Stefano Stefanel - Didattica e distanza

 

La Didattica a distanza è una Didattica digitale e dunque in questo momento (iniziato improvvisamente, ma destinato a durare a lungo) è l’unica possibile. In questa fase stiamo scontando la mancanza di una vera sperimentazione nazionale sulla Didattica a distanza, con metodiche ed esisti messi a confronto attraverso dati e rilevazioni certe. Questa sperimentazione sarebbe stata necessaria sia per il settore dell’Istruzione sia per quello dell’Università: ora che il ritardo si è accumulato si deve agire solo nell’emergenza.

Dopo una fase iniziale di entusiasmo, alimentato di chi si è esposto a sostenere che la Didattica a distanza poteva sostituire quella in presenza, si sta passando a una sorta di dubbio collettivo, alimentato da voci sempre più persistenti di studenti stremati, famiglie oberate e crisi di nervi in arrivo. In questa situazione sono gli studenti più deboli, svogliati, assenteisti che hanno maggior bisogno della Didattica in presenza, cioè della “vecchia scuola”. E questo è un primo elemento che crea il solco tra Istruzione e Università, dove il concetto stesso di “studente debole” non esiste, in quanto lo studente debole è quello che semplicemente non si laurea. Già deboli dentro un sistema cooperativo e comunitario questi studenti del settore dell’Istruzione sono dispersi nel web e nelle loro lacune, dentro uno sfondo che non li ha dotati di competenze sufficienti per reggere l’urto della scuola in presenza, immaginarsi cosa gli sta succedendo nella scuola a distanza. Il punto di raccordo tra Istruzione e Università però va a situarsi proprio qui: l’Università non ha alcun rapporto con gli studenti deboli, ma ha un rapporto organico con quelli che diventeranno insegnanti degli studenti deboli. E mi pare che qui proprio non ci siamo: sia Scienze della formazione, sia le facoltà più disciplinariste fanno finta di non vedere che una grossa fetta dei loro studenti farà l’insegnante e quindi dovrà conoscere i meccanismi di apprendimento e non solo quelli di insegnamento. E se non si conoscono i meccanismi di apprendimento al massimo si possono tenere dotte conferenze (sia nell’Istruzione, sia nell’Università).

       La Didattica a distanza e la Didattica digitale (non sono la stessa cosa, ma in questo momento sono l’unica cosa) sono utilizzate anche da molti docenti che nulla in precedenza avevano sperimentato in merito, molti dei quali erano addirittura strenui combattenti contro il digitale. Il trasferimento dalle metodologie in presenza alle metodologie a distanza, dalle metodologie cartacee a quelle digitali può permettere di coprire qualche vuoto, può aiutare gli studenti bravi o bravissimi, ma rischia di gravare il sistema di un nuovo errore, cioè quello di cercare di fare stare il vecchio nel nuovo.

Una strada da percorrere è quella che permette di ribaltare alcuni stereotipi, per posizionarsi nell’altrove in cui siamo precipitati. Faccio perciò alcuni esempi di “accorgimenti pedagogici” che potrebbero essere utili per aiutare a definire i confini di una Didattica a distanza che sia una vera Didattica digitale, sia per il settore dell’Istruzione, sia per il settore dell’Università.

Dalle domande agli studenti alle domande degli studenti. L’attività didattica in chat o in videoconferenza permette un’interazione diretta con soggetti lontani, situati dentro ambienti spesso difformi e non tutti idonei all’apprendimento. La vecchia modalità dell’ “a domanda risponde”, propria ormai solo dei tribunali e di certe aule scolastiche, non serve a niente, perché semplicemente mima una situazione in presenza dove prevalgono la memoria e non l’iniziativa. E’ necessario passare dalle domande fatte dal docente allo studente alle domande fatte dallo studente all’insegnante. Da quelle domande si percepiranno la profondità, l’interesse, la competenza. Anche nel mondo universitario dalla profondità della domanda si può vedere la profondità della preparazione dello studente, ma è un percorso difficile perché passa anche dalla capacità di ascolto, molto spesso sublimata da quella di conformità (a quanto trasmesso).

Il colloquio colto. I video incontri anche individuali possono permettere uno spostamento dal concetto di interrogazione (o esame) a quello di “colloquio colto”. Che cos’è un colloquio colto? E’ un colloquio tra due persone che condividono punti di riferimento culturali di livello elevato. Chi non ha mai sentito parlare dei Promessi sposi non è in grado di discutere i motivi per cui don Rodrigo non voleva che Renzo e Lucia si sposassero, né l’eventuale esistenza di punti di contatto tra la pesta milanese del ‘600 e questa nostra epidemia. Ma il concetto di colto si estende anche alla trigonometria e alla geografia, alla geometria e all’ecologia. Cioè a tutti quei settori in cui è possibile parlare solo con chi ne sa qualcosa. Ad esempio: per stabilire che cosa è un virus, come si trasmette, come si distrugge. Più lo studente è adulto e più il colloquio colto assume le forme del peer to peer. Per attivare colloqui colti è necessario comprendere il livello che lo studente ha raggiunto e questa comprensione è una totale competenza del docente, che deve agire non come cultore della materia, ma come soggetto interessato a capire il processo di apprendimento nella sua evoluzione.

Dall’esperienza di classe all’esperienza personale. Ogni studente sta vivendo un’esperienza diversa. Queste esperienze con colonne musicali personali, dentro luoghi diversi (case grandi con giardini, case piccole piene di gente, case su più piani, case con grandi saloni, case con piccole camere, ecc.) e dentro stili di vita diversi possono diventare il centro della narrazione e il punto di origine della conoscenza. L’apprendimento per sviluppo prossimo di cui parlava Vygotskij è il punto di partenza dell’esperienza didattica e di quella dell’apprendimento. Poiché non ci sono più ambienti simili, perché mediati ormai da esperienze di convivenza non comuni, le esperienze personali di vita nell’emergenza devono essere proiettate attraverso il web dentro lo spazio comune. Con racconti, foto, musiche, filmati, selfie, cioè con tutto quello che in questo momento attraverso il web restituisce significato che ognuno di noi assegna a quello che sta accadendo.  Credo non si debba sottovalutare il peso che per ogni studente hanno la solitudine e la lontananza, perché anche lo studente adulto ha una sua profonda necessità di aprire la propria cultura al mondo che lo circonda.

Dalla verifica di quanto trasmesso alla ricerca della complessità: dal disciplinare al pluridisciplinare.  Se già la Didattica in presenza, nel settore dell’Istruzione, fatta di lunghe spiegazioni e di lunghissime conferenze mostrava il passo e veniva intaccata sempre più spesso da progetti, laboratori, incontri pubblici, viaggi, stage, ecc. la Didattica a distanza fatta attraverso lezioni frontali diventa insostenibile. Se è possibile apprendere attraverso filmati perché non lo si faceva anche prima? Lo studente debole che si annoiava in classe a sentire lunghe narrazioni solitarie davanti ad un filmato tende a fare altro (guardare il suo cellulare se non è connesso con quello, ad esempio). E’ necessario allora verificare il processo di apprendimento attraverso la complessità. Non chiedere nozioni o conoscenze secche, ma chiedere un ragionamento attraverso temi molto complessi e articolati, che non si possano risolvere copiando da internet, ma richiedano pensiero ed elaborazione per fare emergere le competenze reali. La complessità per sua natura esige competenze, quindi bisogna dare compiti difficili per cercare l’eccellenza. Questa difficoltà deve valorizzare gli studenti migliori, che attraverso la loro competenza approfondita aiuteranno a migliorare la Didattica a distanza. La complessità disciplinare deve raccordarsi con quella pluridisciplinare di cui è ormai pregna la nostra società. Per questo è importante costruire contenuti pluridisciplinari che stimolino gli studenti dentro ragionamenti complessi e non ripetitivi. Il passaggio di questa problematica nel mondo universitario non è semplice, perché costituisce un elemento di novità per molta parte del mondo accademico. Credo che la costruzione di problem solving interdisciplinari e di compiti complessi che mettano in atto tutte le competenze e le conoscenze a disposizione aiuterebbe anche l’Università ad uscire da un teoricismo spesso troppo spinto.

Dal fare i compiti o le esercitazione allo scrivere libri. La possibilità di condividere testi dentro cloud permette di passare dall’elaborazione di compiti o esercitazioni alla scrittura di libri, anche in forma cooperativa o collegiale. Poiché questi libri saranno multimediali, possono essere di qualunque formato, contenuto, durata. Il docente è il soggetto ordinatore, la scuola è l’editore, gli studenti sono gli scrittori. Il passare da una scrittura che trasmette quello che ha recepito a una scrittura che recepisce quello che trasmette permette di mettere allo scoperto la genialità o la pochezza del prodotto. Il lavoro collettivo diventa anche una traccia delle individualità e della loro capacità di adeguarsi o no alle attività di gruppo. In questo caso l’emergenza non produrrà compiti o esercizi o tesine, ma permetterà di editare (sul web) un libro sull’emergenza, che sarà diverso per ogni classe, per ogni gruppo, per ogni elettività.

Da segnalare libri (letture) a segnalare link. In questa fase è necessario che i docenti segnalino correttamente link dove individuare questo o quell’argomento sviluppati in modo corretto. Questo è un lavoro nuovo per il segmento dell’Istruzione ed è un lavoro immane per tutti. E’ possibile credere ancora che lo studente studi volentieri sul manuale cartaceo, ma forse qualche dubbio in questa fase è necessario farselo venire. Bisogna imparare a linkare (parola pessima: ma ce n’è un’altra?) in forma approfondita, dopo aver girato ore e ore sul web per cercare qualcosa di veramente utile, interessante, ben scritto, ben organizzato. Qui entriamo nel settore delicato della ricerca didattica, che non può limitarsi a cambiare nomi o a cercare di portare i vecchi programmi dentro i nuovi curricoli. L’emergenza chiede un aumento di profondità e quindi la possibilità di accedere in forma critica e intenzionale ai moltissimi contributi di altissimo livello che si trovano sul web. Diventa perciò necessario “saper linkare”: quando il docente parla agli studenti, deve segnalare riferimenti digitali facilmente reperibili, quando lo studente parla, deve indicare precisamente la fonte da cui ha tratto spunto per quello che sta dicendo. Va ripristinata la logica didattica di san Tommaso d’Aquino, che pretendeva, durante il quolibet, che i suoi studenti citassero sempre la fonte delle loro affermazioni. A quel tempo avevano solo la memoria, oggi abbiamo un web così enorme che ci sta asciugando la memoria, per cui dobbiamo dare riferimenti chiari, non generici richiami a testi che non sono oggettivamente alla portata fisica (perché cartacei) di nessuno.

Dalla lingua madre al plurilinguismo. Il plurilinguismo dovrebbe diventare la cifra della lontananza sia nell’Istruzione sia nell’Università. A scuola non si può più parlare solo italiano, ma si deve iniziare a interagire in tutte le lingue con cui abbiamo familiarità, siano esse vive o morte. E’ un lavoro complesso non alla portata di tutti, ma credo sia necessario avviare degli incontri via chat o video con più insegnanti presenti contemporaneamente (anche all’Università). Quelli di lingua straniera avrebbero così la possibilità di presidiare le competenze linguistiche degli studenti dentro importanti contenitori scientifici, umanistici o anche esperienziali. La didattica dentro il plurilinguismo è una didattica molto complicata e che per questo si sposa con la complessità virtuosa di cui parlavo sopra. Per questo è necessario affinare le competenze del lavoro in team, dentro spettri linguistici differenti su azioni pluridisciplinari complesse. Il senso dell’operazione diventa non solo quello di testare conoscenze, ma soprattutto quello di vedere in che modo si sono sviluppare le competenze, che solo dentro una dimensione plurilinguistica collocano lo studente nella società che si evolve.

 Dall’orario dei docenti all’orario degli apprendimenti. Pensare che Didattica a distanza possa rispettare gli orari della Didattica in presenza è una pericolosa perdita di tempo. Mimare da remoto, attraverso video incontri o lezioni frontali, i tempi della presenza significa stare dentro un medium senza averne capito nulla. Va inoltre rivista tutta la progettazione curricolare, che era legata alla presenza. Era una cosa che bisognava aver fatto prima, ma che adesso diventa imprescindibile e come tale deve essere attuata nell’emergenza. Passata la prima fase accompagnata dall’entusiasmo dei neofiti, degli avanguardisti, degli estremisti del web e di quelli della carta, si deve transitare alla mediazione processuale per capire qual è il tempo migliore per sviluppare apprendimenti e per cementate conoscenze. Il tempo non è più quello che conoscevamo, le giornate sono più brevi di prima perché la solitudine annulla i tempi e cambia i ritmi. E quindi anche la scuola deve essere diversa. Il tempo della Didattica a distanza e della Didattica digitale non può essere quello della Didattica in presenza, scandita oltre che dalle sveglie mattutine anche dagli autobus, dai treni, dagli scuolabus, dalle mense, dai rientri, dagli orari dei genitori, dallo sport, dalla dottrina, dai gruppi musicali e culturali, dalle feste, dagli incontri, ecc. Bisogna ripensare il tempo, collegandolo a quello dell’apprendimento in situazione di emergenza. Serve un tempo nuovo, magari un tempo senza tempo, in cui ci siamo perché apprendiamo, non perché siamo obbligati a esserci. E tutto questo sia nell’Istruzione, sia nell’Università.

 

2 aprile 2020

 

Stefano Stefanel

Dirigente scolastico – Liceo Marinelli di Udine e IC Majano-Forgaria