Vorrei comunicare la mia esperienza di didattica a distanza nei giorni della quarantena in modo semplice e diretto.
Divido questo mio breve intervento in due parti: una parte sentimentale e una più tecnica.
Non c'è dubbio che ho provato in questi giorni una profonda sofferenza nell'organizzare in tempi strettissimi tre corsi di letteratura italiana tutti online e solo online.
Prima di tutto ho sofferto per l'isolamento forzato e improvviso che ha causato instabilità e incertezza in me e negli studenti. Poi ho fatto una certa fatica a ritagliarmi spazi domestici adeguati e 'istituzionali', cercando di evitare una scenografia o una atmosfera eccessivamente intima. Ho fatto fatica a mantenere un certo tono 'professorale', mentre parlavo per lunghe sedute alla mia libreria di fronte o al mio armadio della camera.
Certo, in casa abbiamo anche cercato di scherzare e di riderci sopra ma alla lunga ci siamo stancati o demotivati tutti quanti, figlio marito e persino il nostro cane, che ha più energia positiva di tutta la famiglia, come è noto. Infine - frustrazione che perdura ancora - mi manca una vera interazione con gli studenti, l'empatia che si crea in aula con alcuni, ma - bisogna dirlo! - non con tutti. Ma anche quella minoranza che si fa trascinare dalle mie parole, mi aiuta a trovare il tono giusto per parlare anche agli altri più disinteressati o apatici. E qui vengo all'ultima questione, l'apatia. Che non è solo mia ma anche di chi mi ascolta: siamo tutti chiamati a una prova e tutti devono collaborare a creare un clima di interazione a distanza e, direi, nonostante la distanza. Per quanto pensiamo che i Millennials (e ho un figlio Millennial) siano 'smart' anche loro hanno problemi a restare collegati o interessati a lungo. Attivano il microfono ma lo spengono subito, pochi si azzardano a intervenire. Sono più timidi e incerti di quanto pensiamo. Ma in fondo cosa gli possiamo chiedere? Come chiedere una vera interazione? Come svegliarci tutti da questa trappola? Siamo noi insegnanti a dover cambiare: dobbiamo guardare a questa opportunità con occhi nuovi, cercare nuove modalità e capire come cambiare le nostre abitudini.
Permettetemi, ora, una piccola citazione: sembriamo caduti in una trappola boiardesca, quella che blocca e rinchiude i famosi paladini...dentro un sasso o un muro di cristallo. E permettetemi (visto che uno dei corsi riguarda la riscrittura di Gianni Celati dell'Orlando innamorato) di ricordare una immagine ricavata dalla sua traduzione in prosa: «la voce veniva da un muro di cristallo che era alle sue spalle e oltre quel muro trasparente si vedevano i prigionieri della fata Morgana. C'erano Ranaldo, Iroldo Prasildo, Brandimarte, Dudone e tanti altri che salutavano Orlando e piangevano e stendevano le mani per abbracciare l'amico». Orlando si dispera, il muro di cristallo è sigillato ed è impossibile liberare gli amici dal terribile maleficio. Ma una donzella al di là del muro gli dà il consiglio giusto: «Torna alla fonte, cerca la fata. E dovrai seguirla nel deserto con tanta fatica, che ogni altra pena ti parrà meno grave. Ma la virtù vince ogni cosa e quando l'avrai afferrata per i capelli potrai aprire quella porta, che tutti noi tiene chiusi nel dolore» (G. Celati, L'Orlando innamorato raccontato in prosa, 1994: Capitolo XXIV, Le fatiche di Orlando).
Ecco cosa sento di dover fare per me e per gli studenti che mi ascoltano al di là del muro di cristallo, senza essere una eroina ma solo una persona normale, una docente: sento di dover acciuffare con destrezza il maleficio (ci sarebbero cose da dire sulla strana capigliatura di Morgana ma qui mi porterebbero fuori strada) e aprire quella porta, così asettica, fredda come un cristallo purissimo. Però anche la studentessa deve fare qualcosa per me: mi deve aiutare, altrimenti l'impresa diventa impossibile. Impossibile aprire la trappola di cristallo in cui siamo rifugiati ma grazie alla quale riusciamo a parlare e persino a vederci. E, in effetti, proprio in questi ultimi giorni vedo che qualcosa di nuovo e di sorprendente (direi anche di commovente) sta nascendo: da qualche tempo, dopo lo spaesamento iniziale, io ho cambiato il mio modo di insegnare e gli studenti hanno cominciato a partecipare attivamente ai forum, scrivendo moltissimo e trovando nuove relazioni intellettuali tra loro...come una brigata decameroniana, obbligata dalla storia a reagire con le proprie forze immaginative al trauma della storia.
Fine della parte sentimentale, ora la tecnica.
In questi giorni come tutti i miei colleghi ho usato una piattaforma didattica, quella approntata dal Centro e-learning Unimore (Università di Modena e Reggio Emilia). È una piattaforma molto duttile e ricca di potenzialità: ha una 'aula di registrazione virtuale' con la quale si può fare la lezione in streaming e, al contempo, registrarla (sia in diretta sia in modalità nascosta agli studenti, così da farla vedere più avanti nel calendario delle lezioni). Si tratta di una vera e propria aula con cui possiamo condividere contenuti (video, PDF, lavagna comune), possiamo vederci e parlare, possiamo fare esercizi e creare gruppi di lavoro. L'aula (si chiama 'Collaborate') è attivabile dalla piattaforma del docente, che in modo autonomo gestisce le sue lezioni. La piattaforma è divisa in moduli, che contengono molte possibilità di interazione (forum wiki, manuali, esercizi, possibilità di caricare pdf, url eccetera) e i partecipanti iscritti hanno una loro zona di interazione comune (chat) e personale (ogni studente ha una sua 'cartella' o scheda personale con cui è possibile interagire).
La piattaforma è quindi molto utile e ha molte possibilità di interazione e le sto usando tutte, ovviamente. A volte la connessione è buona, altre volte salta...ma tutto sommato si fa, si va avanti, credo, abbastanza bene.
Questo sistema, quindi, è perfetto per l'emergenza: se non ci fosse, non ci sarebbero le lezioni. Punto e basta. Ma, e qui ci si domanda con ansia, quanto durerà? E, soprattutto, sarà questo il futuro? Un futuro e-learning tutto digital? Quanti corsi paralleli è possibile attivare in questo modo, copiando e incollando link delle lezioni per fare nuovi corsi in simultanea? Quante Menetti- avatar è possibile ricavare da una sola Menetti in carne e ossa? Insomma, sono domande legittime, che tutti ci stiamo facendo.
L'emergenza della trappola in cui siamo tutti rinchiusi (un miliardo dicono) mi porta a dire che fare questa sperimentazione forzata ci ha dato la possibilità di mettere in discussione il nostro modo di insegnare (e io ho dovuto giocoforza cambiare un po'), ci ha dato la possibilità - comunque - di attivare un percorso didattico (e penso anche ai miei colleghi della scuola) e ha dato ai ragazzi l'opportunità di uscire dall'apatia della quarantena e di rivolgersi al mondo universitario con nuovi mezzi e con nuove speranze, mi auguro. Tutto bene se non fosse che la didattica d'emergenza è un esperimento sociale che deve restare tale.
Mi spiego meglio: non è giusto, mi sembra chiaro, fare lezione da casa. È emergenziale, non è normale. Se si vogliono sperimentare i mezzi e-learning (e non l'università telematica) occorre creare centri didattici e-learning d' Ateneo: occorre registrare le lezioni in sede, all'università in una aula di registrazione seria, con i tecnici che ti aiutano a disporre meglio delle risorse didattiche, che sono innumerevoli e in espansione naturale. Ma queste forme 'dad' (didattica a distanza) non possono sostituire quella in presenza: possono, invece, affiancarla o potenziarla.
Ultima riflessione: anche negli anni passati ho sperimentato questa piattaforma e-learning...e ho sempre registrato le lezioni in aula. Gli studenti non sono affatto diminuiti, anzi. È stato utile anche per loro avere la lezione registrata da ripassare successivamente. Non sono, quindi, pregiudizialmente contro la didattica a distanza ma nemmeno entusiasticamente a favore. Dipende da come si usano questi mezzi di comunicazione, come sempre: insomma, se ben orchestrato, il mezzo digital può suonare una buona musica per tutti.
30 marzo 2020
Elisabetta Menetti
Università di Modena e Reggio Emilia