Andrea Tabarroni - A distanza, ma presenti a se stessi

 

Voglio esprimere subito in maniera sintetica e chiara la mia posizione. Sì o no alla didattica a distanza? Dipende. Se la vogliamo considerare come l’unica strada o la strada maestra, allora no, tranne che in situazioni eccezionali come la presente (nella quale, com’è evidente, non si danno alternative). Se invece pensiamo di utilizzarla come un ulteriore veicolo di formazione, in aggiunta e a complemento della modalità tradizionale (dando un significato più pregnante alla formula burocratica della “didattica integrativa”), allora sì, e con forte interesse nei confronti dei nuovi spazi di movimento che si aprono in questa direzione.

Certo finché si rimane sul piano delle visioni generali è facile scadere nell’ovvio, ma anche a questo livello può aiutare un paragone con ciò che è avvenuto nel corso del Novecento nel campo dello spettacolo, quando alla forma artistica di venerabile e collaudatissima tradizione, il teatro, si affiancò il nuovo medium tecnologico della televisione. Anche allora vi furono discussioni, battaglie, resistenze, anatemi e scomuniche; vi fu chi paventò la morte del teatro e più in generale la morte dell’arte. Ma l’arte e il teatro non sono morti, si sono trasformati (in meglio o in peggio, ciascuno può avere la propria opinione - o può sospendere il giudizio e assumere lo sviluppo storico come un dato). Così avverrà, sta già avvenendo, anche della didattica, con l’introduzione dei nuovi strumenti di e-learning. Del resto, a ben vedere, forme di educazione a distanza sono sempre state praticate, sin dal tempo in cui si è formata la nostra civiltà: che altro è stata la scrittura se non comunicazione a distanza? E la polemica antiletteraria di Socrate non è stata da subito assimilata come ammonimento a trasferire la presenza - il corpo - nella distanza che il testo interpone tra autore e lettore? In forme diverse, sempre nuove ogni volta che il progresso tecnologico compie i suoi balzi in avanti, si tratta pur sempre ancora oggi di fare quello che sempre è stato fatto: adattare e adeguare gli strumenti ai fini, e ogni volta ripensare i fini in relazione agli strumenti: nulla è mai stato, né mai sarà, mai come prima, l’eterno ritorno dell’identico è una posizione metafisica, non storica.

Perciò credo che la riflessione più urgente in questo momento non sia tanto quella che affronta il “che fare?” da un punto di vista integralistico (didattica a distanza sì o no?), bensì quella che si impegna a ridefinire obiettivi e contenuti, non per adattarli alle nuove tecnologie, ma per riaffermarli in forme nuove nelle mutate condizioni e tenendo conto, di volta in volta, dei nuovi vincoli.

Con un’avvertenza fondamentale, che proprio la modernità ci ha insegnato: ogni volta che, nella comunicazione, alla presenza si sostituisce la distanza, ogni volta che il corpo viene progressivamente virtualizzato, il rischio maggiore è quello di instaurare o incrementare un rapporto asimmetrico, di favorire il controllo, la concentrazione del potere ad un solo capo della relazione comunicativa. Questo si vede molto bene oggi che la rivoluzione digitale ha concentrato la proprietà dei mezzi di produzione dell’informazione nelle mani di pochi monopolisti globali. Introdurre rimedi, ostacoli, mitigazioni o vaccinazioni contro questa tendenza pervasiva è probabilmente il compito più urgente che si pone ora agli attori della comunicazione e della formazione. Il contenuto più importante di ogni comunicazione è sempre quello che preserva, o riscatta, la libertà della comunicazione e la libertà ha le sue basi fondamentali nella materialità del corpo e dei mezzi con cui la si esercita.

Una considerazione finale, che proviene direttamente dal vissuto di questi giorni. Quello che costituisce, penso, un’esperienza comune, in queste prime fasi dell’esperimento collettivo coatto cui stiamo partecipando, è il senso di carenza, sono i difetti di questa modalità didattica rispetto a quella cui siamo abituati. Da un lato questo mi pare un positivo antidoto contro il troppo facile entusiasmo degli amanti del nuovo e del cosiddetto “aggiornamento”, un ostacolo salutare di fronte ai possibili (e probabili) futuri tentativi di accelerazione che spingeranno alla sostituzione, piuttosto che all’integrazione, del nuovo nei confronti del vecchio. Ma dobbiamo tener conto che la nostra percezione è per ora immatura, che ancora siamo troppo condizionati dall’abitudine alle forme consuete. Dobbiamo ancora scoprire quale sia la specificità, la forma propria della nuova medialità didattica, che probabilmente richiede ripensamenti, ridefinizioni e riposizionamenti, e non soltanto la mera riproposizione in altra veste degli schemi consueti. Dopo l’invenzione di Gutenberg sono occorsi vari decenni per passare dalla forma del libro manoscritto a quella del volume a stampa; dopo l’avvento della televisione ci sono voluti anni prima che il nuovo mezzo giungesse a sviluppare il proprio linguaggio specifico. Anche l’e-learning dovrà percorrere un suo cammino nel sistema italiano dell’istruzione prima di giungere ad un’adeguata e autonoma definizione delle tecniche, delle procedure e degli obiettivi.

Questo processo richiederà del tempo, ma soprattutto una riflessione libera, attenta e consapevolmente vigile su quello che facciamo e su come lo facciamo. Per questo sono grato di quest’occasione di confronto.

 

30 marzo 2020

 

Andrea Tabarroni

Università di Udine