Valerio Cappozzo - Ogni studente è un’isola

 

In America abituarsi all’insegnamento a distanza è stato facilitato dall’esistenza, ormai da diversi anni, di corsi regolari online. Numerosi sono infatti gli insegnamenti iStudy, o “home study”, attivi nelle università statunitensi e comprendono sia materie scientifiche che umanistiche. Creati per facilitare la frequentazione dei corsi per chi è a distanza o viaggia per lavoro, in questo momento particolare tutte le piattaforme usate sono risultate utili per rispondere all’urgenza di questa nuova organizzazione. Anche la gestione amministrativa dei diversi programmi dipartimentali è ora interamente online e prosegue senza particolari difficoltà.

Questo semestre insegno in un corso di storia e civiltà italiana dall’unificazione alla seconda guerra mondiale e in uno sul cinema italiano dal Neorealismo in poi. Il primo, nell’adattamento online, ha posto più difficoltà per la sua natura discorsiva che richiede la lettura attenta di diverse tipologie di testi, letterari, storici, giornalistici; mentre il secondo, per la sua natura visiva, è stato più semplice. Entrambe sono lezioni condotte in streaming con le telecamere e i microfoni accesi per tutti i partecipanti. In questo modo si cerca di riprodurre un ambiente quanto più realistico anche se con l’interferenza di disturbi acustici. Ma l’essere tutti visibili e udibili ha permesso e facilitato un veloce adattamento a questa nuova e inaspettata forma di lezioni. Tra le varie opzioni offerteci dall’università, c’è quella di poter registrare o, appunto, condurre on streaming i corsi. Ai professori la scelta.

I miei studenti apprezzano lo scambio “in diretta” molto di più delle lezioni registrate, dunque senza possibilità di interazione che molti docenti usano, affermando che il sincronismo dà loro un senso di condivisione che ritengono essenziale. Essenziale in un paese dove le relazioni sociali sono più distaccate di quelle che si hanno, per esempio, in Italia. Gli studenti lo sanno, ed è anche per questo motivo che scelgono di frequentare corsi di lingua, prima, e poi di cultura, oltre a studiare per un semestre in diverse città italiane.

Da quando sono cominciati i corsi online mi hanno chiesto aggiornamenti sulla situazione epidemica in Italia, per interesse verso il paese che hanno scelto di studiare ma anche per capire quali misure preventive si stanno prendendo, considerato che la situazione qui negli Stati Uniti è, ma ormai era, in ritardo rispetto alla situazione europea. Stanno, in sintesi, cercando di sfruttare queste lezioni in un nuovo formato anche per spaziare su fatti di cronaca, collegando così la storia che studiamo, sia letteraria, documentaristica o cinematografica, alle notizie di oggi. Questo è un esercizio, ritengo, molto importante per dei ragazzi cresciuti in un paese dove la discussione politica, o più in generale la divulgazione delle notizie, non è favorita negli ambienti scolastici o universitari. Il momento drammatico che tutti stiamo affrontando sta accendendo in loro la necessità di sapere e di informarsi e il professore è una figura di riferimento per questi studenti che vivono nel campus, molto spesso in un altro stato e dunque lontano da casa.

Prima ho fatto accenno al modo in cui sono intese le relazioni sociali. In America la “social distance” c’è sempre stata sotto forma di “personal space”, spazio immaginario che distanzia una persona dall’altra e che non invita al contatto fisico casuale. A una prima impressione potrebbe sembrare che per gli americani trovarsi in una situazione a distanza, anche nell’apprendimento, sia naturale. Al contrario la prima cosa che ho notato è che i miei studenti cercano di condividere tra di loro e con me le sensazioni, i punti di vista su questa situazione molto più che in aula, dove prevale l’uso del cellulare prima che la lezione inizi, in quei momenti di attesa in cui potrebbero parlare. Come dire, quando la tecnologia diventa il luogo virtuale, comunicare riesce più naturale e urgente.

Ma la nota dolente, sempre a proposito delle relazioni interpersonali, è la solitudine che questi ragazzi provano. Quasi tutti i miei studenti stanno passando la loro quarantena lontani dalla famiglia, con dei coinquilini o da soli. Il momento del corso diventa così l’occasione per “frequentare” altre persone e uscire dalla noia di questa routine quotidiana sempre uguale a se stessa. La ripetizione, la monotonia, l’isolamento non sono certamente condizioni sopportabili soprattutto per dei giovani ventenni. Questo è il motivo per cui il programma di Italianistica della mia università sta organizzando un canale YouTube dove inserire video di studenti che cantano una canzone in italiano, suonano uno strumento, recitano una poesia, spiegano delle ricette di cucina nostrana, con lo scopo di animare le diverse solitudini partecipando ad attività non strettamente accademiche come si fa solitamente durante i semestri regolari.

Agli studenti del mio corso sul cinema italiano ho infatti chiesto, come progetto finale, di girare dei cortometraggi che descrivano la situazione che stanno vivendo; al corso di storia e civiltà, invece, di scrivere delle brevi storie per stimolarli a esprimere sensazioni che altrimenti rimarrebbero taciute. Ognuno ha fatto il punto della situazione e leggerle insieme è stato utile anche per ricollegarci ai testi letterari analizzati a lezione. Regan, per esempio, ha scritto questo racconto:

 

C’era una volta una ragazza che viveva in una grande città. Lei aveva appena cominciato un nuovo lavoro, stava per fare nuove amicizie e cominciare la sua nuova vita. Certo, la sua famiglia le mancava da tempo, ma in generale era felice. Qualcosa però la disturbava. Lei si ricordava di alcune storie che i suoi genitori le raccontavano: campi verdi e foreste piene di suoni di animali, laghi azzurri e mari pieni di pesci e cieli blu pieni di uccelli. Ma mentre la ragazza guardava la sua città, vedeva un mondo che stava lentamente morendo. Le cose erano grigie e incolore e tutto ciò che lei poteva sentire erano i suoni del traffico e delle persone. Voleva così tanto tornare a casa dove la natura era viva e abbondante.

Ma prima che lei potesse trovare il tempo per organizzarsi e partire, le cose iniziarono a cambiare rapidamente. Le persone intorno a lei erano stanche, e dopo qualche giorno, tutti cominciarono ad ammalarsi. Lei aspettava che loro guarissero, ma invece di guarire, i malati peggioravano. La malattia si diffuse rapidamente e la gente correva a casa per nascondersi, le strade erano vuote, le macchine abbandonate, le attività commerciali chiuse. Il mondo si era fermato.

La ragazza era spaventata e sola, decise comunque di tornare a casa e fu sorpresa da ciò che vide: la sua famiglia era in salute così come la natura che la circondava. “Ci prendiamo cura della Terra, quindi lei si prende cura di noi” disse sua madre. Nel frattempo, mentre nella città le persone si nascondevano, le cose all'esterno cominciavano a cambiare. Lentamente la natura iniziava a ritornare. L'erba e gli alberi cominciarono a crescere e il cielo divenne di un azzurro che la città non aveva mai visto.

Mesi dopo, quando tutto tornò alla normalità, le persone finalmente capirono. Quando la terra non è sana, le persone non possono essere sane. Era una lezione difficile da imparare, ma quando la ragazza tornò in città sperava che la bellezza della natura non sarebbe stata mai più solo una storia, ma una nuova realtà.

 

 

Mettere per iscritto in forma letteraria e autobiografica i propri pensieri, le proprie paure come i desideri, è stato un espediente per tornare alla letteratura italiana concentrandosi sulle necessità espressive dei vari autori.

Un’altra studentessa, Scout, si è cimentata con una prosa poetica in cui ha riassunto il suo pensiero:

 

Aspettare. Durante questo strano periodo, mi sento congelata nel tempo.

Aspettare. Ogni giorno sembra ripetersi. Mi sembra di vivere lo stesso giorno ancora e ancora. Aspettare. Ma, cerco di rendere ogni giorno migliore del precedente. Mi sento come se il mondo si fosse fermato per darci del tempo.
Tempo per guarire.
Tempo per liberare la natura.
Aspettare. Il mondo è come un’impronta sulla sabbia.
Aspettare. Dobbiamo lasciarlo da solo in modo che la marea possa rifarlo completamente. Quando impariamo ad aspettare le nostre menti e i corpi guariscono. Quando impariamo ad aspettare, il mondo e noi diventiamo migliori.

 

In questo periodo stiamo tutti aspettando che questa pandemia cessi, come stiamo tutti sperando che insegni qualcosa, a guardarci dentro, a essere migliori nel senso più ampio, a saper valutare le cose che abbiamo. Per questo motivo l’insegnamento a distanza deve e può essere una risorsa, uno stimolo a ragionare sulla pedagogia tradizionale che non contempla l’assenza fisica, l’immagine bidimensionale degli studenti tra i quali, invece, sta prevalendo un senso rinnovato di unione. Anche se si sentono individui isolati in questa grande isola di terra che sono gli Stati Uniti, e anche se sembra essersi contraddetto il «no man is an island» di John Donne, sanno bene di essere ognuno un’isola e usano le lezioni, seppur online, come una delle poche occasioni che hanno di questi tempi per sentirsi parte di un arcipelago.

 

7 aprile 2020

 

Valerio Cappozzo

University of Mississippi