Paola Italia - Lo “studente (e il docente) Google”

 

Il mio maestro, Franco Gavazzeni, era solito ironizzare sul mio inguaribile ottimismo. Io, ogni volta, rispondevo che era solo pragmatismo lombardo, e una contromisura al facile “benaltrismo” (“ci vorrebbe ben altro per...”, anticamera del disfattismo). Nell’epigrafe dedicatoria a Clemente XII, premessa all’edizione del 1730 della Scienza nuova, Giovan Battista Vico parla di cose «varie e diverse che sembravano traversie ed eran in fatti opportunità». Non riesco a non provarci. A provare a svolgere qualche riflessione su questi cambiamenti nella didattica, nella ricerca, nei rapporti tra digitale ed editoria; non solo per vedere opportunità nelle traversie che stiamo attraversando, ma per avere qualche strumento utile per cominciare a pensare, con idee nuove, alla ripresa.

            La didattica digitale che – chi prima, chi poi – da qualche settimana stiamo praticando, rende di grande attualità le riflessioni che da qualche tempo, nella comunità scientifica di chi si occupa di Digital Humanities, sono maturate sui cambiamenti imposti dal mondo digitale, e che forse, fino ad ora, sono stati considerati temi per specialisti o per entusiasti delle innovazioni digitali. Per la velocità con cui, purtroppo, questi cambiamenti si sono verificati, e per avere coinvolto tutta la comunità scientifica (e non solo chi già da prima era interessato a progetti digitali), si è capito che sono temi con cui tutti ci dobbiamo confrontare, e che il 2020 segnerà una data irreversibile, anche per le forme della didattica, per la ricerca, per le relazioni tra editoria e accademia.

            Quel “lettore Google” che ha cominciato a diffondersi una decina di anni fa, e che è onnivoro, spesso incapace di valutare l’affidabilità dei siti e dei testi che popolano la rete, che rischia di ingozzarsi del junk food di testi non certificati, lasciando i manicaretti delle edizioni critiche a cinque stelle indelibati negli scaffali delle biblioteche... quel lettore Google è diventato improvvisamente il nostro studente, lo “studente Google”, che da un giorno all’altro è stato catapultato in un mondo solo apparentemente conosciuto (l’uso della rete di molti studenti era limitato ai social network, alla ricerca casuale di testi e all’uso di Wikipedia o Academia...), e con cui ha dovuto rapidamente confrontarsi. Ha dovuto cominciare a cercare testi in rete da leggere e da studiare, utilizzare risorse didattiche on line, di immagini, audio, video, informarsi sul Document Delivery, il prestito interbibliotecario digitale. Ma insieme allo studente Google, questo rapido cambiamento ha coinvolto anche i docenti – parlo per l’ambito umanistico – molti dei quali consideravano le risorse digitali uno strumento utile solo ad aumentare la valutazione dei progetti di ricerca, e i progetti on line non molto di più di un trastullo, un videogioco didattico. Anche il docente, in alcuni casi il docente “Google”, è stato catapultato nella rete, e, dopo le prime settimane di resistenza, in cui ha aspettato che la situazione cambiasse, ha dovuto fare i conti con un nuovo modo di insegnare, di leggere, studiare, fare ricerca. Chi prima, chi poi, dalle lezioni registrate è passato alla didattica in streaming, dai ricevimenti telefonici a quelli sulle varie piattaforme, dall’ipotesi di rimandare gli appelli a giugno agli esami on line, dal rischio di fare saltare le discussioni di laurea alle proclamazioni digitali. Ci siamo adeguati.

            Cominciamo dalla didattica. Se proviamo a guardare il rapido e massiccio cambiamento come un’opportunità, la didattica digitale potrebbe diventare un utile complemento al nostro lavoro quotidiano, e non un attentato al rapporto diretto con gli studenti. La didattica che, come Università di Bologna, abbiamo sperimentato (sin da subito, a onor del vero), si svolge su una piattaforma digitale interattiva (usiamo Teams, ma ve ne sono di simili utilizzate da altri atenei), che non elimina la presenza degli studenti, perché i partecipanti possono intervenire in qualsiasi momento della lezione, attraverso una chat (che il docente può guardare mentre spiega), o direttamente aprendo il microfono e facendo domande. In verità, la prima volta che, mentre facevo lezione in questo modo, uno studente è intervenuto, ponendo una domanda, come spesso accade durante le lezioni normali, mi sono spaventata, perché nel silenzio dello studio in cui faccio lezione non mi aspettavo che qualcuno parlasse. Sono sobbalzata sulla sedia e il cane, che è il mio unico ascoltatore “in presenza”, ha iniziato ad abbaiare... Durante le prime lezioni, ogni tanto, chiedevo agli studenti di aprire i microfoni e di darmi un segno di vita... mi sentivo “sola” (cane a parte), e allora mi rassicuravano, o scrivevano in chat che sì, c’erano, non si era mosso nessuno... stavano tutti lì, chi in cucina, chi in stanza, chi in salotto. Chissà, magari davanti a un buon prosecco (le mie lezioni, per ragioni di disponibilità delle aule e di sovrapposizione con altri corsi, si svolgevano in orario “aperitivo”, dalle 17 alle 19... e l’orario non è cambiato).

            La piattaforma permette di condividere lo schermo del mio computer, sicché non è cambiato molto rispetto alle lezioni che svolgevo in aula: i testi, le immagini, o i video, invece di essere proiettati sullo schermo, vengono visualizzati sul video del computer dello studente. All’inizio non è stato semplice, ero sempre in ansia che qualcosa non funzionasse, che cadesse il segnale, o che invece dei testi si visualizzasse, su tutti i computer, la mia posta personale... poi la sensazione è passata, ed è diventato uno strumento come tanti. Anzi, la sensazione è stata quella di avere in certo modo invertito i ruoli. Nella gestione delle piattaforme e delle chat condivise, sono loro più abili e sperimentati di me, e la loro rassicurazione faceva trapelare una specie di paterna compartecipazione delle ansie e delle difficoltà della mia “diretta”. Ma tant’è... poi mi sono, ci siamo abituati (io e il cane), e ora tengo sott’occhio la chat, per rispondere in diretta se qualche studente pone qualche domanda....

            C’è stata un’altra novità. Nelle sedi in cui non è stata applicata la lezione in streaming, la registrazione ha rappresentato un’opportunità per chi, anche prima dell’isolamento, non poteva partecipare alle lezioni, per ragioni personali, famigliari, geografiche, mediche, oppure semplicemente per gli studenti lavoratori. Una pratica didattica che avevo iniziato a sperimentare qualche anno fa, quando mi era stato assegnato – per ragioni di sovraffollamento del corso – un orario antelucano che non consentiva agli studenti pendolari di partecipare alle lezioni, e avevo cominciato a registrare e caricare nella piattaforma on line gli audio. Una piccola innovazione, che aveva permesso, a chi non poteva partecipare direttamente, di seguire ugualmente il corso (senza trasformare la lezione in una “lettura”, ma mantenendo la spontaneità e l’immediatezza, che sono il bello della lezione in diretta e in presenza: sbagliare una data, dimenticarsi un nome, farsi scappare un commento off topic...), ma che ha anche, con mia sorpresa, migliorato la qualità degli esami dei frequentanti, che potevano riascoltare a loro piacimento, e a tempi e luoghi scelti, i passaggi più difficili o i temi più ostici. Oppure semplicemente ascoltare, a velocità dimezzata (come mi hanno confessato alcuni studenti), le lezioni di chi, come me, ha l’inguaribile difetto di parlare velocemente...

            Quando rientreremo alla normalità, accanto alle lezioni in presenza, di cui abbiamo diritto e bisogno (gli studenti ci mancano tanto, probabilmente più di quanto noi manchiamo a loro, anche quelli con l’occhio fisso sullo schermo del telefono...), potremo però contare su una possibilità ulteriore, nella didattica a distanza, sia in forma streaming che registrata: una pratica che non toglierebbe nulla a chi segue in aula, ma darebbe moltissimo a chi non ha la possibilità di seguire direttamente le lezioni. Certo, costa un po’ di lavoro in più. Ma dopo un po’ ci si abitua.

            Anche la ricerca, dello studente Google e del docente, è stata catapultata in rete. Per le materie umanistiche, per esempio, ciò ha significato avere maggiore consapevolezza della necessità di distinguere tra testi scientifici e non, tra fonti più o meno affidabili, tra risorse scientifiche, di cui siano dichiarati metodi e strumenti, e gli innumerevoli siti amatoriali sugli argomenti più diversi che popolano la rete, ma non sono fonte di conoscenza scientifica. Da quando sono impossibilitati a utilizzare le risorse cartacee, i miei studenti (ma credo anche alcuni colleghi “digi-scettici”...) hanno cominciare a prendere familiarità con strumenti di ricerca digitale che prima non conoscevano, o che conoscevano, ma che non avevano ancora cominciato a utilizzare regolarmente. A partire dai dizionari on line, che negli scaffali digitali dell’Accademia della Crusca permettono ricerche sulla lingua italiana antica e moderna, per non parlare delle migliaia di testi certificati e metadatati di Biblioteca Italiana, liberamente leggibili, scaricabili, interrogabili: una risorsa che è il frutto della collaborazione ventennale di università pubbliche, e che mette il nostro paese all’avanguardia delle risorse letterarie digitali in tutta Europa. Alcuni studenti, che stanno preparando la tesi (e hanno confessato che solo costretti in casa sono riusciti a “metterci la testa dentro”...), hanno cominciato a utilizzare le risorse di Internet culturale, la più grande aggregazione di oggetti digitali del patrimonio culturale italiano, a partire dalle collezioni di manoscritti di Manus on line, e i portali monografici dedicati ai maggiori autori della letteratura italiana, come Dante o Petrarca, alcuni dei quali realizzati già da anni nel mondo anglosassone, altri invece nazionali, di recente costituzione, e qualcuno ha cominciato timidamente a consultare anche le (poche) edizioni critiche digitali che offrono – più o meno efficacemente – straordinari strumenti di ricerca e studio. In tempi non sospetti, lo scorso novembre, con i colleghi italianisti del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica, Loredana Chines e Gino Ruozzi, abbiamo cominciato a organizzare un incontro generale – Italianistica digitale – programmato per il 1-2 ottobre 2020, dedicato proprio alle risorse digitali per lo studio della letteratura italiana. Sarà un modo per condividere anche le esperienze di questo periodo.

            C’è stata un’altra innovazione. All’inizio del corso di Letteratura Italiana avevo chiesto a Pasquale Novellino, che lavora presso la Biblioteca “Ezio Raimondi” del Dipartimento, di svolgere una lezione sulle risorse del Sistema Bibliotecario di Ateneo (SBA), l’uso degli Opac, la consultazione delle banche dati in Proxy, il Document Delivery. Non sono strumenti semplicissimi da usare, soprattutto all’inizio, ma la lezione di Pasquale – accompagnata da alcune slide – era stata molto chiara, l’avevo registrata e caricata nella piattaforma on line. Non so cosa sia successo, ma il passa-parola – più forte di qualsiasi corso di soft skills... – ha funzionato. Dopo una settimana dall’inizio della didattica on line mi hanno scritto alcuni studenti, chiedendo di condividere la “lezione di Pasquale Novellino”, anche al di fuori dei materiali didattici del corso (che sono visibili solo a chi è iscritto). L’audio della lezione e le relative slide sono ora disponibili negli “Avvisi” della pagina mia web docente. Sarei curiosa di sapere il numero dei contatti... credo che a Pasquale (che da tempo svolge un laboratorio di formazione agli strumenti bibliografici, il Bibliolab) farebbe molto piacere.

            Al di là della scoperta e dell’utilizzo di singole risorse, questa permanenza obbligata nel mondo digitale potrebbe fare comprendere che solo attraverso infrastrutture digitali integrate, strumenti di interrogazione semplici e “amichevoli”, e un lavoro di coordinamento tra MIBAC e MIUR, si potrà permettere l’accesso al patrimonio culturale digitale a tutti i livelli, quello della semplice lettura, visione, ascolto, e quello dello studio, della ricerca di base e della ricerca analitica. perché nel momento in cui aumenta la domanda, bisogna fare in modo che tali risorse, che già esistono, possano essere di facile accesso, e diventare davvero uno strumento di lettura e studio da affiancare ai libri cartacei, che speriamo presto di tornare a consultare in biblioteca.

            E veniamo ai libri, e ai rapporti tra editoria e accademia. La forzata clausura domestica ci ha messo di fronte alla necessità di accelerare la collaborazione tra editoria e accademia, per uscire dalla cultura della fotocopia rilegata (che ancora adesso, per molti studenti universitari, costituisce il principale strumento di formazione...) e offrire, accanto ai libri cartacei, testi digitali che possano essere competitivi, non solo dal punto di vista economico (un finto libro fotocopiato finirebbe per costare pochi euro meno della sua versione digitale, e non diventerebbe quindi conveniente procurarselo...), ma anche da quello delle risorse digitali integrate al libro stesso, che potrebbero rendere la versione digitale più pratica (per gli studenti, se chi sta preparando un esame deve viaggiare, ma anche per i docenti, per chi come me è pendolare e dimentica sempre in studio il volume su cui doveva preparare la lezione del giorno dopo...), o un utile complemento a quella cartacea.

            Se, per fare un esempio, inserisco nel programma di Letteratura italiana una raccolta di saggi su Manzoni, con la versione digitale – magari offerta in aggiunta alla versione cartacea a un prezzo lievemente superiore – potrò fare in modo che gli studenti possano vedere tutte le immagini dei Promessi sposi citate nel volume e non solo quelle selezionate per la stampa cartacea. I due supporti potrebbero essere non più o non solo in alternativa fra loro, ma come il completamento l’uno dell’altro, e il combinato disposto cartaceo/digitale potrebbe diventare una risorsa per il mercato del cartaceo contro l’incultura della fotocopia, non come l’attentato del digitale al mondo analogico. L’editoria accademica pubblica e quella privata (che guarda però attentamente al mercato dell’accademia) potrebbero approfittare di questa forzata digitalizzazione delle risorse didattiche per sperimentare delle buone pratiche editoriali. E fare di necessità digitale, virtù analogica.

            Molti editori ci hanno già pensato, offrendo, in questa situazione di emergenza, volumi digitali per stimolare la lettura (nella metà degli anni Dieci, con alcuni colleghi di altre università, abbiamo fondato BiTes, una collana cartacea e digitale, che permette, in alternativa al testo cartaceo, di consultare il PDF o leggere il testo in formato “liquido”). Perché non approfittare allora di questa rapida e obbligata rivoluzione per dotare gli studenti universitari, oltre che della borraccia di ordinanza, opportunamente “brandizzata” dai vari Atenei, anche di un tablet/computer, da affiancare ai libri cartacei, per prendere appunti, cominciare a scrivere le tesine, e raccogliere i libri della propria formazione in una biblioteca digitale? Le due forme di lettura si integrano, non si escludono. Anche perché continueremo a lungo a praticarle entrambe, come si è fatto dalla metà del Quattrocento per oltre un secolo, nel passaggio dalla cultura manoscritta a quella a stampa. Si tratta però di provare forme innovative, sperimentare. Perché una vera innovazione – come è avvenuto cinquecento anni fa con l’“aldina” – può venire solo dalla collaborazione tra accademia ed editoria.

            Se riusciremo a vedere questo periodo di digitalizzazione forzata come un’opportunità, nella didattica, nella ricerca, nei rapporti tra accademia ed editoria, allora potremo dire che questi mesi di isolamento domestico non sono passati invano, e accanto al dolore di molti e alla fatica di tutti, hanno anche lasciato un senso di comunità che mai avevamo sperimentato prima, almeno in queste forme. Un modo non migliore né peggiore di vivere la didattica e la ricerca, ma diverso. L’unico che in questo momento si possa praticare, ma anche l’unico che ha permesso a molti studenti di continuare la loro formazione senza interrompere il percorso di studio (e anzi, probabilmente riuscendo a dare più esami di quanti ne avrebbero sostenuti senza la clausura forzata...), vivendo a contatto con i loro docenti il momento della lezione, realissimo incontro virtuale dai salotti e dalle cucine delle case; che a molti docenti ha fatto scoprire nuove modalità didattiche, nuove risorse di ricerca, nuovi modi per condividere formazione e studio (letture di gruppo, aperitivi letterari, seminari virtuali...). Per ricordarci, quando torneremo in università, nelle biblioteche, nelle aule, che mai come in questo periodo di isolamento siamo stati virtualmente vicini, e ci siamo sentiti una comunità di persone.

            Ah, dimenticavo. Nonostante il corso di Letteratura Italiana sia rivolto a più di cento studenti, durante le lezioni “normali” ne veniva in aula solo una quarantina, forse a causa della scomodità dell’orario (e del fatto che, comunque, avrebbero trovato on line le lezioni registrate...). Da quando abbiamo iniziato i corsi in streaming gli studenti sono raddoppiati. E mi hanno detto che, ogni tanto, si collegano ai corsi “umanistici” anche studenti di altre discipline.... Vuoi mettere, dopo una giornata passata sugli algoritmi, la Sera del dì di festa con un calice di prosecco?

 

30 marzo 2020

 

Paola Italia

Università di Bologna