Mario Sechi - Didattica a distanza

 

Risuonano da ogni parte, con ritmi e modi suadenti, gli inviti a fare di questa emergenza (un'emergenza dal finale ancora ignoto, tra sopravvissuti e scartati, più adatti e meno adatti: una scrematura demografica con garanzie per la sopravvivenza della specie, ma non dei singoli individui) una grande, straordinaria opportunità per il futuro. Scorrono sugli schermi TV le immagini satellitari del pianeta liberato sui cieli occidentali dalla cappa dello smog (se tutti stanno a casa, torneremo green), o quelle di Google Heart o dei fotografi professionisti con piazze e monumenti liberati dalla folla, spazi deserti risacralizzati dalla sparizione del morselliano H.G.

Dunque? Tanti gli scenari, tanti i modelli di riconversione della produzione e della riproduzione, cui si allude e di cui si parla e si scrive. Telelavoro, telemedicina, cura e assistenza con robot empatici per anziani, disabili e ammalati cronici, viaggi e mostre e concerti virtuali. E il teletrasporto, che è ancora fantascienza. Qualcosa promette di funzionare, qualcosa produrrà conflitti e contraddizioni forse ingovernabili, qualcos'altro infine desterà delusione e disagio, il male peggiore.

Se non vogliamo dar credito a improvvisi colpi di genio, al fiorire di formule nate da catacombali startup, dovremo dedurre che l'emergenza viene vista e sfruttata da importanti soggetti istituzionali ed economici come uno straordinario laboratorio in cui sperimentare in vivo, senza più remore né freni, in vista di un possibile passaggio a regime, una serie di progetti già da tempo allo studio, o in limitata e contrastata applicazione.

Mi riferisco in particolare allo smart working e alla didattica a distanza, che l'obbligo del distanziamento sociale oggi impone senza alternative, ma che il nostro Governo assume ormai nelle sue esternazioni - da un giorno all'altro, e senza un confronto culturale e politico di fronte all'opinione pubblica del paese - come scelte strategiche e irreversibili di modernizzazione del lavoro terziario e della formazione scolastica e universitaria. Tale indirizzo sviluppa l'agenda della digitalizzazione della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici, nonché le misure di sostegno all'industria 4.0, da intendersi però non più come supporto aggiuntivo alla produttività e all'efficienza, ma come modello globale di relazioni sociali, interumane, da sostituire gradualmente al modello reale-empirico.

Il caso della didattica a distanza ha suscitato in alcuni osservatori l'invito a riconoscere la pionieristica lungimiranza delle Università Telematiche, che furono parificate nel 2006 dalla Ministra Moratti alle altre Università, e che hanno goduto di una lenta ma progressiva espansione, et pour cause, negli anni di crisi finanziaria e gestionale del sistema universitario pubblico succeduti alla cosiddetta riforma Gelmini.

La formula dell'insegnamento a distanza messa in atto dalle ormai numerose Telematiche punta sull'offerta di pacchetti didattici (serie di lezioni registrate in video-audio e relativi "materiali" per lo studio individuale) e di un servizio di tutorato, o assistenza personalizzata all'apprendimento (l'Università E-Campus si avvale di una partnership come quella del Cepu, istituto specializzato nel recupero di debiti scolastici e nell'accompagnamento alle prove di esame). La garanzia di successo del candidato è affidata alla standardizzazione e alla semplificazione dei moduli didattici e delle procedure di accertamento delle competenze acquisite: le statistiche dei laureati confermano, anzi attualizzano, inverano le promesse.

S'intende che nelle Università telematiche la figura del docente è pressoché anonima, tant'è che in teoria (ma anche in pratica) un ristretto gruppo di collaboratori a contratto, privi di un qualsiasi retroterra di ricerche originali, guidato direttamente dallo staff tecnico di Ateneo, può bastare a un'utenza di ampie dimensioni, che per suo conto non è interessata a cogliere differenze di impostazione metodologica o teorica, men che meno ad apprezzare il pluralismo culturale delle  "scuole" e a trarne stimolo nella costruzione del proprio percorso formativo, e ancor meno è disponibile a uno scambio orizzontale di conoscenze e esperienze. Alla esiguità e alla impersonalità della funzione docente corrisponde la inesistenza di una comunità discente, in quanto soggetto plurimo e differenziato ma reattivo, critico, potenzialmente dialettico. Ogni studente-cliente è un caso a sé, e pretende un servizio personalizzato, secondo la prassi del customer satisfaction. Occorrerà aggiungere che nelle Università Telematiche non esistono quasi mai organi di governo collegiali, ma solamente Consigli di Amministrazione che deliberano, oltre che sui bilanci, sulla didattica e sulla struttura dei corsi di studio. Anche questo modello di governance non fa che evidenziare e attuare in modi un po' più brutali la logica di organizzazione aziendale, verticistica, centralistica e burocratica che è venuta imponendosi di fatto negli ultimi dieci anni in tutto il sistema universitario nazionale.

Il modello dell'insegnamento a distanza sperimentato dalle Telematiche pare offrire oggi al sistema deficitario e sofferente delle Università pubbliche e private una stupefacente via d'uscita dalle sue contraddizioni strutturali, aggravate da riforme e controriforme succedutesi negli ultimi trent'anni. Marcate riduzioni dell'organico docente, come quelle imposte dal taglio sistematico del FFO, e mancata attuazione del diritto-dovere alla frequenza, ossia di un reale diritto allo studio, garantito da strutture adeguate, aule, biblioteche, laboratori, studentati residenziali, tasse ridotte e borse di studio per incapienti, possono essere tendenzialmente digerite attraverso una rivoluzione tecnologica, e con l'adattamento forzoso del corpo docente a una modalità performativa del rapporto con la classe, che faccia leva sulla efficienza delle piattaforme virtuali e sulla simulazione di una relazione didattica che in realtà semplicemente non esiste. Non occorre insistere sul fatto che in quest'ambito la tecnologia può coprire o sminuire la gravità delle carenze di organico, o al limite può servire ad assecondarne il trend, e in più incoraggiare la disgregazione, lo svuotamento degli spazi comuni in cui tradizionalmente la relazione didattica ha finora - bene o male - avuto luogo.

Per quanto riguarda l'intrinseca efficacia non solo comunicativa e motivazionale dell'insegnamento a distanza generalizzato, non più integrativo ma sostitutivo dell'insegnamento in presenza, occorrerebbe attendere verifiche ex post, e perciò stupisce che non pochi tra psicologi, pedagogisti, informatici, e persino Rettori, si siano già lanciati in bilanci entusiastici, convogliando impressionistiche testimonianze a caldo di docenti e studenti, innanzitutto gratificati dalla propria capacità di adattamento e di aggiornamento, quando non dalla semplice novità dell'esperimento in atto.

Per l'esperienza che personalmente ne ho fatto, sia pure in contesti diversissimi da quello emergenziale odierno, credo di poter segnalare almeno alcuni punti critici di non poco conto. Primo, il mezzo induce a una gestione del tempo, della voce, del discorso, assimilabili a quelli della televisione. Assertività, linearità, scansione segmentale dei messaggi, servono oltretutto a garantire il minutaggio prescritto e non derogabile. Tutte le ridondanze, le riprese, le digressioni che l'oralità in presenza consente, nella condizione di prossimità con la classe e nella percezione dei suoi feedback verbali e non verbali, devono essere tagliate. La preparazione anticipata di un testo o di un canovaccio, spesso anche in forma di slide in Powerpoint, esclude poi aggiustamenti in itinere alle esigenze di chiarimento o di approfondimento da parte degli studenti. Infine, la disponibilità di supporti multitasking (tablet con videocamera, Smartphone, collegamento internet per acquisizione di testi, ipertesti e immagini, o per accesso a biblioteche videoteche e cineteche virtuali) non solo consente ma suggerisce e favorisce una disposizione all'apprendimento prevalentemente modale, strumentale, tecnica, relegando il filo di trasmissione del pensiero, con la sua carica di espressività, su un piano del tutto secondario. Tuttavia una buona parte dei colleghi più giovani percepiscono meno traumaticamente questi effetti di impoverimento della relazione didattica, forse perché già da tempo, da quando si decise di rendere la didattica stessa quantificabile (sommabile, divisibile, scambiabile) in unità o frazioni di CFU, i regolamenti dei corsi di studio e i calendari semestrali, subordinati a loro volta ai vincoli delle schede SUA e agli obblighi orari per le distinte fasce di docenza, hanno imposto rigidità e controlli mai visti prima: dall'ora di 50 o 45 minuti alle due ore nominali consecutive, all'assoluta esclusione di tempi di recupero o di integrazione, anche in forma di seminari opzionali. Non di meno e non di più, in nessun caso, della dose prescritta di didattica erogata. Il controllo, va da sé, riguarda i discenti tanto quanto i docenti: scrupolosi conteggi di ore, di pagine, sono tali da non contemplare mai l'imponderabile, la comprensione problematica di un discorso complesso, l'apprezzamento dello spessore teorico o metodologico insito in un testo o in una lezione.

 

2 aprile 2020

 

Mario Sechi

Università di Bari