Claudia Correggi - E la chiamano estate

Varianti di un tema novecentesco da D'Annunzio ad Arbasino

D'Annunzio, Alcyone

Moravia, Agostino

Arbasino, Agosto, Forte dei Marmi, La bella di Lodi

 

Introduzione al percorso

 

Vi è uno spazio-tempo, rintracciabile nella mappa dei testi della letteratura italiana del Novecento, intorno al quale l'autarchia incoraggiata dal periodo di emergenza ha riattivato l'interesse collettivo. È quello generato dall'incrocio tra le coordinate geografiche del paesaggio balneare Mediterraneo – nelle sue porzioni più antropizzate e rassicuranti – e quelle temporali della stagione estiva.

Ne deriva una cospicua serie di temi e motivi, sui quali prevale, per dovizia di costruzioni simboliche, il tempo sospeso della vacanza. Nel corso del secolo modernista, la consuetudine di trasferirsi in luoghi ameni, deputati al relax e convertiti a un divertimento fruibile in modalità standardizzate[1] diventa accessibile a una frequentazione sempre più allargata. La condivisione di tempi, spazi e rituali sottrae il paesaggio allo stato d'inerzia di un fondale e lo trasforma in uno dei tanti mondi possibili della finzionalità. Il tema di un periodo di tempo inattivo, speso in trasferta, si configura così come un generatore di intrecci significativo per sondare l'adeguamento dei costumi collettivi ai modelli comportamentali indotti dalla società dell'affluenza.

Nel percorso che segue si propone una variante del tema, fra le tante reperibili: l'estate in Versilia. Dopo le declinazioni di D'Annunzio e Moravia, particolare rilievo è riservato alle versioni elaborate da Arbasino. L'approfondimento critico rivolto ai docenti è completato da suggerimenti di lettura per gli studenti: due estratti dal romanzo del 1972 La bella di Lodi, rielaborazione scritta della sceneggiatura dell'omonimo film del 1963, a sua volta ispirato a un racconto. L'operazione transmediale messa in atto da Arbasino intorno al film consente pertanto di introdurre le classi in un circuito di lettura integrato dalla visione delle scene corrispondenti del film. Assecondando così la 'generazionale' disponibilità degli studenti nei confronti di testi ibridi, si vuole favorire la fruizione scolastica di un autore considerevole – come attestano i due Meridiani che ne consegnano le opere al canone –, ma inserito marginalmente nelle antologie attualmente in adozione e, forse, con estratti non tra i più efficaci, al fine di evidenziarne il contributo più originale e riuscito, vale a dire l'attenzione sempre tesa alla registrazione sulla pagina della volubilità linguistica di un secolo.

 

1.     Lidi immaginifici

 

L' inusuale percezione del tempo e dello spazio indotta dalla sospensione della vacanza estiva ed enfatizzata dalla prossimità del mare, si profila come un tema ricorrente della letteratura italiana del Novecento, generato da un rapporto reciproco con lo spazio-tempo dell'estate. Agli esordi del secolo scorso il topos convoca la presenza di personaggi provenienti da classi medio-alte. La consuetudine della villeggiatura estiva infatti è ancora un bene di consumo riservato a una élite. In particolare, la vocazione del paesaggio della Versilia a promuoversi come fondale germinativo di intrecci finzionali si attesta a partire dall'Alcyone dannunziano fin dal 1903.

Nel terzo libro delle Laudi il poeta 'disfoglia' in versi le fasi di vari soggiorni estivi sul litorale toscano, durati nella realtà dall’estate 1898 fino all'autunno del 1902, ma trasformati attraverso la finzione poetica nel diario di un'estate scritto a caldo. Il medesimo trattamento “mistificatorio” riguarda anche il dato geografico, poiché l'ambientazione della raccolta di 88 componimenti non coincide né con lo scenario effettivo della vacanza trascorsa con la Duse, che include oltre alle digressioni frequenti tra Marina di Pisa e San Rossore, le ville della Capponcina e della Porziuncola, né con i luoghi in cui l'opera lirica più ispirata di D'Annunzio[2] viene effettivamente scritta, vale a dire Assisi, Settignano e il castello di Romena nel Casentino. In sostanza, il contenuto che D'Annunzio elabora in Alcyone è un'esperienza totalizzante di immedesimazione panica in una regione immaginaria, che non corrisponde alla Versilia vera e propria, ma evoca una Toscana trasfigurata attraverso il mito greco – e l'apporto di una lingua aulica e arcaicizzante – in uno spazio ideale, silvestre e madido di umori marini, fecondo ispiratore di un momento creativo irripetibile, concepita «ora come un Eden, un paradiso mitico e primordiale, ora come un luogo di putrefazione paludoso e malsano», dove egli comunque tornerà ripetutamente a partire dall'estate del 1906 presso la villa nel Parco della Versiliana, tra Marina di Pietrasanta e Forte dei Marmi.

 

2.     Lotta di classe balneare

 

La connotazione propriamente elitaria dei soggiorni dannunziani, ben rappresentata dal lusso degli arredi e delle suppellettili e dall'eccedenza di levrieri e cavalli, di cui è testimone anche un giovane Umberto Saba, ospite di un figlio del poeta durante un soggiorno alla Versiliana, gradualmente si attenua, come testimonia il romanzo Agostino di Moravia. Pubblicato una prima volta nel '43 in sole 500 copie, in seguito bloccato con l'accusa di oscenità, il testo costa all'autore l'ingiunzione di non scrivere, estesa anche alle sceneggiature per il cinema, unica fonte di sostentamento in quegli anni difficili. Agostino viene ripubblicato da Bompiani nel 1945 e, pochi anni dopo, nel 1952, subisce la messa all'indice da parte del Sant'Uffizio, come il resto delle opere di Moravia, che, nel medesimo anno ottiene il riconoscimento pubblico del Premio Strega per i Racconti.

 

L'impianto del romanzo è molto tradizionale: un narratore onnisciente racconta il percorso di formazione del protagonista tredicenne, il ragazzo di buona famiglia del titolo. La vicenda si dipana durante l'estate in una Versilia mai nominata, ma evocata attraverso la liturgia dei motivi di una routine vacanziera ormai consolidata per la classe di appartenenza di Agostino: il bagno in mare a metà mattina e metà pomeriggio condiviso con la madre, giovane vedova avvenente, il giro in pattino, la cabina, la casa di villeggiatura con la servitù. Se non che il ritmo pacato e monotono, che scandisce la vacanza dell'adolescente, viene interrotto dall'irruzione di due elementi di rottura, entrambi dirompenti perché scaturiti dalla disparità di classe: un giovane uomo che seduce la madre per soldi e una banda di ragazzi del popolo, selvatici e male assortiti, sui quali campeggia come genio del male il bagnino Saro, laido omosessuale che fa coppia fissa con Hans, ragazzo di colore descritto con tratti caratteriali femminei (personaggi che l'attuale ossessione per la correctness renderebbe improponibili).

 

Gli sviluppi dell'intreccio non interessano qui, così come non si ritiene importante, ai fine del percorso, insistere sul tema della scoperta della sessualità da parte del protagonista o del suo presunto senso di alienazione maturato, in quanto borghese, nella contrapposizione con una realtà sociale inferiore e avversa. Risulta più interessante invece registrare come lo scenario del conflitto – la Versilia appunto – venga presentato da Moravia, all'altezza della fine degli anni '40, come uno spazio-tempo, non più confinabile nei limiti dell'idealizzazione dannunziana, ma esposto ai rischi di una contaminazione con la realtà, per quanto conflittuale e insidiosa. La lingua scelta da Moravia[3] non riflette il dissidio in atto, si attesta su un registro sorvegliato e formale, depurato da qualsiasi espressione dialettale e costellato di ella, ebbene, un poco, nevvero, debbono, attento a mentenere l'attenuazione delle varietà regionali e una sorta di regolarità linguistica. Si propongono di seguito due esempi. Nel primo il protagonista entra in contatto per la prima volta con un ragazzo del popolo:

Agostino si asciugò gli occhi con il rovescio della mano e incominciò: “Dì un po' … cosa vuoi? Ma l'altro  si voltò e gli fece cenno di tacere […] “Si gioca a guardie  e ladri,” disse il ragazzo dopo un momento, voltandosi verso Agostino. “Non debbono vedermi.”

Il secondo estratto fa parte di un dialogo tra il protagonista e la madre:

Levata con sforzo la mano, batté leggermente contro lo stipite domandando: “Si può?”

“Aspetta un momento, caro,” disse la madre tranquillamente. […] “Mamma” disse Agostino senza levare gli occhi, “io vado sulla spiaggia.”

“A quest'ora?” Disse la madre distrattamente, “ma fa caldo ... non sarebbe meglio che tu dormissi un poco?”

L'esito è la medesima 'innaturalità' artificiosa della lingua parlata proposta nel doppiaggio dei film coevi prodotti dalla fiorente industria cinematografica nazionale e di quelli importati da Hollywood.

 

3.     Alle soglie del 'Boom'

 

Una decina d'anni dopo, Arbasino fornisce un'ulteriore esecuzione del tema prodotto dallo spazio-tempo nel racconto Agosto, Forte dei Marmi, inserito, insieme ad altri quattro, nella raccolta Le piccole vacanze, pubblicata nel 1957 da Einaudi e destinata, come la maggior parte dei titoli arbasiniani, a riscritture e vagabondaggi editorali.[4] La scheda bibliografica compilata da Calvino elargisce una legittimazione autorevole al debutto dell'autore ventisettenne, che collocato nella scia di Gadda e Fitzgerald, si premura di introdurre personaggi e contesti della media e alta borghesia – e soprattutto la loro lingua – nella narrativa dominata dal neorealismo. Nel racconto in questione, una voce maschile in prima persona si dilunga per due terzi delle pagine a deplorare la ristrettezza culturale e il doppiogiochismo delle «povere ragazze»[5] di provincia «tirate su piene di idee sbagliate» e sobillate dalle «ombre perenni e schifose delle madri» alla caccia di un buon partito, «madri peggiori di qualunque cosa» che «sarebbero d'ammazzare tutte subito». Dopo una prolissa requisitoria, sempre in soggettiva, sui comportamenti in voga tra i giovani di buona famiglia, le scarse possibilità di corteggiamento e l' «educazione sbagliatissima», la voce narrante distoglie progressivamente l'obiettivo dal bersaglio e lo direziona sulle località di villeggiatura, percepite come spazi di libertà individuale sottratti all'angustia mondana e al controllo soffocante del giudizio sociale, dove le relazioni sembrano potersi avviare in modo meno problematico e con maggiori possibilità di successo. Il lettore viene a sapere che Laura, una ragazza conosciuta l'anno precedente a Cortina, è rimasta al centro dei pensieri dell'io narrante per tutto l'inverno. Il pretesto di raggiungerla in Versilia introduce l'ultima sezione, che coincide con il resoconto esteso e particolareggiato delle peripezie amorose del protagonista in vacanza, in bilico tra il retaggio dei pregiudizi coltivati nella soffocante provincia di provenienza e la spregiudicatezza dei comportamenti favoriti dal clima permissivo e cosmopolita del contesto vacanziero. All'oscillazione tra i due poli estremi – perbenismo e anticonformismo – corrisponde un continuo vagare tra le località della Versilia, nominate tutte in virtù di un'aspirazione all'esaustività nomenclatoria che anticipa la cifra stilistica ricorrente nelle opere successive dell'autore.

Non mancano i nomi dei locali più famosi dell'estate versiliana alle soglie dei '60, la Bussola e la Capannina, la cui frequentazione garantisce l'assiduità con l'élite dei clienti abituali[6] Così, grazie a un monologo assai verosimile per l'immediatezza raggiunta nella ricostruzione del parlato – in virtù di «un ottimo orecchio che descrive i dialoghi»[7] – il lettore segue gli innumerevoli spostamenti e le frenetiche vicissitudini che animano la vacanza del narratore. Le occasioni si susseguono ed egli si destreggia tra Laura, laureanda in Lettere troppo per bene, la più disponibile Marina «né scatenata, né ritrosa: il giusto. Senza farsi eccessivamente filare. Al naturale» – scambiata per “una del giro”, laureatasi invece in febbraio e impegnata in una farmacia del litorale. La naturalezza della ragazza, che stupisce perché seduce gli uomini ribaltando i ruoli abituali, infatti «se li prende insieme per qualche ora, veramente “l'amore di una sera” l'avrà visto fare al cinema, e poi li pianta, lei!, tranquillissima e senza preoccuparsene», viene pregiudizialmente registrata come ninfomania. L'elenco delle conquiste prevede ancora una Sandra, da Torino:

mi piace, è molto carino il vezzo che ha, mentre si parla, fa continuamete segno di sì, ma cambia l'espressione degli occhi a ogni parola, scuote la testa continuamente: sono le piccole mosse della bambina davanti alla signora maestra, o dello spettatore al cinema che non si sente osservato.

E poi Monique «la più bella della spiaggia», svizzera, figlia di un console, che «non è una ragazza che si porta nella propria camera o una sera al Gran Hotel [….] Ma fra la macchina, spiaggia, e pineta, si può fare ugualmente “quasi” tutto». Il pencolare della voce parlante tra conformismo morale e spregiudicatezza dell'agire – di cui si è detto – trova un corrispettivo linguistico nella fluttuazione tra il parlato della borghesia dei professionisti della provincia lombarda e il gergo giovanile, linguaggi accomunati entrambi dall'ansia di ostentare l'adesione al processo di modernizzazione in atto. Così nel fiume di parole che dà vita al lungo discorso in prima persona, che si potrebbe definire di registro colloquiale-controllato, si mimetizzano qui e là termini del turpiloquio: pistolini, chiavare,[8] merda. É legittimo supporre che sull'operazione linguistica compiuta dall'autore abbia influito la suggestione della lingua vivida e concreta di Salinger, di cui Arbasino, consumatore compulsivo della produzione culturale internazionale, a quell'altezza ha letto in lingua originale The Catcher in the Rye, uscito negli Stati Uniti nel 1951.[9]

 

4.     Da Lodi, la bella

 

Se nella raccolta Le piccole vacanze Arbasino realizza l'intenzione di dar voce alla ricca borghesia della provincia lombarda, nella produzione agli esordi degli anni Sessanta si fa cronista e promotore di un nuovo gusto che si va imponendo, scaturito dalla confluenza di condizionamenti consumistici e attitudini sperimentali, rivolto a una ricezione allargata come non mai in precedenza. Traccia di questa sintonia con il postmoderno incipiente è l'arrendevolezza della letteratura a ibridarsi con altri linguaggi e a sconfinare in campi artistici contigui, come attesta l'operazione transmediale attuata intorno a La bella di Lodi: adattamento cinematografico di un racconto, poi variante romanzesca della sceneggiatura. Nel febbraio 1963 esce nelle sale italiane il film, debutto, rimasto tale, di Arbasino nel cinema, dovuto alla collaborazione con Mario Missiroli, regista teatrale e direttore del Teatro Stabile di Torino. Il soggetto è citato nelle catalogo del Fondo manoscritti di autori contemporanei[10] per la prima volta tra il ‘58 e il ‘59 con il titolo Sdraiato al sole, sviluppo di una trama con la collaborazione di Bolognini, Tatiana Delby e Pasolini a partire da una suggerimento di Anna Banti. Lo spunto è la seduzione di una ragazza della buona borghesia da parte di un attore belloccio, poi meccanico esperto di automobili. Nel 1961 vede la luce il racconto in due puntate sul «Mondo». La pubblicazione in veste di romanzo risale al 1972 a inaugurare il ritorno di Arbasino in Einaudi, con un volume contrassegnato in copertina dal rosso acceso delle labbra pop dipinte da Pino Pascali.

 

 Link - Copertina La bella di Lodi

 

Sottoposto a un procedimento di riscrittura finalizzato principalmente ad aggiornarne i riferimenti culturali, pur mantenendo la struttura di fondo,[11] il romanzo approda nel 2002 in Adelphi. Una sorta di atmosfera da anomalia diffusa è la cifra del soggetto, a partire dal gioco di seduzione che vede come detentrice del potere una ragazza benestante, Roberta,[12] e come vittima un meccanico spiantato, ma prestante, Franco. La costruzione della storia risulta nervosa, molto lontana dalla leggibilità del ʻromanzo benfattoʼ, contro il quale, sempre nel medesimo anno del film, Arbasino ingaggia con caparbietà una guerra personale, sia con la pubblicazione di Fratelli d'Italia, sia con gli interventi al primo congresso del Gruppo 63. Il peso del denaro e della differenza di classe nella trama è posto davanti agli occhi dello spettatore, fin dalla sequenza iniziale ambientata sulla spiaggia di Pietrasanta, grazie al motivo della borsa di Roberta (nel libro un nero portafoglio «tipo porta-documenti da uomo»[13] rigonfio di banconote) oggetto dell'interesse del ragazzo con il pretesto delle sigarette. Richiusa velocemente dalla ragazza - incuriosita dalla prestanza fisica del meccanico, ma pur sempre vigile sui dané – la borsa non sfugge allo sguardo desiderante di Franco.

 

Link - La borsetta di Roberta ( scena 0:00-6:43 ) - dal film La bella di Lodi, 1963

 

Link - L'incontro

 

L’asimmetria come ostacolo interno alla relazione amorosa è un espediente narratologico sul quale si fondano altri romanzi significativi di quella stagione. È ad esempio di quello stesso 1963 il romanzo Un amore di Buzzati, che inscena la relazione del tutto sbilanciata, per età e posizionamento sociale, tra l’architetto cinquantenne Dorigo e la giovane prostituta Laide. Lo squilibrio sociale concentrato sul sesso dei contendenti, come nel film arbasiniano, è al centro del romanzo di Morselli Incontro con il comunista, risalente al 1965 e pubblicato postumo, in cui a districarsi nel conflitto erotico e sentimentale sono una giovane vedova borghese e un ruvido operaio. L’originalità messa in campo nella scelta dei personaggi ne La Bella di Lodi risulta evidente in particolare se si ragiona sulla precocità della versione cinematografica in bianco e nero, costruita su un conflitto amoroso e sociale, nel quale la posizione di potere, lo si ribadisce, è detenuta da Roberta, giovin signora di una dinastia lombarda di proprietari terrieri, disinibita, abituata a viaggiare, a proprio agio sulla macchina sportiva come nei locali notturni. La percezione di un’incongruità dei personaggi rispetto alla loro vera natura sessuale, per cui dietro la maschera della disinvoltura erotica di Roberta – interpretata da una credibilissima Sandrelli diciassettenne doppiata da Adriana Asti – sarebbe lecito intravedere un protagonista maschile, è proposta da Marco Belpoliti in un articolo del 2003, in occasione dell'edizione Adelphi del romanzo.

Il critico interpreta la sfasatura come traccia dell’adesione di Arbasino al camp, ovvero la “sensibilità estetica dedita al culto dell’innaturale”, rubricata dalla critica come ʻgaranziaʼ del postmoderno.[14] Le risposte divertite e sornione con le quali Arbasino si inserisce nella querelle[15] innescata da Belpoliti, non suffragano, e neppure respingono l’ipotesi della vena camp. Il vero personaggio, di fatto è il boom, ovvero l'onda modernizzatrice che irrompe sul paesaggio esteriore della pianura padana e, con impatto non secondario, su quello interiore delle gerarchie familiari e dei comportamenti sessuali, modellandoli entrambi con interventi profondi. Se ne colgono vari indizi, vagliati per testimoniare con forza evocativa quella transizione epocale. Lo spazio-tempo della Versilia – uno status symbol vacanziero ormai conclamato – è lo scenario d'esordio della vicenda amorosa, narrativamente significativo perché vi si avvia il processo di desublimazione e di reificazione dei sentimenti che, provocatoriamente, l'autore conclude con il matrimonio. Roberta[16] vi si muove agilmente, grazie a un savoir faire che nei testi precedenti era di dominio maschile. L'incipit esordisce con un tono minatorio per mettere in guardia chi avesse intenzione di non assecondarla:

 

Le ragazze di Lodi, grandi, belle, con la loro pelle splendida e un appetito da uomo, quando son dritte possono essere molto più forti di quelle di Milano […] Questa è il tipo di ragazza che vive una buona parte dell'anno in campagna, in questa grossa casa vicino alla strada, al centro d'uno dei fondi nel giro tra Lodi, Sant'Angelo […] A Milano ci ha abitato anche lei, per degli anni, ci ha fatto anche un po' di scuole, piantate lì anche abbastanza in fretta […] comunque tra la solita Montenapoleone e l'eterna Portofino lei conosce diversa gente, e ha imparato quasi tutto; ma proprio in città non si è mai fermata poi tanto […] Arriveranno giù certamente per la giornata o anche magari per qualche giorno, le ragazze di Lodi, per andare da una loro gran sarta o a comprare degli arnesini meccanici e carissimi per la cucina americana a San Babila […] Le lingue straniere, una o due, col loro accento di Lodi, le parlano bene e anche abbastanza in fretta; la macchina, la guidano piuttosto disinvolta, da parecchi anni.[17]

L'automobile sportiva costituisce il motivo intorno al quale si sviluppa l’intero gioco seduttivo tra i due contendenti: una vera e propria contesa nella quale il personaggio maschile si rivela in svantaggio fin dall’inizio, anche linguisticamente, come mostra la sintassi incerta della domanda rivolta alla 'rivale': «Cosa credi? Che perché hai la MG di poter fare la spiritosa, e far tutto quello che ti salta in testa?»[18]. Solo nel momento in cui ‘l’oggetto magico’ finisce in fondo a una scarpata la competizione ha termine. Il matrimonio sancisce apparentemente la stipulazione di un patto di non belligeranza, grazie al quale Franco, portando in dote la sua prestanza fisica (e competenza sessuale), guadagna la stabilità economica e un sostanzioso salto di classe.

 

Link: Autostrada

 

Link - Autogrill ( scena 48:00-49:31; scena 1:04.46-1:05.11 )

 

Altra insegna del boom in competizione con la Versilia è l’Autostrada del sole, vero e proprio sistema nervoso che si innerva lungo il territorio della penisola e gradualmente va a definire, insieme allo spazio-tempo dell'estate al mare, l'immaginario più generalista dell'Italia degli anni Sessanta. La sua costruzione incede secondo tranches che progrediscono di pari passo con le versioni del romanzo: il tratto Milano-Piacenza iniziato nel ‘61, come il racconto sul «Mondo», nel ‘63, l’anno del film, viene esteso fino a Roma Nord, via via costellato da sempre più numerose e attrezzate aree di sosta, contro-oasi artificiali, congestionate da luci, merci e rumori, identificabili come uno dei primi ‘non-luoghi’ della postmodernità; spazi inediti dedicati al consumo, che, per le loro caratteristiche, producono effetti di azzeramento dell’esperienza, di ridefinizione della memoria e del senso di identità connesso al sentimento di appartenenza.[19] Il filamento di nero asfalto e le sue propaggini (motel, ristoranti, stazioni di servizio) annunciate da luminosi segnali pop, percorso e ripercorso dai protagonisti in balia delle tensioni di assestamento della relazione sentimentale, viene di fatto eletto a luogo di vacanza. Il dato consente di inserire il film nel filone del road movie, inaugurato l’anno precedente dal Sorpasso. Alla vitalità debordante e cialtronesca del protagonista maschile del film di Risi, si sostituisce qui il pragmatismo padano di Roberta, così come alla Lancia Aurelia dal clacson truccato guidata da Gassman subentra l’eleganza inglese della Mg condotta da Stefania Sandrelli.

Sia il film del ‘63, sia il romanzo del ‘72, sono strutturati in brevi sequenze narrative che corrono veloci sul ritmo di un dialogare rapido e asciutto, secondo uno schema più da sceneggiatura che da romanzo, costruito in levare, tanto che anche il narratore in terza persona sembra essere esautorato dal suo ruolo, sostituito da didascalie. La stesura di un parlato efficacissimo e plausibile si va ad aggiungere al già consistente catalogo delle voci assemblato da Arbasino fin dalle Piccole vacanze. Nel limite imposto alla lingua dei personaggi nel film, mantenuta sempre entro gli argini di una convenzionalità resa accettabile ai fini dell’esame della censura – che contrassegna la pellicola con il divieto di visione per i minori di quattordici anni – si colloca la differenza più sostanziale tra romanzo e adattamento cinematografico. I dialoghi sulla pagina sono animati da un eloquio libero e disinvolto, mantenuto con costanza lontano da qualsiasi dialettismo,[20] con punte di cruda naturalezza. Il confronto con Un amore di Buzzati del ‘63, coevo al film di Missiroli e Arbasino, mette in luce la spregiudicatezza della lingua arbasiniana, che con una certa spudorata, quasi infantile crudezza nomenclatoria, scivola veloce sui dettagli nelle sequenze erotiche. I sensori di Arbasino puntati sull’osservazione delle dinamiche sociali e della loro trasposizione nei comportamenti dei singoli individui, colgono con freddezza la correità implicita fra eccedenza delle merci, sviluppo ipertrofico dei consumi e liberazione sessuale. Di «disinvestimento ideologico nei confronti dell’esperienza erotica» scrive Inglese,[21] riguardo alla scelta di Arbasino di trasformare i personaggi in figuranti destinati a mettere in scena un prontuario di luoghi comuni, colti sul nascere della società dei consumi nel film, già più consolidati nell’opinione pubblica nel romanzo del ‘72; tra i tanti anche quello della libertà sessuale. La credibilità del catalogo viene accentuata dal parlato attribuito ai personaggi, come si è detto, frutto di un’attenzione precisa alle inflessioni dovute alla classe sociale dei parlanti, dei quali registra anche il percorso di reciproco avvicinamento sul piano linguistico.

Ne è un esempio paradigmatico la penultima inquadratura del film, di cui la penultima pagina del romanzo è la trasposizione fedele. La risolutiva telefonata della nonna di Roberta, decisa a sistemare le cose con il matrimonio, attraverso la resa di una lingua in bilico tra gergo popolare e parlato medio, efficace traduzione della tensione tra pragmatismo contadino e ambizioni di urbanità, dà vita a un personaggio secondario, e tuttavia rappresentativo della transizione sociale indotta dal boom, anche attraverso ibridazioni tra classi, lingue, dialetti, consumi e costumi sessuali. A differenza di Moravia, Arbasino regola il linguaggio in base al censo del personaggio si distacca dalla lingua 'trasandata, grigia, trasparente, invisibile' attribuita all'autore di Agostino e modula, con estrema artificiosità, un parlato credibile, autentico, naturale.

Insomma, quello lì, per piacere, ti piace, eh? sì o no?... Se no, eh, perché continui a andargli dietro, si può sapere? E allora, a questo punto, sai cosa ti dico? Te lo sposi, che io son stufa, e te lo porti qua subito! ... Che di un uomo in casa oltre tutto nelle nostre condizioni ce ne abbiamo bisogno comunque! ... Per svelto, svelto questo lo dovrebbe essere, mica vero?… Iniziativa mi pare che abbia dimostrato di averne! ... E te di tempo, mi pare che ne hai buttato via già abbastanza … Divertita, ti sei divertita anche troppo, quel che volevi fare l'hai fatto, sì o no? adesso mi pare che sia il momento di tirare i remi in barca! E se ci rifletti un momentino, vedi subito che lo faccio anche e soprattutto per il tuo bene![22]

La resa del monologo non perde forza nel passaggio dalla pellicola alla pagina, pur senza l'incisiva interpretazione dell’attrice lombarda Elena Borgo. Segre[23] individua nella 'fissazione sociale' di Arbasino sulla borghesia un limite in grado di pregiudicare ogni tentativo di immersione nella molteplicità del sociale. Su questa peculiarità dell'autore, registrata come una manchevolezza carica di presagi funerei riguardo alla sopravvivenza del romanzo, il critico situa il discrimine con Gadda che, al contrario, mostra di saper anticipare la lezione di Bachtin sulla polifonia linguistica come riflesso della polifonia sociale già nel Racconto italiano di ignoto del Novecento, scritto nel 1924.

 

 

Abstract

 

Il percorso si sofferma su un tema, il tempo sospeso della vacanza in Versilia, generato dagli intrecci con lo spazio-tempo dell'estate mediterranea. Se ne percorrono alcune versioni novecentesche – D'Annunzio, Moravia, Arbasino. – Dalla dannunziana idealizzazione che agli esordi del secolo fissa il tema, nel repertorio – non solo letterario – dei luoghi deputati alla villeggiatura, si procede con Moravia, concentrato sul motivo del conflitto di classe, generato dalla minacciosa contiguità sociale che la vacanza consente. Arbasino, a partire dagli anni Cinquanta, consacra in alcuni testi narrativi giovanili, ma maturi per struttura e scrittura, l'impatto tra un contesto sociale intento all'autoconservazione del proprio modus vivendi e le nuove abitudini introdotte da un consumismo sempre più aggressivo. La mutazione viene registrata nel linguaggio dei personaggi, di cui si documenta, in sintesi, il graduale percorso di avvicinamento degli autori a un parlato credibile.



[1] A. Berrino, Storia del turismo in Italia, Bologna, Il Mulino, 2011

[2] I. Ciani, D’Annunzio tra Pisa e la Versilia, in S. Capecchi (a cura di), Terre, città e paesi nella vita e nell'arte di Gabriele d'Annunzio: la Toscana, Centro Nazionale di Studi Dannunziani, Pescara, 1999, pp. 353-366.

[3] Giuseppe Antonelli, La scrittura invisibile di Moravia in https://www.uninettuno.tv/Video.aspx?v=129, consultato il 21/9/2020;  cfr. Gianluca Lauta, La scrittura di Moravia: lingua e stile dagli Indifferenti ai Racconti romani, con un glossario romanesco completo, Milano, F. Angeli, 2005.

[4] La seconda edizione è ancora Einaudi (1971), mentre la terza approda in Adelphi nel 2007. e i cinque racconti confluiscono ne L'Anonimo lombardo, edito da Feltrinelli.

[5] Tutte le citazioni d'ora in poi da: A. Arbasino, Romanzi e racconti, vol. I, Milano, Mondadori, 2009, pp. 171-201.

[6] Arbasino stesso è un assiduo frequentatore della Versilia, cfr. A. Arbasino, Ricordo di Anna Banti in A. Banti, Lettere ad Alberto Arbasino, a cura di Piero Gelli, Archinto, Milano, 2006, pp. 61-64: «D'estate ci si vedeva al Forte dei Marmi. Verso sera convenivano al celebre «quarto platano» del Caffè Roma i letterati villeggianti con casette verso il Cinquale e i Ronchi, o alloggiati in pensioni tra Camaiore e Fiumetto. Longhi e Banti, i due Bianchi, Carlo Carrà ed Enrico Pea in baschetti marini, Giuseppe De Robertis che tratteggiavo come «Professore» nell'Anonimo lombardo, la bella Rosanna Tofanelli che invece appare in Agosto, Forte dei Marmi (appunto); e alcuni promettenti giovani come Cesare Garboli con vari visitatori da Parma come Roberto Tassi e Oreste Macrì».

[7] Cfr. Notizie sui testi a cura di Raffaele Manica in A. Arbasino, Romanzi e racconti, vol. I, Milano, Mondadori, 2009, p. 1435, la definizione è di Paolo Milano che ha pubblicato Il magnetofono ben temperato ovvero la recensione de Le piccole vacanze, «L'Espresso», 23 agosto 1959.

[8] Nel Dizionario letterario del lessico amoroso. Metafore, Eufemismi, Trivialismi, Utet del 2000 sono assenti le occorrenze dei due termini in Arbasino, mentre vengono segnalate in testi successivi di Busi e Tondelli. Sul parlato nello scritto cfr. Gabriella Alfieri, La lingua di consumo in Storia della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifona, Direzione Alberto Asor Rosa, Volume secondo, Scritto e parlato, Torino, Einaudi, 1994, pp. 161-235; Monica Berretta, Il parlato italiano contemporaneo, in Storia della lingua italiana..., pp. 239-290; Bice Mortara Garavelli, La parola d'altri. Prospettive di analisi del discorso, Palermo, Sellerio, 1985.

9 Su Salinger cfr. Alberto Arbasino, America amore, Milano, Adelphi, 2011, pp. 776-783.

[10] G. Ferretti, M. A. Grignani, M. P. Musatti, Fondo manoscritti di autori contemporanei. Catalogo, Torino, Einaudi, 1982, p. 15.

[11] Unico cambiamento strutturale è l’inserimento della sezione denominata Intervallo tra il capitolo IX e il capitolo X.

[12] Il nome è in voga nel 1963 grazie anche alla canzone di Pino Donaggio «Roberta» -  https://www.youtube.com/watch?v=Yo9RONVEB1U

[13] Alberto Arbasino, La bella di Lodi, Torino, Einaudi, 1972, p. 21.

[14] F. Cleto, PopCamp, Milano, Marcos y Marcos, 2008 (Riga 27) e S. Sontag, Against Interpretation, 1961, trad. it. Contro l'interpretazione, Milano, Mondadori, 1967.

[15] M. Belpoliti, A. Arbasino, F, Cleto, Una querelle del 2003, «Il Verri», ottobre 2010, n. 44 , pp. 123-130. Vi sono compresi gli articoli comparsi su «Alias» del 18, 25 gennaio e del 1° febbraio 2003 che hanno ospitato la querelle.

[16] Nel romanzo l'autore inserisce un riferimento esplicito alla cerchia di intellettuali ricordati nella n. 5: «Poco dopo, davanti a un caffè del Forte dei Marmi, sotto i platani, lei davvero non bada a Carlo Carrà e Giuseppe De Robertis e Roberto Longhi seduti lì a un tavolino: vede subito lui, sdraiato su tre sedie di ferro, fra qualche gruppo di clienti e parecchie altre seggiole vuote», Alberto Arbasino, La bella di Lodi, Torino, Einaudi, 1972, p. 28.

[17] Alberto Arbasino, La bella di Lodi..., pp. 7-10; Tra i testi che precedono quello arbasiniano nell’intuizione di questo connubio tra modernità e affrancamento femminile rappresentato dalla metonimia automobilistica, ha un posto di rilievo Le donne guidano, una breve cronistoria dei mutamenti introdotti dalla diffusione delle ‘donne al volante’, scritta da Anna Banti nel 1959 per Il gatto selvatico. La rivista fondata dal gruppo ENI nel 1955 sotto la guida di Enrico Mattei, insieme a «Comunità» di Olivetti e «Civiltà delle Macchine» di Finmeccanica testimonia il proposito dei gruppi imprenditoriali più influenti di associare autopromozione e impegno nella cultura, avvalendosi degli industriali più illuminati. Cfr.: Viaggio in Italia. Un ritratto dl paese nei racconti del «Gatto Selvatico» (1955-1964), Milano, RCS, 2011. Viaggio in Italia. Un ritratto dl paese nei racconti del «Gatto Selvatico» (1955-1964), Milano, RCS, 2011.

[18] Ibidem, p. 40.

[19] Cfr. E. Zinato, Automobili di carta. Spazi e oggetti automobilistici nelle immagini letterarie, Padova, University Press, 2012. Sul cronotopo degli anni Sessanta: E. Trevi, Interzona, in M. Belpoliti, E. Grazioli (a cura di), Alberto Arbasino, Milano, Marcos y Marcos, 2001, (Riga 18), pp.322-327.

[20] Per un’analisi approfondita del romanzo cfr. F. Della Corte, Come ombre vivaci sullo sfondo. Studio su «La bella di Lodi» di Alberto Arbasino, Padova, Libreriauniversitaria, 2014.

[21] A. Inglese, Stereotipo della seduzione e seduzione dello stereotipo in “La bella di Lodi” di Arbasino, «Cahiers d’études italiennes»»», n. 5, 2006, pp. 23-32.

[22] A. Arbasino, La bella di Lodi..., pp. 163-164.

[23] Cfr.: Cesare, Segre, Intrecci di voci. La letteratura nella polifonia del Novecento, Torino, Einaudi, 1991.

 

6 ottobre 2020