Giancarlo Alfano - Al tempo della distanza

 

1. Sciogliamo un equivoco


C'è forse un equivoco in ogni ragionamento che contrapponga didattica in presenza e didattica a distanza. L'equivoco consiste nella loro contrapposizione, o anche, in forma più blanda, nell'argomento che la seconda sia un superamento della prima. La verità è che la didattica a distanza non si distingue in nulla rispetto alla didattica in presenza. Tranne per un aspetto: che non è in presenza.

Si apprezzi o meno la tecnologia, nel caso specifico che discutiamo – la didattica – l'esistenza di piattaforme che consentono il contatto a distanza tra un responsabile della formazione e delle persone in formazione non mutano da nessun punto di vista il fatto che il punto centrale sia la formazione.

Posso certo sbagliarmi. Ma non c'è nessun aspetto della didattica remota (DAD) che non venga normalmente realizzato in presenza. E infatti la didattica a distanza è stata pensata come sostituto della didattica in presenza, non come una forma diversa di formazione.

Il punto è dunque solo valutare i vantaggi della distanza. Nel frangente che stiamo vivendo chiunque è d'accordo sul fatto che la tecnologia digitale stia aiutando il sistema a funzionare secondo i suoi tempi normali, cioè sulla base del quotidiano. Se io dovessi impartire le mie lazioni per via epistolare, come nella celebre Scuola Radio Elettra, e poi rispondere alle eventuali domande per lo stesso canale, avrei bisogno di molti giorni o di settimane; la piattaforma che ho a disposizione mi permette di scandire le fasi del lavoro su una scala temporale analoga a quella della normalità, o almeno a essa commensurabile.

Ma se non ci fosse una pandemia, o un terremoto catastrofico o l'invasione dei Marziani? In condizioni ordinarie perché dovrei ricorrere alla lezione a distanza? Quale sarebbe il valore supplementare rispetto al trovarmi nella stessa aula con i miei studenti? Qualunque sia la disciplina considerata (grammatica della lingua latina, istologia, geometria analitica, marketing, psicometria, sociologia del lavoro, procedura di diritto civile, o qualunque altro sapere), non c'è dubbio che l'insegnamento a distanza non ha alcuna specificità se non la distanza stessa.

Esiste dunque una specificità positiva della distanza quando si pensa a un percorso di formazione? No, non esiste nessun elemento specificamente positivo, non c'è nessun argomento che possa essere addotto per dimostrare il successo più alto dell'insegnamento a distanza rispetto a quello in presenza. E questo riguarda tutte le discipline insegnate a livello scolastico e universitario.

Più precisamente, nessuna disciplina prevede – per sua natura – che un percorso formativo da lontano sia più efficace rispetto a quello realizzato in presenza. nemmeno l'informatica. Nessun sapere viene appreso meglio o più accuratamente se il docente e i discenti sono fisicamente separati.

  

2. Qualche dettaglio


Proviamo a passare in rassegna alcuni degli aspetti che caratterizzano la didattica a distanza. Si dice, per esempio, che l'uso di piattaforme digitali permette di:

 

1. condividere materiale didattico. Ma per questo esistono, oltre agli attuali strumenti digitali assicurati dalla pagina web del docente, le eventuali antiche soluzioni delle dispense, fotocopie, hand-out, etc. La condivisione di materiale didattico non è una acquisizione che dobbiamo alle nuove piattaforme, ma la regola consuetudinaria.

2. creare dei sottogruppi di lavoro. Ma le aule ordinarie, anche quelle più infelici, consentono la segmentazione dei presenti in sottoinsiemi.

3. mostrare PP o tabulati o immagini o file pdf e word agli studenti. Ma la presenza di una white board, o ancora più semplicemente, di uno schermo bianco, o ancora, la condivisione di uno smartphone assicura la medesima prestazione, migliorata dal fatto che la compresenza fisica in uno stesso spazio consente di reindirizzare il percorso in tempo reale con più efficacia di quanto non possa accadere a distanza.

4. trasmettere un comunicato a tutti gli studenti. Ma il docente può utilizzare la pagina web di Ateneo che normalmente gli viene affidata su base annuale; egli può inoltre può annunciare in aula una comunicazione rivolta a tutti. O addirittura può affiggere una notizia alla porta del suo studio.

etc. etc.

 

Non è improbabile che qualche aspetto mi sfugga e che dei dettagli tecnici delle piattaforme attualmente in uso consentano delle soluzioni che in aula sarebbero difficili da realizzare. Ma il punto rimane – e su questo sono disponibile a discutere ogni smentita – che l'insegnamento a distanza non presenta alcun vantaggio rispetto a quello in presenza.

Il problema è dunque: perché essere distanti?

 

3. Dalla distanza


Nel 1963 Marshall McLuhan pubblicava The Gutenberg Galaxy. The Making of Typographic Man. In quel libro – brillante, apodittico, ispirato e irritante (tanto che i filologi faticano ancora a leggerlo, nonostante sia uno dei più grandi elogi al loro lavoro...) – il gesuita canadese presentava quella che sarebbe diventata una massima celebre: il medium è il messaggio, la forma della comunicazione è di per sé una comunicazione.

In una esperienza didattica non si può certamente parlare solo di 'comunicazione'; e però non vi è dubbio che gli attori di quella esperienza sono in comunicazione tra di loro e che il fatto stesso di trovarsi in quel rapporto (di formazione) stabilisca un modo comunicativo. Essere in aula, in altri termini, è una comunicazione, cioè configura rapporti, gerarchie, saperi. Una configurazione che è cambiata, certo, coi secoli, e che avrà modo di evolvere a suo modo in futuro. Ma che in questa fase della civiltà occidentale veicola valori, diritti e vincoli in maniera coerente col restante sistema delle relazioni intersoggettive.

In che senso, per quale aspetto, a quali fini lo spostamento dall'aula alla relazione a distanza tramite piattaforma digitale e interfaccia elettronico costituirebbe un adeguamento alla situazione attuale dei nostri sistemi di regolazione? Perché vedere meno bene una persona, sentirla con qualche disturbo audio, e non avvertirne la consistenza fisica è un perfezionamento della formazione di un giovane?

Evidentemente, il problema della lezione a distanza è che essa è stata concepita per la presenza, che cioè il modello di lezione che viene realizzato in tutte le aule del mondo occidentale (europeo continentale) appartiene al medium della compresenza fisica e non della distanza elettronica. Se si vuole spostare la didattica scolastica e universitaria dalla compresenza alla distanza digitale, allora bisogna chiarire che si intende mutare il modello stesso di lezione. Cosa senz'altro possibile. Ma che, senz'altro, non equivale a dire che si trasferisce l'esperienza didattica al sistema on-line.

 

4. Scolia, o scogli


a) Quanto costano l'edilizia scolastica e quella universitaria? Quanto costerebbe invece dotare ogni docente di una adeguata strumentazione elettronica, semmai aggiornata su base annuale?

b) Se il Finanziamento ordinario del sistema universitario si valuta sulla base del successo didattico (CFU maturati dagli studenti e percentuale dei passaggi dal I al II anno di corso), perché non perfezionare il teaching for test e improntare l'intero sistema formativo alla dinamica stimolo/risposta?

c) A bianco si contrappone nero; a giorno, notte; a cotto, crudo; a on-line, off-line: almeno dal punto di vista linguistico, non c'è altra linea all'infuori di...

  

5. L'orgoglio


Sono oramai 24 giorni che le Scuole e le Università sono chiuse. Al di là delle previsioni e delle profezie, che riguardano il nostro futuro, c'è da dire che l'Istituzione dell'insegnamento pubblico ha risposto in maniera straordinaria. Personalmente ho perso una sola lezione: il 4 ero in aula, il giorno 10 iniziavo le mie lezioni su Teams, tornando alle mie 12 ore di insegnamento alla settimana. Come me è accaduto alla quasi totalità dei colleghi della mia Università; e mi risulta che la gran parte degli Atenei hanno risposto allo stesso modo. Le scuole – in special modo gli Istituti medi superiori – hanno avuto più o meno la stessa velocità di reazione.

Ogni giorno torna ad apparirmi incredibile che il mondo giornalistico italiano non valorizzi questa impressionante capacità del sistema pubblico di rispondere alla più grande emergenza degli ultimi 80 anni. Tanto più impressionante se di pensa che non è mai stata, non dico organizzata una simulazione (come in caso di incendio o di catastrofe naturale), ma nemmeno pensata la eventualità di una simile necessità. Nessun professore ha mai ricevuto una formazione per fronteggiare la situazione attuale. Nessuno ha ricevuto istruzioni in tempi normali per gestire le piattaforme che oggi utilizza in maniera quotidiana. Nessuno ovviamente dovrà essere giudicato per il modo in cui lo sta facendo (meglio o peggio che sia). Ma sarebbe opportuno che qualcuno rendesse merito alle centinaia di migliaia di professionisti dell'insegnamento i quali sono stati capaci di riconvertirsi in pochissimi giorni a una necessità nazionale.

 

6. E l'orchestrina del Titanic


Ma qualcuno dovrebbe anche chiarire che il lavoro che quelle centinaia di migliaia stanno svolgendo pare ispirato all'eroico comportamento dell'orchestra di bordo che continuò a suonare finché il Titanic non affondò per sempre (devo questa immagina al mio amico Andrea Mazzucchi). Chi volesse potrebbe ascoltare The Sinking of the Titanic (1975: qui una successiva versione più lunga: https://www.youtube.com/watch?v=-TMjdYpgZIo), in cui il compositore britannico Gavin Bryars ha provato a immaginare come potessero 'suonare' le note di quell'orchestrina una volta che cominciarono a diffondersi sott'acqua. E semmai potrebbe ascoltare questa commoventissima opera musicale provando a immaginare come potranno suonare le lezioni di un professore di scuola o dell'università una volta che il medium sarà cambiato: non più l'aria dell'aula abituale, ma l'acqua della navigazione digitale.

Ora come ora il nostro lavoro è un doveroso ansiolitico che aiuta milioni di giovani a conservare un ordine mentale e una progettualità in settimane davvero difficilissime. In una futura normalità – che personalmente credo non sarà mai più come la normalità che è terminata (in Italia) a metà febbraio 2020 – questo tipo di attività si troverà a misurarsi con istanze e con richieste assai differenti. Mi sembra importante che la riflessione collettiva inizi da subito per poter meglio comprendere quale sarà l'effettiva posta in gioco che riguarda l'istruzione – a tutti i suoi livelli – in Italia.

 

30 marzo 2020

 

Giancarlo Alfano

Università di Napoli Federico II