Gino Ruozzi - Milano, Parigi, Londra, Napoli: l’età dei Lumi

1. L'età della luce

 

L'età dei lumi è tempo di passaggi e di mediazioni, un'epoca di graduali scoperte e acquisizioni etiche e scientifiche. Difficile fissarne l'inizio; senza dubbio le ricerche e le pubblicazioni di Isaac Newton sulla natura della luce diedero un contributo fondamentale, reale e metaforico. La sua Ottica (1704) si situa in modo emblematico ad apertura di secolo e verrà ripresa sul piano divulgativo da due protagonisti (di diversa importanza) della cultura europea ed illuministica, Voltaire e Francesco Algarotti.
Voltaire è uno degli intellettuali più noti al mondo, il suo nome coincide con la nozione stessa di illuminismo e di lotta per il progresso e per la libertà. Francesco Algarotti oggi è un nome noto solo agli addetti ai lavori, un cosiddetto "minore" della letteratura italiana. Su questa collocazione incidono vari fattori, al di là dell'oggettiva differenza di valore dei due autori (il primo un gigante del pensiero, il secondo un buon scrittore): il peso minore dell'intera letteratura italiana in ambito europeo dal Settecento in poi; la svalutazione operata dal Romanticismo; un tipo di letteratura estranea alla dimensione interiore. Eppure egli fu nel proprio tempo un personaggio di discreto rilievo, in rapporto con i maggiori intellettuali europei (a cominciare appunto da Voltaire), apprezzato da artisti, scienziati e sovrani (soprattutto da Federico II di Prussia, il «legislatore amico de' suoi sudditi» come lo definì Cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene, presso la cui corte Algarotti visse alcuni anni). All'ottica di Newton Voltaire dedicò gli Elementi della filosofia di Newton (1738); il più giovane Algarotti, nato a Venezia nel 1712, lo anticipò di un anno con Il newtonianismo per le dame (1737, sottotitolo Dialoghi sopra la luce e i colori), che dal 1752 assunse il più serioso titolo di Dialoghi sopra l'ottica neutoniana.

 

2. Aprirsi al mondo

 

La letteratura saggistica del Settecento, che solo in parte si identifica con l'illuminismo, è composta di testi eruditi, eredità dei secoli scorsi, e di testi di divulgazione, che costituiscono una delle novità più significative. Il cambiamento determinante rispetto alla cultura e alla letteratura precedente è infatti quello del pubblico. Sempre più si scrive non solo per i colleghi ma anche per un pubblico colto che può appartenere ad ambiti culturali diversi. Divulgare quindi non è soltanto semplificare (anche se questo fu un obiettivo primario) ma soprattutto far conoscere, rendere noti il più possibile i frutti del proprio lavoro, uscire dalla cerchia ristretta degli specialisti per allargarsi al mondo, mettendone in luce i molteplici aspetti. Conoscere e far conoscere, discutere e condividere ricerche e conquiste, confrontarsi e discutere apertamente problemi finora confinati ad ambienti e gruppi ristretti.
Questa concezione della cultura ha due sedi esemplari, Parigi e Londra (in ordine cronologico sarebbe forse meglio dire Londra e Parigi). Di fatto la rivoluzione francese, che sigla l'età dell'illuminismo, ha dato a Parigi un rilievo politico universale tale da superare Londra, che fu invece il luogo principale dei fermenti illuministici.

 

3. Voltaire

 

Voltaire dichiarava di volere diventare inglese, entusiasta di questa «nation de philosophes» in cui, per problemi con la giustizia francese, fu costretto a riparare dal 1726 al 1729. Tra le opere fondamentali dell'illuminismo europeo svettano le sue Lettres philosophiques (Lettere filosofiche), pubblicate per la prima volta a Londra in inglese nel 1733, con il titolo Letters concerning the English nation ("Lettere sulla nazione inglese"), e l'anno seguente in francese (Lettres écrites de Londres sur les Anglais et autres sujets; "Lettere da Londra sugli inglesi e altri soggetti"). L'opera fece scandalo in Francia e fu condannata dal parlamento con l'accusa di «ispirare il libertinaggio più pericoloso per la religione e per l'ordine della società civile». Voltaire denuncia il fanatismo e l'intolleranza religiosa, i privilegi e i soprusi della nobiltà, i pregiudizi filosofici e letterari della società francese; esalta l'intraprendenza inglese, lo spirito del commercio («Il commercio, che ha arricchito i cittadini inglesi, ha contribuito a renderli liberi, e questa libertà ha a sua volta sviluppato il commercio: di qui è nata la grandezza dello Stato», X lettera). Egli dedica ampia e partecipe attenzione ai progressi delle scienze, incarnati soprattutto da Newton, modello del «grande uomo», «quale se ne trova appena uno in dieci secoli» (XII lettera): «Il nostro rispetto», egli scrive, «deve andare a chi domina sulle menti con la forza della verità, non a coloro che rendono schiavi gli uomini con la violenza: ossia a colui che conosce l'universo, non già a coloro che lo deformano». Voltaire indica nell'Inghilterra un modello di libertà politica, civile, culturale; una società agile e mobile, libera dai vincoli e dai preconcetti che frenano il resto dell'Europa.

 

4. Il primato di Londra

 

Il giudizio di Voltaire sarà condiviso nel corso del secolo da quasi tutti i viaggiatori e gli intellettuali che elessero Londra meta privilegiata del proprio percorso di formazione e aggiornamento culturale. Ancora nella seconda metà del secolo, quando a Parigi brillavano gli enciclopedisti, è pur sempre Londra la capitale della libertà e di uno stile di vita sobrio e operoso. È così per Alessandro Verri, che giunge a Londra nel 1766 dopo il deludente viaggio a Parigi in compagnia di Cesare Beccaria (deludente non tanto per l'incontro comunque stimolante con gli enciclopedisti quanto per l'atteggiamento scontroso di Beccaria); è così per il gesuita Saverio Bettinelli (Mantova 1718-1808) che nella prima delle Lettere inglesi (1766) afferma che la capitale inglese è «l'emporio del pensar libero e contiene un milione di cervelli indipendenti e sovrani ciascun nel distretto del suo cranio», è il «regno della libertà e della filosofia». Londra è la patria del libero pensiero, della ricerca scientifica, della tolleranza; nello stesso tempo Londra è il modello del commercio, dei viaggi e delle conquiste extraeuropee, della sobrietà civile e politica. Questi caratteri sociali hanno corrispondenti letterari nella fioritura delle riviste, di cui lo «Spectator» di Joseph Addison (1711-1712) fu l'esempio migliore. Da notare che se l'Italia in questo periodo non è attraente sul piano politico e sociale lo è però sul versante dell'arte e della curiosità antropologica; lo stesso Addison, che fu diplomatico e appassionato viaggiatore, dedicò due libri al proprio viaggio in Italia: Letters from Italy to the Right Hon. Charles Lord Halifaz (1701, "Lettere dall'Italia a Lord Halifaz") e Remarks on Several Parts of Italy (1705; "Note su varie parti dell'Italia").

 

5. L'Italia delle capitali

 

L'immaginario viaggiatore inglese delle Lettere inglesi di Bettinelli (il libro è costruito sul modello delle Lettres persanes di Montesquieu, 1721, in cui ipotetici viaggiatori persiani descrivono i costumi francesi) si sofferma sull'Italia e ne dà un quadro emblematico. L'Italia è assai diversa dall'Inghilterra e dalla Francia perché non ha un centro politico e culturale: «in Italia ogni provincia ha un parnaso, uno stile, un gusto, e secondo il genio del clima un partito, una lega un giudizio separato dall'altre. Napoli, Roma, Firenze, Venezia, Torino e Genova, son tante capitali di tante letterature. Un autore approvato in una è biasimato nell'altra; e il più grand'uomo, l'oracolo, di questa provincia, appena si nomina in quella» (II lettera). Confrontare quindi Milano e Napoli con Londra e Parigi è improprio; si tratta di due centri relativi, non del centro dell'Italia.

 

6. A Napoli

 

Nel corso del Settecento la storia di Napoli è complessa: nei primi anni del secolo si chiuse il lungo periodo di Regno degli Asburgo di Spagna (1503-1707); in seguito alla guerra di successione spagnola essa passò agli Asburgo d'Austria (1707-1734); con la guerra di successione polacca ritornò Regno indipendente e Carlo III di Borbone divenne re di Napoli e di Sicilia (1734-1759), prima di essere chiamato al trono di Spagna e lasciare la corona al figlio Ferdinando IV; nel 1799 con l'arrivo delle truppe napoleoniche fu proclamata per pochi mesi la Repubblica napoletana (1799), presto abbattuta dalla reazione borbonica. In questa Napoli Giambattista Vico (Napoli 1668 – 1744) pubblicò i Principii di una scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni (in tre edizioni, 1725, 1730, 1744); Pietro Giannone (Ischitella, Foggia, 1676 – Torino 1748) l'Istoria civile del Regno di Napoli (1721-1723); Antonio Genovesi Castiglione dei Genovesi, Salerno, 1713 – Napoli 1769) il Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze (1753) e le Lezioni di commercio o sia di economia civile (1765-1767); Ferdinando Galiani (Chieti 1728 – Napoli 1787) il trattato Della moneta (1751) e i Dialogues sur le commerce des bleds ("Dialoghi sul commercio dei grani", 1770); Gaetano Filangieri (Napoli 1752 – Vico Equense, Napoli, 1788) la Scienza della legislazione (1782-1786). Sono questi i principali protagonisti e i principali testi dell'illuminismo napoletano e meridionale.

 

7. A Milano

 

Anche la storia di Milano riflette gli esiti delle guerre di successione dinastiche settecentesche. All'inizio del secolo termina la lunga dominazione spagnola e inizia quella austriaca (1706), che si protrae fino all'arrivo delle milizie francesi e alla fondazione della Repubblica Cisalpina (1797-1799). Il dominio austriaco coincide con un'ampia opera di riforme promossa dal governo dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria (1740-1780) e dell'imperatore Giuseppe II (1741-1790), decisi fautori del dispotismo illuminato. È in questo periodo che si sviluppa l'illuminismo lombardo e settentrionale, i cui maggiori esponenti furono i fratelli Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria, che diedero vita alla rivista «Il Caffè» (1764-1766). Tra le opere di Pietro Verri (Milano 1728 – 1797) spiccano le Meditazioni sulla felicità (1763), le Meditazioni sull'economia politica (1771), il Discorso sull'indole del piacere e del dolore (1773). Cesare Beccaria (Milano 1738 – 1794) divenne celebre in tutta Europa grazie al trattato Dei delitti e delle pene (1764), l'opera di maggiore successo dell'illuminismo italiano. A essi, scrittori in prosa, va aggiunto il maggiore illuminista in versi, Giuseppe Parini (Bosisio, Como, 1729 – Milano 1799), autore del poemetto satirico Il Giorno e di numerose Odi civili.

 

8. Voglia di tolleranza

 

Le opere degli scrittori italiani si collocano in un contesto europeo in grande evoluzione. I primi fermenti illuministici si avvertono alla fine del Seicento, quasi in contemporanea alla scoperta fondamentale di Newton, la legge della gravitazione universale (1682), enunciata nel 1687 nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica ("I principi matematici della filosofia naturale"). Il 1685 è un anno critico per la storia e i rapporti tra le religioni; con l'editto di Fontainbleau fu infatti revocato in Francia l'editto di Nantes (1598), che sanciva la libera espressione di fede religiosa; in seguito alla revoca decine di migliaia di protestanti (ugonotti) lasciarono il paese, provocando una profonda frattura civile e culturale. È il momento che lo storico e critico letterario francese Paul Hazard ha pregevolmente studiato e descritto nel libro La crise de la conscience européenne: 1680-1715 ("La crisi della coscienza europea", 1935). Si diffonde l'esigenza di una maggiore libertà e tolleranza di pensiero. Ma passare dalla teoria alla pratica non è scontato né semplice, perché le relazioni tra le diverse religioni e tra i sovrani e i propri sudditi sono spesso all'insegna della violenza e del sopruso. Per alcuni pensatori ciò non è tuttavia l'unico modo di rapportarsi tra gli uomini. Si sviluppa un pensiero critico che sulla base dell'esperienza mette in discussione il principio di autorità e contesta molte norme religiose, politiche, culturali.

 

9. I dizionari delle nuove idee

 

Questo processo che durerà decenni. Esso affonda le radici nello sperimentalismo umanistico e rinascimentale, nella rivoluzione scientifica promossa da Galileo Galilei, nel pensiero dei razionalisti e libertini del Seicento. Alla fine del secolo, grazie anche alle mutate condizioni politiche inglesi, questo movimento intellettuale trovò terreno fertile e maggiori possibilità di espressione. Alcuni titoli e autori siglarono in questa prospettiva il passaggio tra Sei e Settecento: gli Entretiens sur la pluralité des mondes dello scrittore francese Bernard Le Bovier de Fontenelle ("Dialoghi sulla pluralità dei mondi", 1686), che divulgarono le teorie astronomiche di Copernico e promossero estesamente il concetto di "pluralità" delle idee; l'Essay Concerning Human Understanding ("Saggio sull'intelletto umano") del filosofo inglese John Locke (1690), manifesto dell'empirismo critico, in cui si afferma che l'esperienza è la fonte della conoscenza; il Dictionnaire historique et critique (Dizionario storico e critico) del filosofo francese ugonotto Pierre Bayle (1695-1697), che fa della curiosità e del dubbio il proprio metodo di ricerca e usa in modo moderno la forma del dizionario, che avrà primaria importanza nella letteratura illuministica (si pensi al Dictionnaire philosophique portatif ("Dizionario filosofico portatile") di Voltaire, 1764; e naturalmente alla Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers ("Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri") diretta da Diderot e d'Alembert, l'opera per eccellenza dell'illuminismo (1751-1772). Altra voce fondamentale del passaggio tra i due secoli fu quella del filosofo e scienziato tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646 – 1716), che contese a Newton la scoperta del calcolo infinitesimale; in opere quali Système nouveau de la nature et de la communication des substances ("Nuovo sistema della natura e della comunicazione delle sostanze", 1695) e Essais de théodicée sur la bonté de Dieu, la liberté de l'homme et l'origine du mal ("Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell'uomo e l'origine del male", 1710) Leibniz elaborò una teoria positiva del mondo secondo la quale nulla accade senza ragione e pertanto il mondo nel quale viviamo è il migliore dei mondi possibili (idea che sarà ironicamente presa di mira da Voltaire nel romanzo filosofico Candide ou l'optimisme, "Candido o l'ottimismo", 1759).

 

10. L'editoria

 

Anche il sistema editoriale è in movimento. La nascita di riviste quali lo «Spectator» di Joseph Addison e Richard Steele (1711-1712) favorì in tutta Europa lo sviluppo della stampa periodica, che fu strumento decisivo per la crescita e l'affermazione delle idee illuministiche. In Italia alla «Gazzetta di Mantova» fondata nel 1664 si affiancò nel 1735 la «Gazzetta di Parma», in anni assai floridi per lo sviluppo sociale e culturale del Ducato di Parma, grazie soprattutto alla politica di riforme promossa dal primo ministro Guillaume du Tillot (che attirò a Parma molti artisti e intellettuali, tra cui Condillac). Nel 1764-1766 uscì il più celebre periodico dell'illuminismo italiano, «Il Caffè», che si prefiggeva "cose e non parole"; negli stessi anni nacquero a Venezia il «Giornale d'Italia» e il «Corrier letterario» fondati da Francesco Griselini (Venezia 1717 – 1787), autore anche di un divulgativo Dizionario delle arti e de' mestieri in diciotto volumi (1768). Venezia aveva dato molto al giornalismo settecentesco, in particolare con Gasparo Gozzi, fondatore de «La Gazzetta veneta» (1760), de «Il mondo morale» (1760), de «L'Osservatore Veneto» (1761-1762; titolo chiaramente ricalcato sullo «Spectator» di Addison). Nel giornalismo veneziano (Venezia è la capitale dell'editoria italiana) spicca la figura di Elisabetta Caminer (1751-1796), prima collaboratrice del padre Domenico a «L'Europa letteraria» poi fondatrice de «Il Giornale Enciclopedico» (1774-1789), che diffuse in Italia la conoscenza dei maggiori illuministi europei. Si aggiunga la pubblicazione degli «Atti» di numerose Accademie, alcuni dei quali tuttora in corso (gli «Atti della Accademia delle scienze di Bologna», fondati nel 1711; gli «Atti della Accademia Roveretana degli Agiati», nati nel 1750; gli «Atti della Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo», inaugurati nel 1755), a prova della fecondità dell'istituzione "accademia".

 

11. I periodici scientifici

 

Questi periodici scientifici e letterari avevano ancora una volta i più autorevoli modelli in Francia e in Inghilterra: nel «Journal des sçavans» (poi «Journal des savants»), il cui primo numero uscì il 5 gennaio 1665; e nelle «Philosophical Transactions» della Royal Academy di Londra, il cui primo numero uscì il 6 marzo 1665. L'obiettivo di questi periodici era comunicare e recensire nel più breve tempo possibile le maggiori scoperte scientifiche e le più interessanti novità librarie, favorendo e sveltendo le relazioni culturali tra gli intellettuali. Il primo in Italia a raccogliere gli esempi francesi e inglesi fu il romano «Il giornale de' letterati» (1668-1683), seguito dal «Giornale veneto de' letterati» (1670-1690); dal «Giornale de' letterati d'Italia» (1710-1740); dalle «Novelle della repubblica delle lettere» (1729-1733); dalle «Novelle letterarie pubblicate in Firenze» (1740-1792). Tra le riviste individuali si distingue «La frusta letteraria» di Giuseppe Baretti (1763-1765), che anticipa di un anno l'uscita dei «fogli» del «Caffè». Gli anni Sessanta del Settecento furono quelli «in cui l'esperienza dei Lumi toccava in Italia il suo punto più alto sul piano editoriale (tra il 1763 ed il 1766 avevano visto la luce le Meditazioni sulla felicità di Pietro Verri, il Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, il "Caffè", la "Frusta letteraria", le prime due sezioni del Giorno del Parini, le Lezioni di commercio di Antonio Genovesi, l'edizione livornese delle opere di Francesco Algarotti, vera sintesi della civiltà letteraria italiana di metà Settecento)» (W. Spaggiari).

 

12. Idee tascabili

 

L'editoria libraria conosce un notevole incremento, soprattutto, ancora una volta, in Inghilterra e in Francia. La forma dizionario, per esempio, ha notevole fortuna, perché permette di spaziare agevolmente in più settori culturali. Le radici affondano nel genere del saggio inaugurato nella seconda metà del Cinquecento da Montaigne e soprattutto da Bacone: essais, essays, saggi, assaggi, scritti brevi, sintesi efficaci e problematiche, ipotesi e tesi sperimentali. Il Dictionnaire historique et critique di Pierre Bayle (1695-1697) e il Dictionnaire philosophique portatif di Voltaire (1764-1769) sono gli esempi più eloquenti, per non parlare naturalmente dell'Encyclopédie (1751-1772), l'opera che più di tutte riflette la ricchezza e il metodo della cultura illuministica. Nel 1763 così Voltaire giustificava la propria scelta stilistica: «Je crois qu'il faudra désormais tout mettre en dictionnaire. La vie est trop courte pour lire de suite tant gros livres; malheur aux longues dissertations» (« Io credo che bisognerebbe scrivere tutto sotto forma di dizionario. La vita è troppo corta per leggere di seguito tanti grossi libri; guai alle lunghe dissertazioni"). Il saggio si coniuga perfettamente con il libro e con il giornale, all'insegna di brevità e varietà, come dichiara la brillante introduzione del «Caffè»:

Cos'è questo Caffè? È un foglio di stampa che si pubblicherà ogni dieci giorni. Cosa conterrà questo foglio di stampa? Cose varie, cose disparatissime, cose inedite, cose fatte da diversi autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità. Va bene: ma con quale stile saranno eglino scritti questi fogli? Con ogni stile che non annoi. E sin a quando fate voi conto di continuare quest'opera? Insin a tanto che avranno spaccio. Se il pubblico si determina a leggerli, noi continueremo per un anno e per più ancora, e in fine d'ogni anno dei trentasei fogli se ne farà un tomo di mole discreta; se poi il pubblico non li legge, la nostra fatica sarebbe inutile, perciò ci fermeremo anche al quarto, anche al terzo foglio di stampa. Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto? Il fine d'una aggradevole occupazione per noi, il fine di far quel bene che possiamo alla nostra patria, il fine di spargere delle utili cognizioni fra i nostri cittadini divertendoli, come già altrove fecero e Steele e Swift e Addisson e Pope ed altri.

 

13. Un sorso di Caffè

 

Comunicare con piacere e per piacere, come si parla e discute gradevolmente in compagnia in una «bottega di caffè», tra una tazza della gustosa bevanda d'Oriente e la lettura dei giornali, in una dimensione non più provinciale ma europea. È questa apertura culturale e geografica che contraddistingue l'illuminismo, in modo reale e metaforico. La «bottega del caffè» (che è pure il titolo di una celebre commedia di Carlo Goldoni) è dunque il luogo vero e immaginario in cui nasce Il Caffè degli illuministi lombardi:

In essa bottega primieramente si beve un caffè che merita il nome veramente di caffè; caffè vero verissimo di Levante e profumato col legno d'aloe, che chiunque lo prova, quand'anche fosse l'uomo il più grave, l'uomo il più plombeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli e almeno per una mezz'ora diventi uomo ragionevole. In essa bottega vi sono comodi sedili, vi si respira un'aria sempre tepida e profumata che consola; la notte è illuminata, cosicché brilla in ogni parte l'iride negli specchi e ne' cristalli sospesi intorno le pareti e in mezzo alla bottega; in essa bottega chi vuol leggere trova sempre i fogli di novelle politiche, e quei di Colonia e quei di Sciaffusa e quei di Lugano e vari altri; in essa bottega chi vuol leggere trova per suo uso e il Giornale enciclopedico e l'Estratto della letteratura europea e simili buone raccolte di novelle interessanti, le quali fanno che gli uomini che in prima erano Romani, Fiorentini, Genovesi o Lombardi, ora sieno tutti presso a poco Europei; in essa bottega v'è di più un buon atlante, che decide le questioni che nascono nelle nuove politiche; in essa bottega per fine si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio; ed io, che per naturale inclinazione parlo poco, mi son compiaciuto di registrare tutte le scene interessanti che vi vedo accadere e tutt'i discorsi che vi ascolto degni da registrarsi; e siccome mi trovo d'averne già messi in ordine vari, così li do alle stampe col titolo Il Caffè, poiché appunto son nati in una bottega di caffè.

 

14. La forma "saggio"

 

L'istruzione si sposa con il piacere, l'utile con il dilettevole («Va per negletta via | Ognor l'util cercando | La calda fantasìa, | Che sol felice è quando | L'utile unir può al vanto | Di lusinghevol canto» scriveva Giuseppe Parini nell'ode La salubrità dell'aria, 1759). Gli intellettuali del «Caffè» desiderano promuovere una libera circolazione delle idee e al commercio delle merci affiancare quello dei pensieri, in un felice connubio di beni materiali e spirituali. Il genere del saggio (e, in prospettiva più polemica, del pamphlet) è lo strumento migliore per dare più veloce diffusione alle opinioni. Maestro del saggio settecentesco è il già citato scrittore veneziano Francesco Algarotti, che ne scrisse molti su materie assai diverse, tra cui il Saggio sopra la lingua francese (1750), il Saggio sopra la necessità di scrivere nella propria lingua (1750), il Saggio sopra l'Imperio degl'Incas (1753), il Saggio sopra quella questione perché i grandi ingegni a certi tempi sorgano tutti ad un tratto e fioriscano insieme (1754), il Saggio sopra l'opera in musica (1755), il Saggio sopra l'architettura (1756), il Saggio sopra la pittura (1756), il Saggio sopra il commercio (1763). E tipici saggi sono i «discorsi» del «Caffè»: Sui venti (di Giuseppe Visconti); Osservazioni su i fedecommessi (di Alessandro Longo); Tentativo analitico su i contrabbandi (di Cesare Beccaria); Degl'influssi lunari (di Paolo Frisi); Dissertazione sugli orologi (di Alessandro Longo); Ragionamento sulle leggi civili (di Alessandro Verri). Alcuni recano l'indicazione di genere in modo esplicito nel titolo: il Saggio di legislazione sul pedantesimo (di Alessandro Verri), il Saggio d'aritmetica politica (di Pietro Verri); il Saggio su Galileo (di Paolo Frisi).
Ad apertura del secondo anno della rivista nel saggio intitolato De' fogli periodici Cesare Beccaria afferma che


un foglio periodico, che ti si presenta come un amico che vuol quasi dirti una sola parola all'orecchio, e che or l'una or l'altra delle utili verità ti suggerisce non in massa ma in dettaglio, e che or l'uno or l'altro errore della mente ti toglie quasi senza che te ne avveda, è per lo più il più ben accetto, il più ascoltato. La distanza che passa tra l'autore di un libro e chi lo legge mortifica per lo più il nostro amor proprio, poiché il maggior numero non si crede capace di fare un libro; ma per un foglio periodico ognuno si crede abilità sufficiente, essendo poi sempre la mole e il numero i principali motori della stima volgare. Aggiungasi la facilità dell'acquisto, il comodo trasporto, la brevità del tempo che si consuma nella lettura di esso e vedrassi quanto maggiori vantaggi abbia con sé questo metodo d'instruire gli uomini e per conseguenza con quanta attenzione e sollecitudine debba essere adoperato da' veri filosofi e quanto meriti di essere incoraggiato e promosso da chi brama il miglioramento della sua specie.

 

15. Il pubblico delle lettrici

 

Il periodico è quindi strumento intrinseco della cultura illuministica, veicolo di comunicazione e istruzione sollecita e amichevole; esso favorisce per natura il genere del saggio e delle scritture brevi e si rivolge a un pubblico più ampio di quello dei libri. Di questo pubblico una parte nuova e importantissima è costituita dalle donne, alle quali sempre più gli scrittori e le scrittrici (si ricordi l'apporto fondamentale del romanzo La Princesse de Clèves di Madame de Lafayette, 1678) indirizzano i propri testi; esse, scrive ancora Beccaria, «sono dispostissime a trarre profitto da' fogli periodici». Così, sull'esempio degli Entretiens sur la pluralité des mondes di Fontenelle ("Conversazioni sulla pluralità dei mondi", 1686) e del Newtonianismo per le dame di Algarotti (1737), le donne sono sinonimo di divulgazione, di una cultura che esce dagli spazi chiusi delle biblioteche per diffondersi nei salotti e nei giardini. La scrittura si unisce all'oralità, in una società che fa della conversazione e dell'opinione pubblica due cardini indispensabili. Lo storico della letteratura francese V.-L. Saulnier ha scritto che l'ampia diffusione delle idee più che ai libri e alle grandi opere è dovuta «ai libelli d'un Voltaire che circolano clandestinamente, alle polemiche sugli scandali finanziari, giudiziari e di costume, dal caso Law al caso Calas e a quello della collana della regina. Gli ambienti culturali sono i salotti, sempre più liberi, e poi i caffè e i circoli filosofici che portano in provincia il fermento del pensiero» (Storia della letteratura francese, Einaudi, Torino 1981, p. 363).

 

16. La fortuna del romanzo

 

Al rinnovato pubblico si indirizza il nascente genere del romanzo, che esplode nel Settecento. Esso riflette la voglia di raccontare ed esplorare propria del secolo, che si attua attraverso l'invenzione e lo sviluppo di questo nuovo strumento creativo. Non avendo regole e modelli codificati il romanzo si identifica con la libertà di immaginazione e arricchisce la gamma espressiva della cultura illuministica. Nel 1719 Daniel Defoe pubblica Robinson Crusoe; nel 1721 Jonathan Swift i Gulliver's Travels ("I viaggi di Gulliver"); nel 1740 Samuel Richardson Pamela: Or, Virtue Rewarded ("Pamela o la virtù premiata"), romanzo epistolare che ebbe uno straordinario successo; nel 1749 Henry Fielding dà alle stampe Tom Jones. L'affermazione del romanzo è segno del mutamento del pubblico e dei suoi gusti, della nascita di una letteratura borghese scritta in buona parte da borghesi per borghesi. L'esito è subito favorevole; il processo si avvia in questo periodo e sarà dirompente nell'evoluzione di tutta la letteratura successiva. Anche in Francia il romanzo consolida la propria popolarità, spaziando con agilità dall'avventura all'erotismo alla filosofia, da Gil Blas di Alain René Lesage (1715-1735) a Manon Lescaut dell'abate Prévost (1731) a La vie de Marianne di Marivaux (1731-1742), da Candide di Voltaire (1759) a Jacques le Fataliste di Diderot (1778); prorompente è l'esperienza narrativa delle Confessions di Rousseau (1782-1789), modello di tutta la scrittura autobiografica seguente e determinante passaggio dalla centralità dell'opera a quella dell'autore. Voltaire, Diderot, Rousseau e altri alternano la saggistica e il romanzo, il teatro e la poesia, prose serie e parodiche, lunghe e brevi, in una varietà di modi espressivi che rispecchia la volontà di sperimentazione ideale e formale dell'illuminismo.

 

17. La situazione italiana

 

In Italia la situazione è meno vivace. Si distingue il teatro, in cui svettano l'opera innovatrice di Carlo Goldoni e la vena melodrammatica e razionalistica di Metastasio; la narrativa, benché presente, non raggiunge vertici ragguardevoli, se si escludono alcune autobiografie (Casanova, Alfieri) collocate a fine secolo. Le novità maggiori sono nella saggistica; è qui che la cultura italiana del Settecento, tra luci e ombre, si esprime al meglio. Uno dei centri è senz'altro Napoli, in cui maturano autori e opere morali, filosofiche, civili ed economiche di rilievo. Le figure di spicco sono Giambattista Vico, Pietro Giannone, Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri. In maniera diversa e a volte anche contrastante questi intellettuali di statura europea hanno portato un notevole contributo al progresso degli studi. Essi si integrano con il grande lavoro storico e riflessivo del modenese Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), che apre il secolo con alcune considerevoli opere programmatiche, tra cui i Primi disegni della Repubblica letteraria d'Italia (1703) e il trattato Della perfetta poesia italiana (1706).
L'illuminismo napoletano riflette sulla storia, sia in termini di epoche e di interpretazione complessiva, sia nella contingenza del presente, quando la storia è ancora cronaca e l'intervento dell'uomo non è solo speculativo ma attivo. Questa unione di riflessione a lungo termine e di impegno militante è caratteristica che accomuna l'intero illuminismo europeo. Per gli illuministi la storia è soprattutto quella che si sta facendo, alla quale occorre portare il proprio contributo innovativo e positivo.

 

18. Dei delitti e delle pene

 

L'opera più nota e fortunata del nostro illuminismo fu il trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria (prima edizione 1764; quinta edizione, probabilmente l'ultima rivista dall'autore, 1766; il 3 gennaio 1766 il libro venne inserito nell'indice dei libri proibiti). Si tratta un'opera piccola, quarantasette brevi capitoli e nemmeno un centinaio di pagine, un po' come Il principe di Niccolò Machiavelli; entrambi non sono trattati estesi, sistematici e dettagliati, ma opere sintetiche e militanti, all'insegna del motto «Niente avrei detto, se fosse necessario dir tutto» (cap. XIV). Beccaria la scrisse a venticinque anni; forse anche per questo una delle caratteristiche del testo è la freschezza, l'ancora intatta capacità di parlare in modo diretto e incisivo, senza complicati giri di parole. Lo scrittore è mosso dall'entusiasmo di un'importante scoperta civile: la giustizia è parte integrante della pubblica felicità, del sistema organico dello stato; in quanto tale essa agisce non solo per punire ma soprattutto per educare («il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione», cap. XLV, chiaro omaggio a Rousseau, che nel biennio 1761-1762 aveva pubblicato La Nouvelle Héloïse, il Contrat social e l'Émile ou De l'éducation). La prospettiva di Beccaria è fiduciosa e costruttiva, «effetto del dolce e illuminato governo sotto cui vive l'autore», che si dichiara «pacifico amatore della verità» (dall'introduzione A chi legge). In quest'ottica egli condanna la tortura e la pena di morte, facendo dell'opera il manifesto della giustizia moderna e democratica.

 

19. La fortuna europea

 

Gli illuministi francesi se ne accorsero subito e ne decretarono l'immediato e clamoroso successo europeo; il 21 giugno 1765 d'Alembert scriveva a Paolo Frisi che «ce livre, quoique d'un petit volume, suffit pour assurer à son auteur une réputation immortelle»; alla fine di quello stesso anno usciva la prima traduzione francese curata da André Morellet. La straordinaria fortuna del piccolo trattato di Beccaria fu inversamente proporzionale alla sua limitata mole, esito in sintonia con l'esigenza di brevità e di prontezza tipica dell'illuminismo. Il testo si contraddistingue anche per la nettezza sentenziosa che rende memorabile parecchi passaggi: «Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di esser persona e diventi cosa» (cap. XX); «Le macchine politiche conservano più d'ogni altra il moto concepito e sono le più lente ad acquistarne un nuovo» (cap. XXII); «l'infamia di molti si risolve nella infamia di nessuno» (cap. XXIII); «Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse» (cap. XXVII); «se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità» (cap. XXVIII); «La più sicura maniera di fissare i cittadini nella patria è di aumentare il ben essere relativo di ciascheduno» (cap. XXXII); «Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà» (cap. XLII). Beccaria sottolinea più volte il compito pedagogico e progressista dei «cittadini illuminati», favoriti ora dal fatto che «veggiamo riposti su i troni di Europa monarchi benefici, animatori delle pacifiche virtù, delle scienze, delle arti» (cap. XXVIII); «l'uomo illuminato», egli ribadisce, «è il dono più prezioso che faccia alla nazione ed a se stesso il sovrano» e una «scelta di uomini tali forma la felicità di una nazione» (cap. XLII).

 

20. La voce dell'illuminismo italiano

 

Dai giovani uomini «illuminati» dell'Accademia milanese dei Pugni nacque in quegli stessi anni il «Caffè» (giugno 1764 – maggio 1766), il più importante periodico dell'illuminismo italiano. Oltre a Pietro ed Alessandro Verri e a Cesare Beccaria collaborarono alla rivista Alfonso Longo, François Baillou, Ruggero Boscovich, Gian Rinaldo Carli, Giuseppe Colpani, Giuseppe Visconti, Paolo Frisi, Luigi Lambertenghi, Pietro Secchi, Sebastiano Franci. Il «fine» della rivista è riassunto nella formula «pubblicare verità utili, senza noia» (I, 3). Nell'avviso Al lettore gli autori dichiarano:

Questo lavoro fu intrappreso da una piccola società d'amici per il piacere di scrivere, per l'amore della lode e per l'ambizione (la quale non si vergognano di confessare) di promovere e di spingere sempre più gli animi italiani allo spirito della lettura, alla stima delle scienze e delle belle arti, e ciò che è più importante all'amore delle virtù, dell'onestà, dell'adempimento de' propri doveri. Questi motivi sono tutti figli dell'amor proprio, ma d'un amor proprio utile al pubblico. Essi hanno mosso gli autori a cercare di piacere e di variare in tal guisa i soggetti e gli stili che potessero esser letti e dal grave magistrato e dalla vivace donzella, e dagl'intelletti incalliti e prevenuti e dalle menti tenere e nuove. Una onesta libertà degna di cittadini italiani ha retta la penna.

 

21. L'utopia di un gruppo di amici

 

Il «Caffè» è quindi il frutto di un gruppo di giovani amici («una piccola società») che vuole promuovere la cultura oltre gli ambienti degli addetti ai lavori e rivolgersi tanto al «grave magistrato» quanto alla «vivace donzella», con una prospettiva sociale senza dubbio più estesa rispetto alle nobili «dame» del Newtonianismo di Algarotti. Si tratta certamente di un'utopia, di uno scopo poco praticabile, ma è importante perché indica la direzione in cui deve svilupparsi l'attività degli intellettuali: uscire dalle nicchie degli «intelletti incalliti e prevenuti» e indirizzarsi alle «menti tenere e nuove», seguendo un programma pedagogico di riforme letterarie e civili. «Onestà», «libertà» (ulteriormente abbinate nella formula «onesta libertà») e «amor proprio» vanno di comune accordo perché virtuosamente uniti dall'obiettivo dell'utilità sociale («utile al pubblico»).

 

22. L'illuminismo napoletano

 

L'illuminismo napoletano precedette quello milanese di alcuni anni e brillò soprattutto per gli studi di economia. Antonio Genovesi, che ne fu il primo autorevole esponente, era nato quindici anni prima di Pietro Verri, nel 1713 (lo stesso anno di nascita di Diderot); Ferdinando Galiani, che fu il più noto e il più europeo degli illuministi napoletani, era nato nel 1728 (come Pietro Verri) da una famiglia importante (il padre Matteo era funzionario del regno, lo zio Celestino arcivescovo e ministro dell'istruzione). Sia Genovesi sia Galiani furono ecclesiastici, il primo prete (dal 1737), il secondo abate (dal 1745). Galiani fu letterariamente assai precoce: pubblicò il ponderoso trattato Della moneta a soli ventitre anni, nel 1751. L'opera riscosse grande successo e diede notevole impulso alla carriera pubblica di Galiani, che dal 1759 al 1769 visse e lavorò a Parigi in qualità di segretario dell'ambasciata del Regno di Napoli. Nella capitale francese conobbe i maggiori illuministi e divenne assiduo e ricercato frequentatore dei salotti, celebre per i suoi frizzanti e taglienti motti di spirito. Nel 1770 (anno di pubblicazione del Système de la nature di Holbach), grazie anche alle cure di Diderot e di Madame d'Épinay, apparvero i suoi Dialogues sur le commerce des bleds ("Dialoghi sul commercio dei grani"), che gli procurarono ulteriore fama e aspre polemiche. Nell'opera, capolavoro di «vigore polemico» e di «vivacità espositiva», egli attaccava il liberismo dei fisiocratici e in fondo manifestava «una vena di conservatorismo, di sfiducia nelle idee di riforma, nelle novità cui, da diversi punti di vista, sul piano economico o su quello filosofico, fisiocrati e uomini dei lumi aspiravano» (F. Diaz).

 

23. Ferdinando Galiani e l'Encyclopèdie

 

Galiani, soprannominato dai francesi Machiavellino, fu un illuminista complesso e spesso contraddittorio, originale nei punti di vista, acuto e per lo più polemico nelle opinioni.
Per rendersene conto è sufficiente leggere il ricchissimo epistolario, dove la lucidità di pensiero fa tutt'uno con la costante attenzione al nuovo e con l'intelligenza provocatoria che anima i giudizi.
Sintomatici sono per esempio i passaggi di alcune lettere in cui Galiani presenta al proprio interlocutore le fatiche degli enciclopedisti francesi.
Uno, desunto dalla missiva parigina del 12 novembre 1764 indirizzata al primo ministro napoletano Bernardo Tanucci, illumina efficacemente la fabbrica dell'Enciclopedia, a cominciare dal ritratto dei due direttori Diderot e d'Alembert; egli descrive con chiarezza il contesto culturale e soprattutto economico dell'impresa, con la dovizia di dettagli che caratterizza lo studioso di economia (e nello specifico di editoria) e il pungente osservatore dei costumi («Non può esser ripreso chi siegue gli usi del suo paese e del suo Stato»; «Ma i Francesi l'ultima cosa che scordano è il saper fare il conto loro. Potranno esser atei, ma non saranno mai coglioni»). Le parole di Galiani mettono in evidenza la distanza abissale che separa Parigi (e certo anche Londra) dall'Italia, da capitali pur sempre "provinciali" dei lumi come Milano e Napoli (e, se si vuole, la Toscana granducale riformista).
Un secondo brano è ricavato dalla lettera del 20 febbraio 1770 all'amico e studioso dell'umanesimo fiorentino Lorenzo Mehus. Galiani è da poco rientrato, e in modo definitivo, a Napoli («Pour moi je m'ennuie mortellement ici. […] La vie y est d'une uniformité tuante. On ne dispute de rien, pas même de religion. Ah! Mon cher Paris! Ah! Que je le regrette!» scriverà al barone d'Holbach il 7 aprile dello stesso anno). I Dialogues sur le commerce des bleds sono appena stati stampati e la polemica è già divampata. Nella lettera a Mehus egli torna sull'Enciclopedia in termini assai critici e con una anacronistica proposta di revisione dell'impianto dell'opera.
Forse più per estro provocatorio che per reale convinzione Galiani stronca il grande monumento collettivo degli illuministi francesi; alla vena corrosiva che lo distingue si aggiunge una indubitabile distanza, ambientale e personale, dallo spirito innovativo, borghese e imprenditoriale, dei lumi francesi e inglesi, in cui è inscindibile il nesso tra sviluppo sociale e culturale. Sviluppo che nella realtà italiana, specie in quella di Napoli, era ancora un miraggio.

 

24. Antonio Genovesi

 

Il processo di rinnovamento a Napoli si identificò soprattutto nell'opera di Antonio Genovesi. Il 28 maggio 1754 Galiani, già affermato autore del trattato Della moneta, aveva scritto a Lorenzo Mehus che tra le rare novità del regno vi era la fondazione di «una cattedra di Commercio e di Meccanica da insegnarsi in italiano, e la insegnerà Genovesi ». La cattedra di economia, che fu la prima in Europa, fu istituita e finanziata da Bartolomeo Intieri (1676-1757), figura fondamentale della vita economica e culturale del regno e dell'illuminismo napoletano, che Genovesi ampiamente ritrasse ed elogiò nella propria autobiografia. Genovesi, che aveva assistito alle ultime lezioni di Vico, esordì con studi di metafisica (Metafisica, 1743-1747), grazie ai quali intraprese la carriera accademica; egli fu un ottimo insegnante e formò una prestigiosa scuola di pensiero, in buona parte ispirata all'empirismo di Locke e di Newton. Genovesi proseguì l'opera antipedantesca avviata da Intieri, all'insegna delle "cose" prima che delle "parole", approfondendo gli studi di economia e di commercio, di agricoltura e di meccanica. Le sue Lezioni di commercio o sia d'economia civile (1765) diedero un contributo basilare ai fiorenti studi settecenteschi di economia italiani, sia per i contenuti sia per il metodo.

 

25. Un imprescindibile contributo al rinnovamento

 

Il secolo delle «cose» trovò quindi in Napoli e in Milano due esemplari centri di riflessione e sviluppo del pensiero illuministico. L'obiettivo che accomunò intellettuali pur diversi come Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria (per citare i nomi più noti) fu di accogliere e fare maturare gli stimoli innovativi provenienti dall'Inghilterra e dalla Francia nell'arretrata e frammentata situazione italiana. La distanza tra l'Italia e l'Europa restò notevole ma grazie alle loro opere si avviò una indubbia fase di avvicinamento. L'attenzione all'esperienza e alla concretezza della vita legò i tanti settori culturali che essi presero in considerazione, dalla valorizzazione dei sensi alla ricerca della pubblica felicità, dalle leggi dell'economia ai procedimenti giudiziari. In ogni ambito l'invito fu di passare dall'astratto al materiale, ad abbandonare le generalizzazioni per descrivere e discutere i fatti. È una lezione lineare e semplice ma che non fu affatto facile mettere in pratica; da qui ebbe inizio un processo di rinnovamento della cultura italiana che interessò la filosofia e la letteratura, la morale e l'economia, la società civile e la «repubblica delle lettere». Per queste ragioni il contributo degli illuministi milanesi e napoletani costituì e costituisce tuttora un riferimento determinante nell'inscindibile binomio di etica ed estetica.

 

Bibliografia



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