Le parole della pandemia


LE 100 PAROLE DELLA PANDEMIA

 

Durante il corso Lingua italiana e media per gli studenti del corso di laurea magistrale binazionale, italo-tedesco, lidit (Linguistica e didattica dell’italiano nel contesto internazionale) dell’Università di Salerno, ho fatto con gli 11 studenti del primo anno un’esercitazione su lessico del periodo della pandemia: 5 parole da scegliere e da commentare, non solo lessicograficamente. Mi permetto di rinviare a una pagina del mio Diario minimo, che tengo sui social, in cui riassumo e descrivo il progetto, per poi dare la parola direttamente agli 11 studenti che hanno scelto per questa occasione ognuno una delle 5 parole che hanno presentato.

 

12 maggio

Diario minimo. Sessantaseiesimo giorno di isolamento. 

Nuovo lessico famigliare: le 100 parole della pandemia

Il mondo comincia dalle parole per dirlo e perciò le parole sono importanti tanto più che, come diceva qualcuno, sono tutto ciò che abbiamo. 

I miei studenti del corso binazionale hanno fatto un bel lavoro individuando le parole più frequenti di questo periodo; io ne ho aggiunte altre e così abbiamo creato una sorta di nuovo lessico famigliare: Il lessico dell’epidemia. Le 100 parole che raccontano come è cambiato il mondo. 
Alcune parole sono di nota tradizione letteraria (untore), altre dell’uso comune e riadattate o specializzate o risemantizzate (da guanto a mascherina a ventilatore), altre ancora in forma straniera nuove e meno nuove, talvolta inutili anglicismi (eurobond, lockdown, smart working); tanti i tecnicismi medici prêt-à-porter (tampone) o ben acclimatati (sintomo, anticorpi) o più colti (pandemia, interstiziale), mentre sempre confuso e ambiguo, tanto per cambiare, il lessico delle istituzioni e della politica (congiunto, affetti stabili, abitazione, autocertificazione n+infinito); di alcune parole vince la variante tecnica (focolaio, mentre il focolare richiama bene altre atmosfere), anche in forma di sigle e acronimi sempre più familiari (covid, oms, mes); alcune costruiscono nuovi immaginari (il balcone di Romeo e Giulietta lascia il posto a quello da cui gruppi familiari chiusi in un interno si connettono in canto via etere); altre sono storpiate sulla bocca dei meno colti (assemblamento) o rivelano slittamenti pandemici (una persona positiva è guardata con paura, allontanata), usi metaforici belligeranti (in prima linea, il nemico), anche con un pizzico di prosopopea (gli eroi). E poi ci sono quelle animalesche per nomi collettivi (il gregge immune, non gregge belante o sottomesso, si spera), quelle marziane degli ambienti formativi (dad, fad, call, webinar, teams, zoom), quelle degli affetti – anche instabili, precari, provvisori, in declino e financo illusori – che misurano lo spazio e il tempo che abbiamo vissuto (isolamento, distanziamento); ci sono le parole della speranza (ripartenza, riapertura, calo della curva) e quelle della morte, che - non dimentichiamolo - non sono i gemiti spettacolarizzati dalla tv del dolore, ma riguardano molto da vicino più di 30mila famiglie (urna, decesso, terapia intensiva).
E infine ci sono le parole degli idioletti, quelle con cui alcuni di noi hanno scritto dalla propria specola solitaria; e tra queste la mia preferita, come ho scritto qui il 21 aprile: isolitudine, che rievoca l’immagine solitaria dell’isola e il confine netto tracciato dal mare, e che pure richiama, in absentia, lembi deserti di spiagge da cui l’unica morte osservabile è per fortuna quella del sole al tramonto dietro la linea lontana dell’orizzonte.

E ora do la parola agli studenti (in ordine alfabetico delle parole che hanno scelto)

 

Sergio Lubello

12 maggio 2020

Università di Salerno

 

Candida Marrone

Tra le parole che ho analizzato (affetti stabili, contenimento, letalità, lockdown, untore) mi soffermo sul sintagma affetti stabili perché, insieme a congiunti, è stata protagonista della grande confusione generatasi dopo che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato l’inizio della cosiddetta ‘Fase 2’. Secondo il Dpcm del 26 aprile, infatti, dal 4 maggio è possibile incontrare i propri congiunti. Ma chi sono costoro? Sul sito del Governo, in risposta a una delle faq che chiede delucidazioni in merito, si legge che per congiunti si intendono ‘i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)’. Insomma, è possibile incontrare parenti di cui probabilmente non conosciamo neanche l’esistenza, ma ancora non ci è concesso incontrare persone a cui, semplicemente, vogliamo bene. Come se la consanguineità potesse essere l’unico criterio per definire un legame affettivo, e come se questo si potesse misurare in termini di ‘stabilità’. Infatti, non considero un caso che né nel Vocabolario Treccani né nello Zingarelli, nonostante le mille accezioni dell’aggettivo ‘stabile’ negli ambiti più svariati, che vanno dall’architettura alla termodinamica, e gli altrettanti mille esempi, mai venga citato l’aggettivo in questione in riferimento a persone o sentimenti. Sono stabili gli edifici, il clima, un tavolo, un sistema economico, le particelle, le imbarcazioni, un impiego, i ponti. E talvolta neanche quelli. Ma di certo non lo sono le persone. In ultima analisi, resta davvero oscuro il motivo per cui il governo italiano, soprattutto in un momento di incertezza generale come quello che stiamo vivendo, continui ad utilizzare un lessico ambiguo e soggetto a fraintendimenti.

 

Lorenzo Porzio

Tra le parole che ho analizzato (contagio, distanziamento sociale, immunità di gregge, infodemia, smart working) mi soffermo su congiunto.

Come si può leggere nella versione online del Vocabolario Treccani, il significato del termine, se usato come sostantivo, è ufficialmente quello di parente. Nonostante ciò, ci si è chiesti se alla parola si potessero attribuire altri due significati, ovvero quelli di fidanzato e di amico. È quanto si è capito inizialmente leggendo una nota di Palazzo Chigi diramata il 27 aprile 2020, e nella quale si fanno rientrare tra i congiunti anche fidanzati stabili, affetti stabili. Il Viminale, solo con una circolare del 3 maggio, ha sciolto i dubbi del popolo digitale affermando che nella categoria di congiunto non possono essere inclusi gli amici, bensì solo i fidanzati. Da questa insolita vicenda scaturisce il motivo per cui ho scelto congiunto. Non è solo la mancanza di chiarezza lessicale e testuale delle comunicazioni istituzionali a permettere qualsiasi interpretazione del significato della parola, ma anche, viste le circostanze eccezionali, il desiderio più che giustificato di rivedere, dopo circa due mesi di quarantena forzata, i propri affetti a prescindere da una loro categorizzazione.

 

Simone Pepe

Le parole che ho scelto di analizzare sono Covid-19, mes, dpcm, oms, ro.

Tra i neologismi che sono entrati a far parte del linguaggio quotidiano durante questo periodo di emergenza, spicca certamente Covid-19, una delle tante sigle protagoniste della pandemia. È il nome con cui è stata designata la sindrome causata dal ceppo virale sars-CoV-2, identificato in Cina, nella provincia dell’Hubei, nel dicembre 2019. Il nome della malattia è la sigla scientifica dell’inglese Corona Virus Disease-(20)19, cioè malattia causata da un coronavirus identificato nel 2019, ed è stato annunciato dal direttore generale dell’oms Tedros Adhanom Ghebreyesus durante una conferenza stampa tenuta a Ginevra l’11 febbraio 2020. La denominazione, inoltre, come ha sottolineato l’ex Ministro degli Affari Esteri dell’Etiopia a capo dell’oms, non contiene indicazioni geografiche né riferimenti umani o animali, in linea con le indicazioni internazionali per le denominazioni, il cui scopo è prevenire ed evitare lo stigma sociale, ovvero l'associazione negativa tra una persona o un gruppo di persone che hanno in comune determinate caratteristiche e una specifica malattia. Tuttavia, come spesso accade, i nomi creati ad hoc raccontano il mondo come dovrebbe essere e non come effettivamente è: lo testimonia il fatto che, nei primi giorni del mese di febbraio, il presidente Sergio Mattarella si è recato in visita presso la scuola per l’infanzia Daniele Manin, in uno dei quartieri più multietnici della capitale, per manifestare vicinanza alla comunità cinese, colpita da alcuni episodi di discriminazione nel nostro paese all’inizio della pandemia.

 

Giovanni Lacava

Tra le parole che ho analizzato (Dad / Fad, aula virtuale, lezione sincrona/asincrona, webinar, conference call) mi soffermo sulla prima.

Dad - Fad: ‘Didattica a distanza (sigla Dad)’ o ‘Formazióne a distanza’ (sigla Fad /f.a.d) è un tipo di formazione che veicola i contenuti formativi per mezzo di risorse e strumenti offerti dalle tecnologie audiovisive e informatiche (computer, cd-rom, Internet)” (Treccani online).

La didattica a distanza (Dad) era stata già pensata ad integrazione della lezione frontale con il Piano Nazionale Scuola Digitale (pnsd), pilastro fondamentale della riforma La Buona Scuola del Governo Renzi. In periodo Covid-19, le scuole di ogni ordine e grado hanno dovuto adattarsi a questo nuovo metodo di formazione su piattaforme digitali che diventano lo spazio vissuto contestualmente tra docenti e alunni. Come indicato sul sito ufficiale del Ministero della pubblica istruzione, la Dad non deve prevedere soltanto l’assegnazione di compiti per cercare di recuperare il tempo perduto, ma anche garantire l’interazione fra docente e discente, fondamentale per l’istituzione. L’insegnamento a distanza alterna: (video)lezioni sincrone a interazioni asincrone su piattaforme scelte; un uso dei registri elettronici per segnare materiali e compiti che sono restituiti al docente attraverso canali non del tutto istituzionali.

 

Giulia Agnello

Tra le parole che ho analizzato (disinfettante, guanto, igiene, vaccino, virus) ho scelto di soffermarmi sul termine guanto. Si tratta di un germanismo (dal francone *want) che è arrivato come prestito nella nostra lingua tramite il francese con il semplice significato di un ʻindumento che copre la mano sino al polso o a volte sino al gomito, separando ciascun dito o solo il pollice dalle altre ditaʼ (GRADIT, s.v. guanto). È una parola molto comune, di Alto Uso secondo la marca che riporta il GRADIT, il dizionario di De Mauro; tuttavia in questo periodo l’uso è diventato comune ma il significato più ristretto nella percezione comune, dato che a guanto si associa un significato più preciso. Mentre fino a pochi mesi fa, fino a questo febbraio, nella vita quotidiana veniva maggiormente utilizzato per indicare i guanti che si indossano per proteggere le mani dal freddo, d’inverno, a causa del Coronavirus la parola si associa immediatamente ai guanti di gomma oppure chirurgici, che però non hanno più bisogno di una specificazione o di un aggettivo per associarli all’ambito medico: basta dire guanti e il nostro immaginario pensa subito a quelli.

 

Ilaria Vallefuoco

Le grandi tragedie della storia lasciano sempre dietro di sé neologismi, metafore, cambiamenti di significato delle parole. In tempi di Covid-19 l'utilizzo di metafore belliche è all'ordine del giorno; per questo motivo ho scelto di analizzare cinque lemmi emblematici: eroe, isolamento, nemico, trincea, prima linea. Significativo è il caso della parola nemico, derivante dal latino inimīcus, esatto contrario di amīcus.

Si tratta di un lemma che normalmente sentiamo accostato a personaggi animati piuttosto che inanimati, forse perché per essere nemici sia l'una che l'altra parte devono reciprocamente nutrire nell'animo un sentimento di avversione.

L'aumento di parole che rimandano al lessico bellico ben definisce e sottolinea la portata devastante della pandemia e dei suoi effetti. Proprio in questo contesto trova spazio nemico, che è di frequente messo in relazione al temutissimo e inanimato Coronavirus nel sintagma nemico invisibile, come ad indicare una sorta di minaccia globale incorporea, astratta, incomprensibile come un cubo di rubik: mille facce e nessuna.

 

Manuela Di Venuta

Le parole che ho scelto di analizzare: crisi, epidemia, pandemia, psicosi e sintomo.

Psicosi: psicosi ha una storia più che millenaria, che affonda le sue radici nel greco ψυχή, «anima», in composizione con il suffisso –ωσις. La prima deriva da ψύχω che significa «soffiare, emettere un soffio», il respiro è alla base della sua radice indoeuropea *bhes-; il secondo indica un processo degenerativo. Una malattia mentale o al massimo un’idea fissa, un’ossessione morbosa e spesso priva di validi motivi. Ciò a cui non eravamo abituati era il fenomeno di paura collettiva. Siamo passati dalla psicosi di dover fare scorta in apocalittico stile survival a quella per la contaminazione, attenti a lavarci le mani per almeno un minuto, a resistere alla tentazione di scoprirci il viso. Dalla psicosi per l’atavica colpa di non avere il dono dell’ubiquità alla psicosi di chiuderci in casa e restarci. Sentiamo l’aria venirci meno, nascondendo i timori dietro le mascherine, e il panico salire. Il panico che tutto possa degenerare in un soffio, che anche con il nostro respiro possiamo infettarci: la psicosi lo nasconde nelle sue trame indoeuropee, intrecciate a fili greci che si accavallano su un’omega.

 

Anella Lodato

Tra le parole che ho scelto di analizzare (assembramento, sintomatico, asintomatico, quarantena, eurobond) mi soffermo sul termine quarantena. Con questo lemma inizialmente si indicava un periodo di quaranta giorni che i viaggiatori e le mercanzie provenienti da Paesi nei quali vi erano malattie contagiose erano costretti a trascorrere presso un lazzaretto o a bordo di navi, prima di poter comunicare con gli abitanti del posto. Successivamente il termine dal significato più ristretto e specifico ne ha assunto uno più generico, diventando sinonimo di contumacia.

La parola quarantena ha quindi acquisito, durante questo periodo, il significato di ‘reclusione forzata’, ‘isolamento’.

Mentre inizialmente la quarantena era obbligatoria solo per coloro che erano ‘infetti’, per evitare la trasmissione del virus, ora come ora essa spetta anche a chi non è infetto, per far sì che non venga contagiato. Prima restava a casa chi aveva paura di contagiare, oggi resta in casa anche chi ha paura di essere contagiato. La quarantena durante il Covid-19 è l’allontanamento da tutto e da tutti, dalle persone, dai luoghi, dagli affetti, dalle abitudini. È lo stare soli con se stessi, l’imparare a convivere con le difficoltà, è l’affrontare i mostri da cui si è sempre sfuggiti. Ed è stando in casa, in quarantena, che si può sconfiggere il “mostro” che ci ha rinchiuso nelle nostre case.

 

Alfonso Maria Scola

Tra le cinque parole che ho analizzato (task force, reagente, focolaio, tampone e trasmissione) mi soffermo sull’ultima.

Trasmissione è un sostantivo femminile che ha sempre avuto nella vita di tutti i giorni un significato positivo. La trasmissione è di per sé l’azione di trasmettere qualcosa, per es. un’usanza, una conoscenza o un pensiero attraverso la comunicazione ed è nell’uso comune associato a qualcosa che rappresentava una forma di intrattenimento televisivo o radiofonico, l’accompagnamento ideale per una pausa o semplice compagnia in sottofondo tra le faccende domestiche. Ora, invece, va mutando il suo ‘significato’, o meglio si associa a qualcosa di diverso. È ovunque. Sui quotidiani o nei programmi televisivi, utilizzata soltanto e unicamente per definire la trasmissione (diffusione) di un contagio. Oggi ci accompagna, sì, ma il nostro comportamento corretto è quello di mantenere le distanze, assicuraci di aver preso ogni precauzione e di aver rispettato le regole. Trasmissione è in questo momento una parola che fa paura, negativa in ogni aspetto.

 

Leila D’Annunzio

Tra le parole che ho scelto di analizzare (autocertificazione, caso, curva, maschera, ventilatore) mi dilungo sull’ultima.

Ventilatore: Nell’immaginario comune il ‘ventilatore’ indica quello che la maggior parte della popolazione identifica con l’elettrodomestico che viene solitamente utilizzato in estate per rimanere al fresco. Il termine ventilatore ha anche un significato medico ed è proprio questo il significato preponderante che sentiamo dalle cronache drammatiche di questi tempi dato che, non essendoci ancora una cura, la ventilazione assistita rappresenta una delle poche armi a disposizione degli ospedali per aiutare i malati nel processo di ricovero. Si tratta di una parola di uso comune il cui significato in ambito medico è poco conosciuto ma che in questi mesi ha preso il sopravvento rispetto al significato più comune. Si avvicina l’estate e il caldo è già forte, ma per ora il ventilatore a cui pensiamo non è quello a cui eravamo abituati per trovare refrigerio.

 

Marino Sara

Le parole che ho scelto di analizzare: corona virus, trattamento, prevenzione, incubazione, zona rossa.

La parola che ho deciso di analizzare tra quelle a mia disposizione è zona rossa, un’espressione che ha immediatamente ricreato in noi la percezione della situazione drammatica che stavamo per affrontare.

Si tratta di una dicitura utilizzata nel lessico militare per la prima volta in Francia alla fine della Prima guerra mondiale, nel 1918, per delimitare le zone completamente distrutte dall’evento bellico. L’enciclopedia Treccani la riporta nei neologismi del 2008, con un riferimento preciso al luglio del 2001, quando fu usata per indicare le aree di Genova poste ad accesso ristretto per il G8. Durante l’epidemia da Covid-19 serviva a segnalare, inizialmente, i comuni del nord Italia dove si sono registrati i primi contagi, e successivamente l’Italia tutta. Dopo il discorso del Presidente del Consiglio, un’espressione così semplice ha dato luogo ad una serie di limitazioni che mai avremmo immaginato e che hanno letteralmente stravolto le nostre vite. A tutti noi abitanti della zona rossa era fatto divieto anche di compiere tutte quelle semplici azioni che prima appartenevano alla banale quotidianità. Ci siamo ritrovati a vivere, di nuovo, in un Europa delimitata da confini geografici che nelle nostre menti non esistevano ormai più, e noi nel nostro piccolo ad essere confinati nelle nostre case.