpetrati in famiglie di notabili, con la complicità della classe medica. L’episodio ambientato ad Aiguranda è anche sintomatico per la dimensione temporale che prevale nell’opera di Ganhaire, ovvero un passato più glorioso del malinconico presente, e che dona un fascino particolare alle sue storie: «In altri tempi, sì, s’era potuto parlare di traffico marittimo. I barili, le casse di vino s’imbarcavano a migliaia verso Bordeaux, talvolta direttamente per la Spagna o l’Inghilterra. Ma ora, qualche velista, qualche gabarra carica di legname, qualche pescatore di alosa o di lampreda» … p. 289. Insomma, il tempo ha rallentato la sua corsa in quel porto ormai assopito; ristagna nella bella, ma fredda dimora della vedova Irena, confidente della vittima: «Persino il tempo s’era cristallizzato in un orologio che segnava un’ora imprecisata nell’immobilità del suo disco di rame» (ibidem). L’età di molti personaggi (vedove, signorine invecchiate, militari ritirati in commende, medici pensionati o pensionandi) segna il crepuscolo[36]. La famiglia del decrepito e mefistofelico generale Fredafont evoca uno spettro, la storia guerreggiata e sanguinaria della nazione, su cui Ganhaire fa un affondo di deprecazione. Pagine che dialogano tra la storia militare di Francia e i suoi velleitari recessi periferici che si cristallizzano in statue marziali e monumenti funebri ampollosi e ridicoli dove va a precipitare la vanagloria del passato.

La figura angelica più venerata, d’altro canto, è la novantenne signorina Ròca, ex-insegnante della scuola che molti colpevoli del romanzo hanno frequentato nella loro infanzia, e che strappa a Ganhaire una tenera ammirazione: «una vera immagine da libri per l’infanzia». Il suo giardinetto colmo di aiuole, il suo salottino lindo e pinto restituiscono un affresco gozzaniano (« le buone cose di pessimo gusto») di un sacello che la brutalità del presente non dovrebbe contaminare.

Anche il gusto prevalente di Darnaud-Ganhaire per film della prima metà del Novecento, ed i suoi attori di culto (Humphrey Bogart, Orson Welles, Peter Lorre), depongono per un immaginario in bianco e nero (o, se si vuole, in bianco e noir…).[37]

La componente macabra di Ganhaire qui si infiltra nelle descrizioni minuziose e sconcertanti di tre  autopsie, nelle stanze di amene pensioni dai nomi floreali (Las Glicinas) dove trova una morte brutale e inaspettata la protagonista; nelle cliniche dove i medici estraggono «tripas, matriças, ronhons, prostatas de tot semen». Nel grande medaglione del sacrificio del porco («Verrai sabato? Ammazziamo» è riferito a questo rito collettivo), invece, dove il macabro rurale duetta con il macabro clinico, si addensa l’orrore, la pietà e la ripugnanza del commissario verso un’altra creatura uccisa e macellata per i suoi «tripas, matriças, ronhons»[38]. Il sangue versato diventa sanguinaccio, ma la sofferenza è una[39].

Ma a quale altro macello di carni umane si sta alludendo?

Ganhaire scruta severo e insieme con spirito grottesco il marcio di una periferia sorniona e sordida sin dentro agli organi cariati dei suoi cittadini, camici e pigiami. Riesuma corpi e fantasmi di vicende dormienti nei piccoli cimiteri e nei bui archivi dei gabinetti di analisi. E sotto il suo sguardo lucido e penetrante, le miserie di un piccolo mondo diventano paradigma della condizione umana.

 

Tradurre CON l’autore: una catena didattica

 

’Fectivament, los romans policiers fan partida d’una literatura d’aisat legir, çò que manca un pauc en Occitania. Surtir dau "trobar clus" … me sembla plan important per ofrir aus jòunes quauquaren de pas tròp einoiós a legir: aventura, misteri, umor, çò que dise "literatura de gara", deu espelir si un vòu apelar lo mai possible de legeires.[40]

 

Joan Ganhaire, scrittore e docente in corsi di occitano-limosino della sua comunità, riconosce nel poliziesco una lettura scorrevole e accattivante per tutti e che possa avvicinare anche i giovani occitani alla scoperta della propria lingua d’appartenenza. È la stessa ragione didattica che mi ha mossa a scegliere di curare, nella sua vasta produzione, proprio un suo poliziesco, per conquistare più facilmente l’interesse dei miei giovani allievi. Ma le consonanze e le felici circostanze non finiscono qui.

L’esperienza che ho vissuto nell’approntare questa mediazione linguistico-culturale globale, grazie a lui,  ha dell’esemplare. In buona sostanza, io, consapevole della mia modesta padronanza del limosino, mi sono fatta ‘alunna’ di Ganhaire che, confermando la sua formidabile vocazione all’insegnamento, mi ha regalato decine e decine di spiegazioni sulla sua lingua, sui frequentissimi proverbi e frasi idiomatiche[41] (spiegazioni essenziali, mancando repertori all’altezza del compito) che impreziosiscono la sua prosa, ma anche legate all’ambientazione di cui lui, come autore, evoca con grande ricchezza di dettagli aspetti usualmente ignoti, da quelli pertinenti all’ambito clinico a quelli rurali della macellazione del porco, dai giochi di carte ai vini e liquori che si servono nei loro bistrot, dai costumi e credenze bretoni alla sua geografia immaginaria che ricalca, però, capillarmente, i luoghi grandi o minuscoli del suo vissuto.  E lo ha fatto con tanta gioia, leggerezza e tanto umorismo che ho ritenuto un sacrilegio che tutto questo tesoro restasse celato ai miei allievi. Ho dunque preso la decisione di arricchire il doppio apparato di note, quello alla lingua limosina e quello alle mie scelte di traduzione (corredi che scorrono separatamente) con le spiegazioni dell’autore, un patrimonio impagabile di conoscenze che ho avuto il privilegio di ricevere in prima persona e di condividere poi con chi leggerà questa esperienza nel suo insieme, divertendosi persino nella lettura delle note.

E nella sua rara capacità di mettersi al servizio dei suoi discepoli (i suoi corsisti, me compresa), è arrivato persino a propormi di rinunciare alle sue scelte d’autore. Faccio solo un esempio.

Ganhaire è un cinefilo, passione che presta al suo investigatore. Mi è parso innegabile che spesso i film che cita siano in rapporto con la vicenda narrata. In proposito, non si può non cogliere la relazione che intercorre tra Cristòu e la citazione di un film-culto, Freaks, di Tod Browning (1932). Nel mio entusiasmo di neofita, dunque, ho pensato pure che, rammentando nel romanzo il film Quand la vila duerm, la mise en abyme con i delitti di Vautres que m’avetz tuada sarebbe stata perfetta con The Sleeping City, un film degli anni Cinquanta dove un giovane medico chirurgo viene freddato (proprio come succede a Cabanel), e chi indaga, insinuandosi sotto mentite spoglie nell’ospedale, è un investigatore che ha nozioni di medicina. E il titolo in italiano, guarda caso, in è Mentre la città dorme. Ma Ganhaire, mortificato, smonta le mie brillantissime elucubrazioni, rinviandomi a Quand la ville dort: «Ma référence est le film "Jungle Asphalt" de John Huston. J’ignorais complètement l’autre, et je découvre qu’il se passe dans le milieu médical! Tu nous en aura appris des choses! C’est une très bonne idée! Bien sûr que si j’avais connu ce film, c’est lui auquel j’aurais fait allusion!». Reazione imprevedibile in un autore e decisamente generosa, ma che diventa rivoluzionaria quando aggiunge: « Je te permets de faire référence a "The sleeping city". C’est effectivement une mise en abyme excellente, dont l’honneur te revient!!».

 

Come tradurre la lenga maudicha? Montalbano je suis

 

Ma l’estrema generosità dell’autore non ci esime dalle nostre responsabilità, tra cui quella cruciale di scegliere in quale lingua tradurre il limosino di Ganhaire, con i suoi spiccati caratteri d’autore. E quale lingua si addice d’altronde, al genere poliziesco? Come afferma Micheu Chapduelh, prefatore del poliziesco di Ganhaire, anche un grande autore non deve snaturare la lingua popolare del genere di appartenenza, e comunque non deve «l’asseptizar» e «l’academizar». Di conseguenza, chiusi tra Scilla e Cariddi, dovevamo schivare il cauto ed incolore ‘traduttese’. Quali esempi seguire? Il vero compromesso per me è stato quello di onorare una scrittura tanto talentuosa, senza disorientare al contempo l’allievo o chi sia totalmente digiuno di occitano, che dalla mia versione deve cogliere qualcosa della grandezza dell’originale. Già, ma cosa c’entra Camilleri?

 

Ai totjorn agut grand plaser a legir daus romans policiers, J.H Chase, Chandler, Rex Stout, John Dickson Carr, Agatha Christie, Boileau Narcejac, Simenon e de segur Conan Doyle an breçat ma jounessa, e pus tard, Sjôwall e Wallö, Fruttero e Lucentini, Mankell, Elis Peters, Fred Vargas e subretot Andrea Camilleri. Dins quel autor sicilian, ai trobat (en tota modestia!) un frair en escritura: usatge dau dialecte sicilian, creacion d’un comissariat improbable dins una vila imaginara lançat dins de las aventuras umanas ente l’umor aida a suportar la sufrença. E ai chausit mon genre: lo de l’enigma policiera, emb sos suspiechs, sas faussas dralhas, sos rebombaments… Quo es un genre que damanda tot plen de rigor per menar lo legeire per lo bot dau nas devers una fin au còp estonanta e plausibla! («Anem! Occitans!», pp. 20-21)

 

In questa risposta all’intervista di Marçau de l’Oliu, Ganhaire elenca i suoi autori preferiti sino proprio a Camilleri, scoperto ai tempi in cui scrivevaVautres que m’avetz tuada, prediletto per quel mix di italiano e siciliano in una Vigàta immaginaria, come la sua Maraval. Curiosamente, infatti, il problema della resa adeguata del peculiare linguaggio della città letteraria di Vigàta[42] coinvolge da vicino non tanto la Francia, ma proprio segnatamente l’Occitania. I traduttori ufficiali della serie di Montalbano, infatti, sono Serge Quadruppani[43], che usa il provenzale-marsigliese delle sue origini per colorare di meridionalità il suo francese d’arrivo, e Dominique Vittoz, che attinge addirittura a varianti desuete del suo francoprovenzale:

 

da una parte abbiamo Dominique Vittoz, che si approccia al lavoro di traduzione partendo dal presupposto che «le parole in dialetto irradiano suoni, odori, colori»; ecco perché Vittoz, come spiega nel dettaglio Mainetti, «crea un francese meticcio che attinge a piene mani dalla parlata francoprovenzale di Lione ormai in disuso. Dove possibile, le singole parole siciliane sono sostituite da termini lionesi».

Dall’altra parte abbiamo invece Serge Quadruppani, che traduce Camilleri cercando di far risaltare il divario tra dialetto e italiano, attingendo dai gerghi del sud della Francia, in particolare dal marsigliese. … Quadruppani vuole riproporre il suono, la parlata di Montalbano e dei suoi, e allora forza il francese. Lui traduce “Montalbano sono” con Montalbano je suis, che in francese è un azzardo, ma restituisce bene il carattere del protagonista, un eroe burbero e integerrimo, con uno spirito solitario e a tratti selvatico [44].

 

In modo particolare, Dominique Vittoz[45], indica nei regionalismi[46] e nell’argot i correttivi e le vie di fuga dalla camicia di forza della lingua ‘depurata’ del centralismo francese. Ma, altrettanto saggiamente, affida al chiaroscuro dei registri linguistici e al patrimonio idiomatico la sua scelta di fondo per spremere il succo del vigatese in terra di Francia, senza inaridirlo. È la strada che ho scelto per il mio sommesso esperimento sul limosino di Ganhaire, ricchissimo di usi locali, di registri contrastanti e di modi di dire.

 

Tra bofonchiare e sgavagnarsela: la mia lingua del cuore

 

Come osserva Matteo Rivoira, la lingua di Ganhaire è allineata con lo standard limosino, e (deliberatamente)[47] cerca di arginare l’influenza francese, tanto da essere accusata di iperdialettalismo monolinguistico[48]. Quanto alla traduzione italiana, però, non ci è sembrata opportuna né praticabile la scelta di un solo dialetto o varietà regionale, anche perché, da noi, ormai si è consolidata una costante osmosi tra localismi e italiano dell’uso[49]. D'altronde, è altrettanto assodata una certa ambientazione geografica e la presenza dei dialetti o degli italiani regionali[50] nel poliziesco italiano, di cui è nota, per così dire, la mappa.[51]

Per rendere la lingua del cuore di Ganhaire, dunque, ho seguito la mia lingua del cuore, ovvero la mia ‘biografia linguistica’[52], tra toscano e qualche incursione nella mia Romagna adottiva. Se ne apprezzeranno qui alcuni esempi in campione.

Alla mia permanenza ormai quarantennale in Romagna, dunque, devo invurní e sgavagnare: «mas la dama Castelli era pas màrfia» (Ma la signora Castelli non era mica un’invurnida[53]), p. 219 con riferimento alla scafata amante di turno del dottor Cabanel, che entra in collisione con le concorrenti[54]. Invece, chi se la deve sgavagnare (sbrogliare, cavarsela) con il compito ingrato di selezionare migliaia di referti medici, sono i due ispettori di Darnaudguilhem: «Darnaudguilhem ’net veire coma sos dos inspectors se deslampironavan daus archius Bastida» (Darnaudguilhem andò a vedere come i suoi due ispettori se la sgavagnavano con gli archivi Bastida, p. 247), termine sentito nella mia Imola, ma in uso in tutta la Romagna[55]. E tale termine risponde a quello di Ganhaire (se deslampironavan) che lo definisce: «(Typiquement périgourdin …!).[56] 

Il barbone Rodilha, che aveva sottratto inconsapevolmente documenti importanti per l’indagine, conduce uomini della squadra di Darnaudguilhem «verso la sua ultima merda»[57], dove, nelle discariche suburbane che era solito frequentare, se ne era servito per un bisogno impellente: «tres òmes … doblats, lampissons a la man, desvirant tota la salopariá» (tre uomini … chini, torcia in mano, che ravanavano in tutta quella rumenta, ibidem), dove ravanare è un uso regionale settentrionale (io, ‘adottata’ in Romagna, l’ho intercettato nel bolognese), com’è per rumenta, soprattutto in Liguria[58].

Infatti, oltre che alzare il gomito, il barbone Rodilha usa mangiare gli avanzi dei pranzi altrui, intrugli che gli guastano la pancia: «veiquí que la foira[59] lo prend e que tròbe ren de mielhs que de se boissar lo cuol emb los papiers los mai cherchats de Nauta-Dordonha»; al posto del termine medico ‘diarrea’ per foira, ecco il sostituto ‘comico’: «e vedi un po’ che gli prende la cagarella e non trova niente di meglio che pulirsi il culo con i documenti più ricercati di tutta l’Alta-Dordogna», p. 265.

Altro contesto ideale delle espressioni familiari e locali è il sacrificio del porco, officiato dal ‘mattatore’[60], nella sua uniforme di carnefice: «lo Ricon Mitaud, bien chafrat Tripon, auriá renjat sa cotelariá, plejat son davantau sagnós», (il Ricon Mitaud, giustamente soprannominato il Trippa, avrà riposto la sua coltelleria, ripiegato la sua parannanza insanguinata, p. 345). Se davantau è grembiule da lavoro o da cucina, il geosinonimo parannanza mi è piaciuto per la radice comune con davantau, perché parola del Pasticciaccio, ma anche per la sua robusta sonorità[61].

Tutto sommato, dunque, una manciata di regionalismi, più o meno acclimatati nell’italiano dell’uso, che pigmentano la traduzione della bella lingua limosina di Ganhaire, senza pretese di pareggi contabili.

E, come dicevo, in questo viaggio ‘diplomatico’ nel territorio limosino dove un autore grande come Ganhaire ha accampato le sue fantasie nella sua lingua del cuore, ho riflettuto molto sul mio lasciapassare, sulla mia lingua, il mio «lessico famigliare»[62]. Viaggio che mi ha dato l’opportunità di ricordare voci di persone care che non ci sono più, o voci lontane su cui ho chiesto affannosa conferma ai coetanei rimasti in patria[63] (le parole ‘generazionali’, neppure repertoriate, nasicata, stempiare, liscione…) o quelle dell’ALT, quali bofonchiare, aggeggio, nafantare, trabiccolo, sfruconare, scionnare…[64].

Ed è in questa delicata rievocazione delle mie ‘diverse lingue’ che ho sentito particolarmente vicino il passo di Antonio Prete[65]:

 

in questa impresa, che è un’impresa amorosa, anche il traduttore arrischia la propria lingua. Poiché è con la propria lingua – storia, tradizione, forme, modi, usi – ch’egli attraversa e interroga il paese della lingua straniera, le sue foreste, le sue meraviglie … salvando dell’altra lingua tutto quello che è possibile … S’accorgerà, poi, che in questa avventura è la propria lingua che ha compiuto un’esperienza di affinamento

 

«Ognuno resti com’è, diverso dagli altri» [66]

 

La lettura illuminante di George Steiner, Una certa idea di Europa, sulle risorse (non il problema) della diversità linguistica in Europa, e contro «la marea detergente esponenziale dell’anglo-americano», ha inaugurato molti dei miei corsi universitari di questi ultimi anni:

 

è il genio di una diversità linguistica, culturale, sociale, di un mosaico ricchissimo … Rispetto alla terribile monotonia che si estende dalle coste atlantiche del New Jersey fino alle montagne della California, rispetto al desiderio di uniformità … Non ci sono ‘lingue minori’. Ciascuna lingua contiene … non soltanto un patrimonio irripetibile di memorie vissute, ma anche l’energia evolutiva dei suoi futuri … Per l’Europa la minaccia più radicale … è la marea detergente esponenziale dell’anglo-americano, sono i valori globalizzati e l’immagine del mondo che questo vorace Esperanto porta con sé. [67]

 

«Non ci sono ‘lingue minori’»… e, come dice Siméon a proposito della poesia nelle lingue regionali di Francia: «chaque langue est un monde qui augmente le monde».

Tante sono le questioni che si pongono al traduttore, e non sono solo di ordine teorico, ma di sensibilità, di gusto, di scrupolo; Antonio Prete ne ha parlato in termini di ospitalità offerta ad una cultura e una lingua altra: «Tradurre è accogliere un ospite nella casa della propria lingua, ed è anche preservare, e talvolta ravvivare, timbri, forme, modi espressivi e ritmi del poeta che si traduce. Una sfida e un azzardo, e allo stesso tempo esercizio, dolce e arduo, di poesia»[68].

 E quando questa lingua altra è in pericolo[69], il compito dell’interprete è ancora più cruciale e delicato:

 

difendere tutte le specie linguistiche, oggi che la loro sopravvivenza è minacciata, è un compito ecologico, e dunque politico, del traduttore. Ogni lingua sembra attendere il transito in una nuova lingua per potersi rinnovare... Tradurre è forse cercare nel corpo vivo delle altre lingue, e nel respiro del nuovo testo, qualche lontano riverbero di quei suoni, di quei silenzi.[70]

 

«scanzlè»

Ho affrontato la traduzione di un testo in una lingua minoritaria di cui non avevo piena padronanza per stima e per affetto di un autore che a quasi ottant’anni si è rimesso in gioco (è venuto due volte a Ferrara a parlare ai miei allievi, con la moglie Françoise) quando ha saputo che una docente di Filologia romanza, in Italia, prendeva a cuore la sua opera e la sua cultura. E mi ha ripagato, come abbiamo visto, con tanto incoraggiamento e amorevole aiuto[71]. Insomma, ho agito, come dice Antonio Prete, per «questa impresa, che è un’impresa amorosa». Come mi accade in ogni traduzione che ho fatto[72] e che ti impegni oltre un anno, molti sono stati, come nell’arte, i ‘pentimenti’ in corso d’opera e altri i passi che, a volume chiuso, oggi migliorerei, emenderei o scancellerei (alle elementari ci correggevano questa forma ‘popolare’), ma un segno sarà rimasto di questo mio colpo di fulmine senile per l’occitano. E a proposito dell’estenuante e assillante rovello degli emendamenti filologici (ed esistenziali), mutuo la voce di due poeti che amo. Il primo è Franco Scataglini: «Per me vita e scritura / ène compagni, el sai, / tuta scancelatura / dopo dulor de sbai»;[73] e un altro mio autore adorato, e che scrive in un dialetto ancora più ostico per me del limosino di Ganhaire è Raffaello Baldini:

 

La gòmma

 S’u i fóss ‘na gòmma da scanzlè, ’na gòmma
da inciòstar, no da lapis, o se no
s’ na machina da scréiv, bat xxx,
o, par fè mèi, xyxy,
o, par fè mèi ancòura, mnmn,
ch’ u s fa póch mn, mo e’ scanzèla,
porca masóla, ch u n s capéss piò gnént,
o adiritéura, mèi di tótt, mo a n l’ò,
un computer u i vrébb, ch’ e’ basta un tast,
e e’ sparéss tótt, senza un scanzlòt, tótt biènch,
cmè ch’ u n fóss suzèst gnént,

parchè mè te mi mònd i sbai ch’ ò fat.

 

 

La gomma

Se ci fosse una gomma da cancellare, una gomma
da inchiostro, non da lapis, o se no
con una macchina da scrivere, battere xxx,
o, per far meglio, xyxy,
o per fare ancora meglio, mnmn,
che si fa poco mn, ma cancella,
porca masola, che non si capisce più niente,
o addirittura, meglio di tutto, ma non ce l’ho,
un computer ci vorrebbe, che basta un tasto,
e sparisce tutto, senza un cancellotto, tutto bianco,
come non fosse successo niente,

perché io nella mia vita gli sbagli che ho fatto.

(Raffaello Baldini, Intercity, p. 42)

 

 

Pubblicato il 24/12/2021

 

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[1] F. Garavini, “Lo sol poder es que de dire”. La letteratura occitanica oggi, «Paragone», 117-119, 2015, cit. da p. 16.

[2] J.-F. Courouau, Et non autrement. Marginalisation et résistance des langues de France (XVIe et XVIIe siècle), Genève, Librairie Droz, 2012. K. Bochmann, Hégémonie langagière: prestige et fonctions du français en Europe, in G. Kremnitz, (éd. par) avec le concours de F. Broudic et de C. Alén Garabato, K. Bochmann, H. Boyer, D. Caubet, M.-C. Hazaël-Massieux, F. Pic, J. Sibille, Histoire sociale des langues de France, Rennes, Presses universitaires de Rennes, 2013, pp. 189-197.

[3] J. F. Courouau, Le Rococo d'Oc. Une anthologie poétique (1690-1789), Toulouse, Presses Universitaires du Midi, 2017.

[4] F. Garavini, La letteratura occitanica moderna, Firenze-Milano, Sansoni-Accademia, 1970.

[5] Alcune si possono leggere sul sito http://www.chambradoc.it/Tesi-Universitarie.page. La tesi magistrale di Costanza Amato su Marcela Delpastre ha ricevuto il premio internazionale Pèire Bec, http://www.chambradoc.it/Tesi-Universitarie/Marcelle-Delpastre-Bestiari-Lemosin-Natura-et-vida-paisana-p.page.

[6] Aicurzio, Virtuosa-Mente. Recensioni: P. Lago, Ecologia e letteratura in Occitania, https://www.carmillaonline.com/2020/06/08/ecologia-e-letteratura-in-occitania/. M. P. Betti, Occitania, alle radici di una lingua lontana eppur vivace, https://ilmanifesto.it/occitania-alle-radici-di-una-lingua-lontana-eppure-vivace/; J. Simonini - Per un libro-viaggio in terra d’Oc. Notizie da una piccola patria romanza, https://site.unibo.it/griseldaonline/it/il-punto-critico/jessy-simonini-libro-viaggio-terra-oc.

[7] I. Buttitta (1899-1997): «un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua ricevuta dai padri: è perso per sempre». E prosegue: «diventa poviru e servu / quannu i paroli non figghianu paroli / e si mancianu tra d’iddi. / Mi nn’addugnu ora, / mentri accordu la chitarra du dialettu /
ca perdi na corda lu jornu» (diventa povero e servo / quando le parole non figliano parole / e si mangiano tra di loro. / Me ne accorgo ora, / mentre accordo la chitarra del dialetto / che perde una corda al giorno».

[8] M. Longobardi, “Nos abandones pas tu qu’un pauc nos coneisses”. Lingue tagliate e lingue salvate», introduzione a L’Europe romane: identités, droits linguistiques et littérature, numéro coordonné par M. Longobardi, H. Sheeren, «Lengas», 79, 2016, https://journals.openedition.org/lengas/1010.

[9]  Garavini, “Lo sol poder es que de dire”,… pp. 100-101 (Jean-Claude Forêt).

[10] Per la Francia e l’inserimento timido e tardivo delle lingue regionali in un percorso scolastico, si seguano le vicende dalla loi Deixonne ( N° 51-46 du 11 janvier 1951) alla recente loi Molac, (n° 2021-641 du 21 mai 2021). F. Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Bologna, Il mulino, 2008.

[11] P. Blanchet, S. Clerc Conan, Je n’ai plus osé ouvrir la bouche... Témoignages de glottophobie vécue et moyens de se défendre, Limoges, Lambert-Lucas, 2019 [2° ed. rivista,].

[12] P. Blanchet, Discriminations: combattre la glottophobie, Paris, Textuel, 2016. P. Blanchet, et al., De la marginalisation linguistique et sociale, «Palimpseste», 4, 2020, pp. 4-9. https://www.univ-rennes2.fr/sites/default/files/UHB/RECHERCHE/Palimpseste/palim_4_WEB.pdf..

[13] In Francia, infatti, si è sviluppata una certa reattività anche per la discriminazione che riguarda gli accenti, i quali non godono tutti, come in Italia del resto, dello stesso prestigio,  J-M. Aphatie & M. Feltin-Palas, J'ai un accent, et alors? Témoignage et enquête sur une discrimination ignorée, Neuilly-sur-Seine Cedex, Michel Lafon, 2020.

[14] W. Calin, Minority Literatures and Modernism. Scots, Breton, and Occitan, 1920-1990, Toronto, University of Toronto Press, 2000. E. Hupel, G. Denis, J. Casenave (éd. par), Hentoù nevez al lennegezh - Les nouveaux chemins de la littérature: repenser l’analyse des littératures en langues minorisées, Colloque international (14 et 15 mars 2019), Lannion, ed. T.I.R. 2020, in cui si segnala, per l’occitano, i contributi di Sylvan Chabaud e Marie-Jeanne Verny.

[15] La vitalità odierna delle lingue regionali di Francia nel campo della poesia è attestata, per esempio, in questa recente antologia: Par tous les chemins. Florilège poétique des langues de France. Alsacien, basque, breton, catalan, corse, occitan, sous la direction de Marie-Jeanne Verny & Norbert Paganelli, préface de  Jean-Pierre Siméon, Lormont, Le Bord de l'eau, 2019 (la citazione è dalla prefazione, p. 9).

[16] Per le politiche scolastiche storiche svantaggiose per l’occitano, si veda P. Martel, L’école française et l’occitan ou Le sourd et le bègue, Montpellier, Presses universitaires de la Méditerranée, 2007. Politique linguistique et enseignement des langues de France, sous la direction de Patrick Sauzet & François Pic
Paris, L'Harmattan, 2009. F. Broudic, L’interdit de la langue première à l’école, in Kremnitz et al.,  Histoire sociale des langues de France…, pp. 353-373. In questo saggio si elencano numerosissimi casi di censura contrassegnati da oggetti infamanti (signal), contro gli allievi che spesso, durante la ricreazione, usavano il dialetto, e le sanzioni erano severe, quali restare a scuola un’ora di più per scrivere sino a cento volte propositi quali «je ne parlerai plus occitan» o «je ne parlerai plus breton»; spazzare le aule, o subire punizioni corporali (pp. 360-363).

[17] « Entrevista de JOAN GANHAIRE per Joëlle Ginestet (genièr 2009, en preséncia de Michèu Chapduèlh) (traduction et transcription: Joëlle Ginestet), in canal-u.tv, https://www.canal-u.tv/video/universite_toulouse_ii_le_mirail/entretien_avec_jean_ganiayre_joan_ganhaire.5060.

[18] Per l’analoga situazione italiana, T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1963; T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, Roma-Bari, GFL editori Laterza, 2014. N. De Blasi, Il dialetto nell’Italia unita. Storia, fortune e luoghi comuni, Roma, Carocci, 2019, ridimensiona il ruolo repressivo della scuola, per esempio, e addebita al boom economico dell’Italia la regressione dei dialetti quali lingue veicolari nel ’900 (cap. 7 Il boom economico e la crisi dei microcosmi dialettali, pp. 71-96).

[19] Si veda l’introduzione alla mia traduzione di Vautres que m’avetz tuada, in particolare il Cap. 2: 2. Il poliziesco in occitania; Duri e pupe al Rififi; Esiste un poliziesco occitano?; La Provenza / provincia del polar ; Il polar marsigliese degli anni Novanta; Philippe Carrese e il suo... engatse; Tra apocalittici... 1. La Marsiglia dissacratoria di Vernet; Tra apocalittici... 2. Il poliziesco-fantasma di Fabrici Roualdès; ...e integrati: La Nizza di Reinat Toscano «Italiano in Francia, occitano in Italia, cittadino del mondo ( da p. 26 a p. 63).

[20]S.Chabaud, Entrevista – Yan Lespoux, «Lo diari», Lo 11 febrier de 2019, https://lodiari.com/entrevista-yan-lespoux/. Nel 2011 Yan Lespoux crea un blog: http://www.encoredunoir.com/. Sia Chabaud che Lespoux sono docenti dell’Università di Montpellier.

[21] A. Camilleri, La prima indagine di Montalbano, Milano, Mondadori, 2004.

[22] P. Gardy, L’ombre de l’occitan. Des romanciers français à l’épreuve d’une autre langue, Rennes, Presses universitaires de Rennes, 2009.

[23] Ringrazio Reinat Toscano che, nei lunghi tempi di isolamento da pandemia, si è raccontato in un’intervista epistolare, e in un italiano perfetto, chiarendomi in particolare come vive le sue lingue: se la famiglia proviene dalle nostre vallate occitane del Piemonte, l’Italia è la patria letteraria degli avi cui si sente di appartenere. Ma  Toscano usa per le sue opere, a seconda delle occasioni, provenzale, nizzardo, francese, italiano.

[24] La mia allieva Costanza Amato si sta cimentando con Metaf(r)iccions a Collisioncity di Vernet ([Puylaurens], Institut d'estudis occitans, 2020), che sta collaborando generosamente alla supervisione del suo lavoro. Lo ringrazio per la sua collaborazione.

[25] F. Garnerin, J. Ganhaire: L’expérience du médecin au service de l’œuvre littéraire, Journées d’Études Doctorales à l’Université Paul Valéry Montpellier III, “Pratiques et représentations du savoir et du savant dans les sociétés des Suds”, 12 et 13 octobre 2018 (inedito), p. 12.

[26] F. Garnerin, Jean Ganiayre/Joan Ganhaire: entre rire et désespoir, un regard occitan sur l’humaine condition, https://tel.archives-ouvertes.fr/RESO/tel-03325888v1.

[27] «Des corps en morceaux. Le corps humain, chez Ganhaire, est un corps éclaté. Lorsqu’il va passer la soirée avec le commissaire Darnaudguilhem, le légiste Madelbosc plaisante systématiquement sur les «morceaux de viande» qu’il va apporter. Son travail est de les observer et de les décrire dans ses rapports: “sus fons de vonvonament, espetava de temps en temps quauqua orror: meussa esbolhada … fetge espotit … mesenteri desinserat … paumons traucats … te passe jos silenci las ossas, que n’a pus paguna d’entiera” [sur fond de bourdonnement, il lâchait de temps en temps quelque horreur: rate détruite … foie écrasé … mésentere désinséré …poumons troués … je te passe les os sous silence, il n’y en a plus un d’entier]. Les morceaux de viande, ce sont aussi les organes qui font l’objet d’un trafic dans le roman Sevdije», Garnerin, J. Ganhaire: l’expérience du médecin…, p. 13.

[28] «cette conscience aigüe de la souffrance humaine débouche nécessairement sur une interrogation métaphysique à laquelle Ganhaire ne prétend imposer aucune réponse, laissant le champ ouvert aux choix individuels. La croyance en Dieu, respectable, en fait partie: c’est celle que donne Mere Joana, une des figures de Las tornas de Giraudon, une ancienne psychiatre devenue religieuse, qui peut tout entendre, et s’interdit de juger», Garnerin, «J. Ganhaire: l’expérience du médecin», p. 15.

[29] Lo viatge aquitan,  [Puylaurens], Institut d'estudis occitans, 2000, pp. 5-23.

[30] «une scène du roman Las tòrnas de Giraudon, Madelbosc a raison du procureur Brégégère de Lavergnade, et venge indirectement Darnaudguilhem de ce personnage hautain: il le fait vomir en lui racontant, en privé, les secrets d’une autopsie… “Elle le connaissait, celui-ci. Il était venu leur faire cours à l’école, leur parler de cadavres pourris, tout fourmillant de vers, de pendus à la langue bleue, de cervelles répandues sur les murs, de

ventres étripés à coups de surin, de crânes fendus à coups de hache”», Garnerin, Jean Ganiayre/Joan Ganhaire: entre rire et désespoir…, p. 228

[31] Video di Andrea Fantino, da un’idea di Fredo Valla, https://www.youtube.com/watch?v=8nR-hovtJY8.

[32]  Tutti i polizieschi di Ganhaire sono editi dall’ Institut d’Estudis Occitans (Novelum, sez. perigordina). Cfr. la lista completa alla p. 442 della mia edizione.

[33] «Dos autres romans policiers son (presque) prestes e la literatura occitana s’apresta a descrubir emb orror las aventuras de pas creire dau comissari (enquera un…) Gaëtan Caüsac daus Ombradors dins de las aventuras trasfòlas, per tot vos dire, una de sas enquestas lo mena drech dins un poema de Rimbaud… Aprep, trobarem plan quauquaren mai!», «Anem! Occitans!», cit., p. 21.

[34] «Concertò per pissarata », nouvelle de Joan Ganhaire,  par Denis Gilabert, Publié le 21/10/2013, https://www.sudouest.fr/2013/10/21/concerto-per-pissarata-nouvelle-de-joan-ganhaire-1205755-1522.php?nic. Il 20 maggio 2020 mi scriveva in proposito Ganhaire: «Tu connais pas Gaëtan Caüsac daus Ombradors? Quelle lacune. Voilà de quoi la combler. Mais attention, cette lecture peut choquer les âmes sensibles!  La dernière histoire est inspirée d'un poème de Raimbaud, Les Assis qui se peut lire avant la version occitane, ou après si on veut garder l'effet de surprise...», e mi allegava gli episodi usciti fino ad allora.

[35] «“J’ai recouvré mes forces en ce merveilleux pays de sable et de pins, de sel et de résine” aveva scritto il 23 settembre di quell’anno all’amico e traduttore Georges Hérelle», F. Pilato, “En mille endroits charmants”. L’incontro tra d’Annunzio e Debussy, «Studi Francesi». LVIII/I, 2014, pp. 100-107, http://journals.openedition.org/studifrancesi/2041; DOI: https://doi.org/10.4000/studifrancesi.20141.

[36] Si veda l’Indice del mio libro: I luoghi 91; Autres cops … in passato 94.

[37] Si veda il capitolo: Bogart 103.

[38] Si vedano i capitoli del mio Indice: «Vendras dissabde? Tuam» 99; «Tripas, matriças, ronhons» 99.

[39] Mi viene in mente un libro in lingua ladina dedicato proprio a questo tema rituale della ruralità e insieme meditazione sulla morte, avviato da una prosa: «Ti voglio raccontare di come la lentezza in questo luogo, sa di viscere fumanti. E mentre nevica l’indifferente inverno, è semplice lo sguardo del maiale che a terra sussulta, lui non sa di morire, eppure tenta di togliersi di dosso il turbamento ed è un sobbalzo, uno sbalzo e si arresta. Per un poco ogni tanto posa carne e stordimento e servo si ferma. Noi che da fuori non vediamo, ma dentro è nitida coscienza. Essa riconosce gli occhi che guardano l’aria diventare pietra e da sotto il ciglio dilatarsi a poco a poco la rassegnazione, il corpo radente in lenta ansia di finire e si conclude in risoluta morte… Pasciuta mensa la nostra, in bocca rumineremo l’insepolto animale», R. Dapunt, Nauz. Versi ladini; traduzione italiana e immagini dell'autrice, Rovigo, Il ponte del sale, 2017, p. 10.

[40] Ganhaire risponde ad un’intervista circa l’impatto del romanzo poliziesco sui giovani, grazie ad una leggibilità facile e all’attrattività dei temi: Marçau de l’Oliu, Entrevista Joan Ganhaire e lo roman policièr, «Anem! Occitans!», revista  trimestrala de l’institut d’estudis occitans, n. 145, sett-nov 2013, pp. 20-21, citato da p. 20.

[41] Per questi aspetti che colorano la lingua di Ganhaire, si vedano i capitoli del mio libro: Tra Coija-defora e cranes de fessa 123; Chanta brave merle! 126; Tra parannanza e sgavagnare 132.

[42] Un’ottima rassegna si ha per esempio in G. Brandimonte, Tradurre Camilleri: dall’artifizio linguistico alle teorie traduttologiche, «Lingue Linguaggi», 13, 2015, pp. 35-54.

[43] Per il «camillerese» non c’è dizionario che tenga . Intervista. Parla Serge Quadruppani, la ‘voce’ francese dello scrittore siciliano. “Una lingua non è solo un vocabolario e una sintassi, è un modo di vedere il mondo”, di Alberto Prunetti, https://ilmanifesto.it/per-il-camillerese-non-ce-dizionario-che-tenga/ (17 luglio 2019).

[44] “Montalbano, je suis”: l’invenzione del vigatese e le sue traduzioni nel mondo, http://www.mastereditoria.it/ilblog/montalbano-je-suis-linvenzione-del-vigatese/ (Il blog d’editoria, 19 luglio 2019); si riportano le tesi di Fabio Mainetti, Da Vigata a Parigi. Le traduzioni francesi di Andrea Camilleri, in Echi da Babele: la voce del traduttore nel mondo editoriale, presentazione di Massimo Bocchiola, Pavia, Santa Caterina, 2016.

[45] D. Vittoz, Quale francese per tradurre l’italiano di Camilleri? Una proposta non pacifica, in Il caso Camilleri. Letteratura e storia, Palermo, Sellerio, 2004, pp. 187-199, http://www.vigata.org/convegni/convegno_palermo_vittoz.shtml (Atti di convegno http://www.vigata.org/bibliografia/caso_camilleri.shtml).

[46] P. Rézeau, Dictionnaire des régionalismes de France. Géographie et histoire d’un patrimoine linguistique, Bruxelles, Duculot, 2001.

[47] « a un livello generale, possiamo dire che gli autori più consapevoli rifuggono, nella misura del possibile, prestiti e calchi della lingua egemone, nel caso in questione il francese che per posizione esercita in questo senso una pressione fortissima sulla lingua minoritaria», cfr. la nota linguistica di Rivoira, p. 145.

[48]Nell’intervista, tale aspetto è colto come un valore di una naturalezza ammirevole: «Una causa que remarcam sulcòp en legissent vòstres romans es vòstra capacitat d’evocar un monde  naturalament occitanofòne, coma se pas jamai foguèsse estat autrament», «Anem! Occitans!», p. 20.

[49] Grande dizionario italiano dell'uso, ideato e diretto da T. De Mauro, Torino, UTET, 1999 (GRADIT). Si veda anche il mio capitolo: «Ner callarone gigante indo’ bolle e ribolle la vita de tutti» 111.

[50] Si legga la voce di Teresa Poggi Salani: «Si dirà anzi che la variazione su base geografica, che pur appartiene in genere a ogni lingua, è caratteristica spiccata ed essenziale dell’italiano… In realtà si può affermare che l’italiano regionale è concretamente il nostro corrente italiano parlato e che della sua vitalità si trovano poi le tracce anche nella pagina scritta», https://www.treccani.it/enciclopedia/italiano-regionale_(Enciclopedia-dell'Italiano)/.

[51] «Alessandro Perissinotto (Torino), Bruno Morchio (Genova), Marco Malvaldi (Pisa), Marco Vichi (Firenze), Marcello Fois (Nuoro), Giorgio Todde (Cagliari), Andrea Camilleri (nella città “letteraria” di Vigata), Maurizio De Giovanni (Napoli), Gianrico Carofiglio (Bari), Giancarlo De Cataldo (Roma), Loriano Machiavelli e Carlo Lucarelli (Bologna), Valerio Varesi (Parma), Sandrone Dazieri (Quarto Oggiaro e Milano)», N. De Blasi, Dialetto e varieta locali nella narrativa tra scelte d’autore e storia linguistica di fine Novecento, in A. Dettori (a c. di), Dalla Sardegna all’Europa: lingue e letterature regionali, Milano, Franco Angeli, 2014, pp. 15-38, cit. p. 16.

[52] Pur non essendo io una traduttrice editoriale, sento vicina alla mia l’esperienza di Y. Melaouah, Come un’esploratrice, in I. Carmignani, Gli autori invisibili. Incontri sulla traduzione letteraria, Nardò, Besa Editrice, 2008, pp. 123-126: «i primi romanzi di Pennac, La prosivendola, La fata carabina, Signor Malaussène… Perché sono quelli che, proprio per le loro difficoltà, per le sfide che mi ponevano, mi hanno consentito di imparare moltissimo, passo dopo passo, come un’esploratrice, delle immense risorse dell’italiano. Infatti mi sono dovuta quasi inventare una lingua per rendere il suo impasto di argot, francese colloquiale, giochi di parole… Ho setacciato passo passo tutto il mio patrimonio linguistico, sono andata a ripescare tutti i ricordi anche di modi di dire fortemente regionali ereditati da un nonno meridionale, da una nonna piemontese, da un’infanzia in Veneto, per mettere insieme una lingua parlata che potesse sperare di restituire un millesimo della verve linguistica di Pennac», pp. 124-125.

[53] Màrfie (Lavalade 130) significa engourdi = stordito, addormentato; invurní è una delle parole che ho imparato abitando a Imola. L. Ercolani, Vocabolario romagnolo-italiano, italiano-romagnolo, Ravenna, Edizioni del Girasole, 1994, p. 290: «invurnì Stordito, Intontito, Inesperto, Tonto, Sciocco, Alticcio… f. ida».

[54] Per i vizi della classe medica, tra cui lo scialo di amanti (con ritorsioni puntuali e isteriche delle mogli cornificate), si veda il mio capitolo: «Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti» (P. Conte, Boogie) 96.

[55] Ercolani, Vocabolario romagnolo-italiano…: «Şgavagnêr, tr. Districare, s. fig. Sbrogliare, Disimpegnare, Togliere, levare dagli impicci rfl –êş… ( v. Gavâgna e Ingavagnêr). L’è ôn ch’u ş’ şgavâgna, è uno che sa cavarsela». p. 233. Gavâgna, sf Cesta… Truvê’ la gavâgna, Trovare il bandolo, il verso, l’intreccio, sia in senso reale che figurato… Sono ancora nell’uso corrente “ingavagnê’” … aggrovigliare…», p. 533.

[56] «(Typiquement périgourdin …!) : se débrouillaient, s’arrangeaient pour faire quelque chose», (G).

[57] Si veda il capitolo:  Una ‘sporca faccenda’ 101.

[58] Dal GRADIT, si veda Ravanare V, p. 421 RE sett. rovistare, frugare, mettere in disordine. Rumenta, V, p. 784 RE sett. Spazzatura, immondizia. Per l’epiteto folha-borrier, p. 70, invece, ho usato ‘scava-monnezza’, N. De Blasi, Regionalismi e dialettismi, Milano, Corriere della sera, 2019 (stampa 2020), p. 36 (monnezza per immondizia, centro-meridionale, diffuso da Roma).

[59] Foira = Lavalade 302 diarrhée. Foire, cours de ventre. Dér. foirar, foirer. Foiralada, gros flux de ventre... étym. L. foria (Alibert 361).

[60] Tuador, tuaire, Lavalade 555: saigneur (celui qui tue le cochon). Norcino, macellaio. In certi luoghi delle Marche mi risulta che si chiami mattatore sia l’addetto all’abbattimento di animali nel mattatoio, che colui che lo lavora. https://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/M/mattatore.aspx?query=mattatore.

[61] «Prima di mettersi ai fornelli, gli italiani indossano in genere lo zinale (o il sinale), la traversa, il torcione, lo scossale, il mantesino o la parannanza», De Blasi, Regionalismi… (geosinonimi), p. 55.

[62] Chi non ricorda gli sbrodeghezzi e i potacci, espressioni del padre di Natalia Ginzburg ( Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1963)? (ma in Toscana sarebbe stato un errore blu, rispetto a ‘familiare’…). R. Fresu, Lessico familiare, Milano, RCS MediaGroup, 2020.

[63] Cari amici toscani, Franco Martinozzi e Laura Maddaluno, che ringrazio.

[64] Per la consulenza dell’Atlante Lessicale Toscano, invece, ringrazio l’amichevole e sollecita disponibilità di Matilde Paoli.

[65] A. Prete, All’ombra dell’altra lingua. Per una poetica della traduzione, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, cit. pp. 11-12.

[66] Citazione di J. Roth, Le città bianche, Milano, Adelphi, 1994, che dà il titolo al convegno M. Longobardi, M. Ghetti (a c. di), «Ognuno resti com’è, diverso dagli altri». Plurilinguismo, multilinguismo, multiculturalismo, «Annali online della Didattica e della Formazione Docente»,  11/ 17, 2019, http://annali.unife.it/adfd/article/view/2103. Tra gli altri contributi, segnalo qui H. Sheeren, L’intercompréhension, rempart contre la glottophobie, pp. 124-136,

http://annali.unife.it/adfd/article/view/2111; DOI: http://dx.doi. org/10.15160/2038-1034/2111.

[67] G. Steiner, Una certa idea di Europa, Milano, Garzanti, 2006.

[68] A. Prete, L’ospitalità della lingua. Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Valéry, Rilke, Celan, Machado, Bonnefoy e altri, San Cesario di Lecce, Manni, 2014.

[69] D. Nettle, S. Romaine, Voci del silenzio. Sulle tracce delle lingue in via di estinzione, Roma, Carocci, 2001.

[70] Prete, All’ombra dell’altra lingua…, pp. 12-13.

[71] Sul rapporto tra autore e traduttore (non sempre idilliaco) si leggono pagine molto interessanti nel volume di I.  Carmignani, Gli autori invisibili, di cui sopra. Sul mio rapporto traduttore-autore, e sulla traduzione del poliziesco in questione, ho appena tenuto un intervento all’Università di Tolosa (Colloque - Relire Jean Boudou, 27-28 octobre 2021); Joan Ganhaire e sua moglie Françoise erano puntualmente là.

[72] Petronio, Satyricon,  a cura di Monica Longobardi; con una presentazione di Cesare Segre, Siena, Barbera, 2008. Apuleio, Le Metamorfosi, saggio introduttivo, nuova traduzione e note a cura di Monica Longobardi con una presentazione di Gian Biagio Conte, Santarcangelo di Romagna, Rusconi Libri SPA, 2019.

[73] M. Longobardi, Il giardino e la rosa. Tre saggi per Franco Scataglini, Milano; Udine, Mimesis, 2018: «Eppure, la sua sensibilità filologica era già iscritta in un distico di So’ rima­so la spina (1977) che sposa indissolubilmente i due mondi («ène compa­gni»): vita e scrittura  legati in un nodo critico su cui la filologia fonda il suo metodo: l’errore («sbai») e il suo auspicato emendamento («scancelatu­ra»). Anzi, già nella sua prima raccolta, E per un frutto piace tutto un orto (1973) è il verso che tratteggia la vita-testo come un palinsesto ogni volta da scialbare: «El senso de ’l mio testo / è ’na cancelatura», (p. 78)», p. 31.