Michele Abbati - Valerio Varesi, Il Labirinto di ghiaccio

Mondadori, 2023

 

Questa volta non leggiamo una delle solite storie. Il labirinto di ghiaccio di Valerio Varesi è un romanzo anomalo, problematico, pericoloso e moralmente ambiguo. Chi pensa di poterlo maneggiare correttamente con i soliti strumenti didattici, si sbaglia. Serve più cautela, serve più libertà. Il romanzo sembra essere il memoriale in diretta di una fuga, un’evasione dalla gabbia delle costrizioni della vita borghese ben ordinata e protesa al successo e al profitto. Chi non si è mai cullato almeno per un momento nell’idea di rompere con le abitudini e cambiare radicalmente la propria esistenza? Chi non si è mai abbandonato al sogno di una fuga adolescenziale in un paese esotico o in un eremitaggio inaccessibile? Alla base di questi effimeri desideri c’è sempre un rifiuto: il gesto con cui si avanza la pretesa di distinguersi e di prendere le distanze da una realtà giudicata ipocrita, per rincorrere un ideale ancora indeterminato e suggerito dagli stessi valori proclamati a fondamento della vita che si ripudia. Ma come è possibile sdegnare un’esistenza che è intrisa di stantii luoghi comuni e amare al contempo gli stessi luoghi comuni che ne costituiscono la vera essenza, un po’ come se fossero la sua struttura profonda?

Il succo della storia è più o meno questo, ma il protagonista, che all’improvviso recide (e non recide) i legami col mondo, si rifugia, come un latitante a cui tutti danno la caccia, in alta montagna, ai limiti della sopravvivenza. La narrazione si sviluppa pianamente, dando per scontata l’adesione a un comune codice di valori, tanto diffusi e rassicuranti, quanto eticamente contraddittorii e smaccatamente utilitaristici. Se questo è il patto narrativo, il finale del romanzo è sconcertante e unheimlich, come a rivelare che l’accettazione e il rifiuto del “mondo così com’è” da parte del protagonista sono in realtà un’erma bifronte dell’immutabilità: nulla è davvero cambiato, nonostante il lavoro silenzioso del tempo, che dovrebbe mutare inavvertitamente ciò che è più intimo in ognuno.  Attenzione, dunque, non bisogna farsi ingannare: la morale vera, mai enunciata, non è né saggia né suadente.  

 

La vicenda

Un uomo in completa solitudine si inerpica per sentieri impervi in alta montagna, fino ai margini di un immenso ghiacciaio. Nello zaino porta con sé pochi oggetti personali, minuscoli attrezzi, una scorta di cibo, una tenda e una piccola radio. È in fuga dalla famiglia, dal lavoro, dal successo professionale e sociale, ma anche da qualcos’altro di non detto, da una colpa misteriosa. Qui ad alta quota, in una conca nevosa dimenticata da ogni mappa, fuori dai percorsi consueti, si costruisce un rifugio perfettamente mimetizzato, utilizzando una baracca di lamiera vecchia e residuati bellici dimenticati della Grande guerra e, a colpi di piccone, scava nel ghiaccio un reticolo di cunicoli dove potersi nascondere e proteggersi da visite indesiderate. Il labirinto è collegato a una grotta naturale scavata da un corso d’acqua che attraversa il ventre roccioso della montagna fino alla zona delle abetaie e dei pascoli d’altura (alta malga), da cui poi si può scendere in basso, fino al paese che l’uomo ben conosce, perché è quello della sua infanzia, prima che il padre, investito da un improvviso benessere, trasferisse la famiglia in una grande città. La vecchia radiolina che ha con sé gli conferma che tutti lo cercano e sono state organizzate delle battute per ritrovarlo. La sua sparizione è all’attenzione delle forze dell’ordine, solletica la curiosità del pubblico, occupa uno spazio di rilievo nei notiziari e sui giornali, diviene un gioco di società, una chiacchiera da consumare nei talk show televisivi, tra congetture sempre più improbabili e pettegolezzi morbosi. Così, invisibile e introvabile, inizia un frenetico lavoro di formica per rifornirsi entro la fine dell’estate dei mezzi per sopravvivere in un luogo che presto la neve coprirà del tutto. Ma scavando, dappertutto emergono cimeli centenari della guerra combattuta qui, dove passava una delle linee del fronte. Oggetti di vita quotidiana, armi, granate inesplose, elmetti, divise, fotografie, immagini sacre, lettere mai spedite: il ghiacciaio, scavato palmo a palmo, restituisce giornalmente le reliquie di una lotta disperata per la vita perduta da tanti. Ed infatti, immancabili vengono riesumati anche cadaveri di soldati perfettamente conservati dai ghiacci, in uno spettacolo macabro che li fissa in eterno nell’attimo del trapasso. Ma le sorprese non mancano. Tra le tante testimonianze del passato ne affiorano alcune incongrue e inquietanti. C’è, in particolare, un cadavere che indossa una divisa della Seconda guerra mondiale e che viene identificato, dalle carte che porta nelle tasche, come uno dei membri di quella che era stata un tempo la famiglia più importante e influente della vallata, ma e che alla fine era andata repentinamente in rovina. Il ritrovamento spinge il protagonista ad indagare sulle pagine oscure della storia della propria famiglia e della vita del padre, che sempre più risultano collegate al misterioso cadavere ritrovato. Solo a questo punto il protagonista confessa qual è la causa della sua fuga: ha assassinato i soci della sua impresa per motivi di interesse e ne ha occultato i cadaveri. Intanto, nella lotta estenuante contro gli elementi ostili della natura affiorano nel protagonista sempre più forti esigenze di spiritualità, che si concretizzano nella costruzione di una cappella al centro del labirinto e nella realizzazione di un’immagine rozzamente scolpita del Cristo patiens. Questo non impedisce al protagonista di fronteggiare due nuove insidie: una presenza umana solitaria che si avvicina pericolosamente a lui e l’avvio della costruzione di una funivia, a cui il protagonista ferocemente si oppone, anche con l’uso di esplosivi, provocando la morte di diverse persone. Il misterioso rivale, che si rivela essere un amico d’infanzia, viene arrestato dai carabinieri e ingiustamente accusato degli attentati. Il progetto della funivia viene abbandonato. Ma i segreti custoditi nel mondo irreale del ghiacciaio non si esauriscono mai. Lo scioglimento del ghiaccio dovuto al riscaldamento climatico compromette la stabilità del labirinto e per evitare crolli bisogna costruire altri percorsi. All’improvviso, casualmente, sotto i colpi di piccone del protagonista si apre un reticolo meraviglioso di cunicoli scavati da qualcun altro a un livello più profondo del ghiacciaio. È una sorta di doppio del labirinto, molto più solido e grande. Qui il protagonista trova rifugio quando un gruppo di esploratori scopre i tunnel da lui costruiti, scambiandoli per quelli scavati dagli alpini per arrivare a ridosso delle linee nemiche. Alla fine della seconda estate di permanenza sul ghiacciaio, il protagonista, diventato fragile e vetroso come un corpo prosciugato della sua linfa vitale, abbandona la montagna che ora spietata lo rifiuta. È malato e invecchiato, il suo volto scarno è segnato da un arabesco di rughe che lo rende a tutti irriconoscibile. Un breve tragitto in treno lo riporta in città, dove, attingendo alle ingenti risorse di un conto bancario segreto, inizia una nuova vita agiata e protetta questa volta dall’anonimato garantito da internet. I misteri della montagna vengono risolti, ma erroneamente, una volta per tutte. A celare la segreta esistenza del protagonista subentra ora il labirinto del web, nel quale l’identità si scioglie nel gioco illusorio e metamorfico delle apparenze, e dove tutto, ridotto a un’immagine evanescente, fluisce mescolandosi, senza gli argini che separano il vivere dal morire.

 

Il libro e il “plot”

Il labirinto di ghiaccio nasce su commissione per l’editore MUP di Parma nel 2003 e poi viene riedito, con alcune modifiche, nella collana Omnibus di Mondadori nell’ottobre 2023. Le principali novità a vent’anni di distanza dalla prima pubblicazione riguardano l’ampio spazio riservato alla questione del riscaldamento climatico e all’utilizzo pervasivo di internet, con i cambiamenti dei costumi sociali da esso determinati.

L’impianto narrativo, invece, resta identico, monologico con un un’unica ossessiva focalizzazione interna all’anonimo protagonista-narratore, il quale ci coinvolge in un delirante e metodico discorso narcisistico-solipsistico, che si estende a macchia d’olio con giudizi puntuali e condanne inappellabili sul mondo che ha fisicamente abbandonato. Anche il tempo della storia, collocata nel presente, coincide con il tempo della narrazione, in una sincronia lineare che possiamo misurare nell’arco temporale di due estati (brevi estati di montagna) e un inverno (lungo e durissimo). Il narratore registra su un “taccuino” (15), come in un commentario, l’avanzare dei lavori di costruzione del labirinto, e le scoperte e gli avvenimenti che si susseguono. Le sfasature tra fabula e intreccio sono poche, ma perciò altamente significative, come nel caso delle analessi narrative riguardanti la storia familiare. La rivelazione progressiva degli enigmi che avvolgono il passato e la scoperta di un sentimento religioso coincidono con il logoramento fisico dell’Io narrato, che si scopre allo specchio paurosamente indebolito e invecchiato.

Ma è a questo punto che avviene la più sorprendente scoperta, e la più realistica, sul narratore-personaggio. Il suo rapido ritorno alla vita di pianura avviene con la stessa fredda e cinica determinazione con cui ha imbastito l’assurda vicenda fin dall’inizio. Nella casa acquistata in un quartiere elegante di città il labirinto di ghiaccio viene sostituito in tutto e per tutto con il labirinto del web, dove subdolamente e agevolmente si può continuare ad agire nell’anonimato. Come a dire, irriconoscibile sotto la maschera di rughe che ne solcano il viso, il personaggio (o la natura umana) resta immutabile.

 

Tipologia del personaggio

È questo il primo aspetto inquietante di un personaggio contradditorio, un tipo umano che, dopo aver avuto il «potere» e la «notorietà» (pp. 13, 17, 19, 83)*, aspira ad essere «il centro invisibile dell’attenzione degli altri» (p. 149)*, spiandoli in segreto da un cantuccio buio. Il protagonista-narratore si rinchiude in una gabbia segreta: il labirinto del ghiacciaio, un posto fuori dal consorzio umano e al limite delle possibilità di sopravvivenza, per riappropriarsi del suo Io e scoprire, senza avvedersene, la sua spiritualità. Riscopre anche la spontaneità, come un bimbo che impara a conoscere e che si spaventa di fonte alle tenebre. Certo, ci vuole «entusiasmo e incoscienza per giocare alla capanna» (p. 20)* in un ambiente come questo, in cui ogni mezzo deve essere essenziale e calcolato. Bisogna riappropriarsi delle cose e ogni oggetto di scarto diventa prezioso. Questa vita essenziale, quasi da Robinson Crusoe d’alta montagna, è polemicamente in opposizione all’eccesso di contenuti informativi della vita ‘normale’. Normalmente si vive di informazioni, immersi in una “infosfera” avvolgente che ci allontana dal rapporto concreto con la realtà e che rende gli altri come simulacri irreali. Il protagonista vuole, invece, un rapporto con la realtà fisica, ma non abdica totalmente al mondo: rimangono la radio, la TV, le notizie e le chiacchere vere e, soprattutto, false.

Un secondo aspetto che concorre a delineare l’ambiguità del personaggio sta nella ricerca, apparentemente contraddittoria, di una renovatio attraverso il ritorno al passato. Il ghiacciaio è un giacimento di memorie che restituisce oggetti vari e anche un manoscritto in cui rivive la storia parallela di due  famiglie dello stesso paese:  quella potente in declino e quella rabbiosamente emergente, a cui appartiene il protagonista;  così il romanzo diventa più intimo, una family story che procede nelle nebbie dei ricordi d’infanzia come un’inchiesta poliziesca alla Simenon, in cui, togliendo con pazienza un velo dopo l’altro, la soluzione arriva quando rimane l’uomo solo, spogliato di tutto.

Lo spirito del romanzo è questo. La vita idealizzata dell’infanzia rivela il suo volto prosaico e tutt’altro che ingenuo. La sua vera costante è il tradimento, che si declina in modi e tempi diversi, e si ripete, magari involontariamente, anche nei confronti delle persone amate, proprio come quando il protagonista, non volendo assumersi la responsabilità degli attentati da lui stesso compiuti, provoca l’arresto e la condanna dell’incolpevole e pacifico amico d’infanzia che, al contrario, non lo denuncia.

 

Gli ascendenti ideali

La scaturigine creativa del romanzo risale probabilmente a una duplice fonte: da un lato, le notizie di cronaca sul cambiamento climatico e sul crollo dei ghiacciai alpini, sullo spopolamento della montagna e la sua trasformazione in bazar turistico, ma anche sulla scoperta e l’esplorazione dei tunnel costruiti dai soldati della Prima guerra mondiale; dall’altro, le molteplici contaminazioni e i rimandi letterari. Innanzitutto La tana, il racconto di Franz Kafka, in cui il protagonista scava un tunnel e si accorge che contemporaneamente qualcun altro sta scavando un altro tunnel vicino al suo, ma anche La guerra invernale del Tibet di Friedrich Dürrenmatt, per l’atmosfera claustrofobica e spietata, dai toni talora grotteschi. E, ancora, L’invenzione della solitudine di Paul Auster, per l’indagine su un antico delitto compiuto dal padre e, naturalmente, l’affabulazione tormentosa delle Memorie dal sottosuolo di Fëodor Dostoevskij, archetipo letterario e antropologico della modernità.

 

Il labirinto della scrittura

In un passo di Al di là del bene e del male (1885) Friedrich Nietzsche scrive: «È cosa di ben pochi essere indipendenti: - è una prerogativa dei forti. E chi tenta di esserlo anche con il miglior diritto, ma senza esservi costretto, dimostra con ciò che egli verosimilmente non è soltanto forte, ma temerario sino alla dismisura. Costui si infila in un labirinto, moltiplica in mille modi i pericoli che la vita già di per sé stessa comporta, dei quali non è il minore l’impossibilità per ognuno di vedere con i propri occhi come e dove si stia smarrendo e resti isolato, come e dove venga dilaniato membro a membro da un qualche cavernicolo Minotauro della coscienza. Ammesso che un tale individuo perisca, questo evento è così lontano dalla comprensione degli uomini che essi non possono sentirlo né compatirlo: - e costui non può più tornare indietro, neppure alla compassione degli uomini! -» (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire, I, 29; tr. it. di F. Masini, Milano, Adelphi, 1979, p. 37)

Non so se Valerio Varesi abbia avuto presente questa pagina del filosofo tedesco, ma nel suo romanzo il tema del labirinto (per il quale si rimanda al bel percorso di Maria Raffaella Cornacchia su «Griselda» n.5 del 2022, https://site.unibo.it/griseldaonline/it/didattica/maria-raffaella-cornacchia-labirinto-ariosto-oggi-percorso-interdisciplinare) assume una curvatura filosofica. Da una parte abbiamo un protagonista übermenschlich, dai tratti un po’ anarcoidi e un po’ egoistici-stirneriani, dall’altra troviamo in lui un’emotività torbida, sentimenti confusi e un fortissimo senso di colpa che si espia nella misura del rimorso, non in atti risarcitori. Nel Labirinto di ghiaccio il personaggio non è solo un personaggio romanzesco, ma con una sorta di scivolamento metonimico diviene contemporaneamente un metodo di scrivere. Così, pure il labirinto non è solo il simbolo della vita e della coscienza del personaggio, ma nelle sue svolte e rivolgimenti disorientanti è il procedere della storia parola dopo parola, una svolta dopo l’altra. Insomma, lo svolgimento del plot non è poi così importante, quello che conta è il suo orientamento. La conversione spirituale, che il protagonista del Labirinto di ghiaccio si convince di aver avuto, viene percepita mentre, egli scopre di aver assunto una stretta somiglianza con un’effige di Cristo che sta scolpendo e affinando sempre più. Lo scrittore si comporta come il falegname che intaglia il legno: procede artigianalmente per tentativi prudenti, dirozzando sempre più la materia, segue delle immagini che deve plasmare linguisticamente rendendole il più possibile coerenti e concrete sulla pagina. Bisogna, insomma, anche forzare la lingua per farla aderire alla realtà e renderla però plausibile.

La scrittura è sempre un gesto di ribellione “condizionata” e contraddittoria, un po’ furfantesca e propensa al lenocinio, tanto quanto quella posta in atto dal protagonista-narratore del romanzo. La lingua del romanzo non può essere completamente diversa da quella utilizzata comunemente tutti i giorni, anche se oggi assistiamo a una peste del linguaggio, simile all’antilingua descritta con ironia da Italo Calvino nel 1965 e simile ancor più alla neolingua che George Orwell faceva nascere nell’atmosfera allucinatoria di annientamento ideologico delle differenze nel suo romanzo 1984.

La Weltanschauung del Labirinto di ghiaccio non ha niente di didascalico o di consolatorio. Anche la visione ambientale che scaturisce da un rapporto radicale e autentico con le cose e con la durezza della montagna è depurata da svenevolezze e sentimentalismi. La montagna obbliga ad una relazione senza mediazione con le cose, a vederle da vicino, ad accettare lo scontro con una realtà infida, che bisogna guardare con sospetto e da vicino, perché la neve può nascondere crepacci, le slavine possono staccarsi dai fianchi dalle alture all’improvviso, il freddo è implacabile. La sorpresa è che l’amore per la montagna che traspare nelle pagine nel Labirinto di ghiaccio si esprime in questo modo: la montagna non subisce nessuna mitizzazione, non è salvifica, non è felice. Nei luoghi impervi c’è una verità, e questa ha che fare con il vivere e il morire.

Leggere questo romanzo di solitudine e ribellione ci fa ricordare che capire la letteratura significa capire il mondo e il suo rovescio. La natura e l’umano, la società e l’individuo, la vittima e il carnefice, il presente e il passato, la vita e la morte, sono realtà controvertibili sempre.

 

*[Nota: i numeri tra parentesi tonde si riferiscono alle pagine del romanzo nell’edizione Mondadori del 2023]