Alice Gardoncini - Prime volte

Voci degli studenti dal corso di «Editing e tecniche di redazione» di Udine

 

Il nove marzo duemilaventi doveva essere la mia prima volta in classe dall’altra parte della cattedra, la parte del “professore”. L’emozione è tanta, il trasferimento, i preparativi, la paura di non essere all’altezza. Come noto, le cose sono andate diversamente, e questa prima volta biografica è stata inglobata da una prima volta generalizzata, totalizzante, distopica: la prima volta dell’intera didattica italiana trasferita nell’arco di poche settimane in blocco on line, a distanza. L’università pubblica che improvvisamente si riversa su piattaforme private in mano a poche multinazionali. Si fa, la situazione è emergenziale, eccezionale, bisogna andare avanti.

Nel mio caso si tratta del corso di Editing e tecniche di redazione dell’Università di Udine, compreso nel nuovo curriculum «Lettere per l’editoria». A parte qualche lezione teorica, il corso è pensato come un laboratorio: gli studenti scrivono, leggono i lavori dei compagni, li correggono e ricorreggono un’infinità di volte. Inizialmente penso: poco male, l’editoria è un mondo in cui si lavora già molto, e da tempo, “a distanza”; lo testimoniano le ricchissime raccolte epistolari di editor, traduttori e redattori italiani del Novecento, le bozze in copia unica che tra un fermo posta e un piego libri viaggiano avanti e indietro sulle strade italiane ed europee, e, negli ultimi anni, le caselle mail di innumerevoli collaboratori e consulenti a partita iva che rendono possibile il lavoro editoriale.

Ma un corso universitario a distanza – per di più un laboratorio – è qualcosa di molto diverso. Una buona parte di ciò che sarebbe potuto succedere si perde completamente, senza appello. In particolare si perde tutta la ricchezza collaterale che viene dalle discussioni in classe, dalle decine di varianti proposte dai compagni, dalle riflessioni comuni; e soprattutto si perde la condivisione di uno spazio che è fisico, lavorativo e politico.

Nonostante tutto l’abbiamo fatto, gli studenti sembrano soddisfatti di questo corso surrogato. Qui di seguito tre di loro prendono la parola su ciò che è successo. Alyssa De Pisi redige un bilancio di questi mesi mettendo in luce la paradossalità del nuovo quotidiano; Marco Zilli dà voce – suo malgrado – alla moltitudine di personaggi che hanno infestato le nostre solitudini durante il lockdown; Sara Franceschinis lancia un messaggio di avvertimento alla sé stessa del passato per prepararla a ciò che avverrà. Tutti e tre soppesano in forme diverse vantaggi e svantaggi di questa prima volta, che si spera sia anche l’ultima. Per il prossimo anno occorrerebbe chiedersi, a mio parere, se valga la pena accontentarsi di un surrogato.

 

1.

Alyssa De Pisi

Che stress la comodità! Il doppio volto della didattica a distanza.

 

Non avrei mai pensato di dover passare quasi l’intero primo anno di università davanti ad uno schermo, comodamente seduta alla scrivania della mia camera.

Certo, è comodo non dover fare le corse nel weekend per preparare la valigia e saltare su un treno. È comodo potersi svegliare cinque minuti prima dell’inizio della lezione, magari senza neanche alzarsi dal letto: basta prendere il computer e, mentre la testa sprofonda ancora nel cuscino, appoggiarlo sulle ginocchia.

È comodo poter cambiare postazione anche tre o quattro volte al giorno: se sono stufa della scrivania vado sul divano; se c’è il sole mi metto in balcone, guardando di tanto in tanto il panorama e magari anche abbronzandomi le guance; se sono affamata e non riesco ad aspettare l’ora di cena, mi siedo al tavolo in cucina con i fogli degli appunti sparsi tra gli avanzi del mio aperitivo; se ho un’urgenza, la mia connessione può addirittura arrivare in bagno.

È comodo avere tutto a portata di mano e non dover rischiare di dimenticare qualcosa a casa. Così ho sempre quello che mi serve: libri, quaderni, penne e matite.

È comodo entrare in aula senza dover cercare un posto né troppo vicino, né troppo lontano rispetto al professore che spiega. Durante la lezione siamo tutti alla stessa distanza, separati dallo schermo e da chissà quanti chilometri. Nessuno vede come siamo vestiti o se siamo spettinati: possiamo rimanere in pigiama o indossare una camicia elegante, possiamo avere i capelli arruffati o appena piastrati, possiamo essere felici o tristi, ma rimaniamo tutti i giorni quell’icona anonima che di noi porta solo le iniziali.

Ci sono diversi vantaggi che la didattica online ha portato a noi giovani studenti. Quando si tratta di risparmiare tempo e fatica credo non dispiaccia a nessuno, specialmente alle persone più pigre e casalinghe. Inoltre, non possiamo che essere riconoscenti a chi ci permette di continuare il percorso universitario nonostante la situazione delicata in cui l’intero mondo si trova.

Ci sono però gli aspetti negativi.

È stressante dover stare per ore e ore davanti ad un computer: gli occhi si gonfiano e la testa inizia a pesare dopo appena un paio di lezioni.

Quando alzo lo sguardo dal mio blocco per gli appunti non vedo i compagni di corso con cui solitamente scambio un commento, una risata o una lamentela per il troppo lavoro da sbrigare. In camera sono sola, e non mi rimane altro da fare se non accendere un altro schermo per poter comunicare con qualcuno. Alterniamo cellulare e computer tutto il giorno e l’unico modo per avere un po’ di sollievo è uscire a prendere aria, per ricordare alle nostre pupille che esiste anche un mondo reale fuori dagli schermi.

È stressante non avere i compagni di corso con cui arrivare in ritardo e condividere una pausa: il caffè, l’aperitivo, una semplice passeggiata in corridoio. Stando da soli tutto il giorno il tempo sembra passare molto più lentamente e, verso sera, la coda dell’occhio va sempre a finire su quei maledetti quattro numerini in basso al desktop.

È stressante avere una connessione ballerina di cui non ci si può fidare. Salta sempre nei momenti peggiori: quando il professore spiega qualcosa di importante, quando devi consegnare un compito o quando si discute su cose introvabili anche nei manuali. Recuperare la lezione diventa difficile. Nessun compagno può spiegare a voce ciò che hai perso sfogliandoti davanti al naso i suoi appunti: audio Whatsapp di cinque minuti interminabili, foto disordinate e e-mail sono le risorse che abbiamo, ma non è la stessa cosa.

È stressante dover ascoltare le lezioni in cuffia, per provare a soffocare il brusio che c’è in casa: lo squillo del telefono, le macchine che passano per strada, la televisione o la musica di chi non sta studiando… Tutte cose che non fanno altro che distrarre la nostra attenzione.

È stressante dover comunicare tramite un microfono: si creano echi, intermittenze, fruscii; quando si ha bisogno di fare una domanda, può diventare davvero difficile.

È stressante gestire i lavori di gruppo. Non è come un semplice appuntamento alle quattro di pomeriggio in biblioteca, anzi. Si crea una chat sul telefonino e nei giorni che precedono l’incontro ci si scambia messaggi per mettersi d’accordo; il giorno stabilito ci si chiama con qualche applicazione e si inizia a lavorare, continuando ad aprire e chiudere mille file contemporaneamente. Dopo qualche ora i numeri diventano lettere e le lettere diventano numeri, tutti i file sembrano uguali e si è costretti a darsi un altro appuntamento per concludere il lavoro.

Questo virus ha davvero stravolto tutto quanto.

Io, essendo al primo anno, ho avuto solamente un primo semestre di assaggio di quella che è la vera vita universitaria.

Non ho nemmeno avuto il tempo di familiarizzare con la casa nuova, con le aule zeppe di studenti, con il silenzio della biblioteca, con gli sguardi strani e persi della gente in treno. Con tutte quelle cose, grandi e piccole, che questa situazione non mi permette di vivere.

Come dicevo, non avrei mai pensato dovesse andare così e, nonostante questa didattica a distanza mi permetta di continuare gli studi, spero di tornare presto a costruire “dal vivo” quelli che (come dicono) dovrebbero essere i nostri anni più belli.

 

2.

Marco Zilli

Once upon a time in quarantine

 

– Posso chiederti cosa stai facendo? – mi sussurrò Federico Garcia Lorca temendo di disturbarmi.

– Puoi evitare di bisbigliarmi nell’orecchio? Odio quando fai così – risposi seccato.

– Oh, numi, io cerco di interessarmi e lui mi maltratta come uno straccio schifoso – iniziò a lamentarsi, svegliando di soprassalto Rick, più ubriaco di quando si era coricato: – Cheeee succede? Dove diavolo sono?

– Sul mio letto e, tanto per cambiare, hai vomitato vicino alle scale – feci notare a quello scorbutico genio. Sì: Rick, tra le tante caratteristiche di rilievo, aveva una mente a dir poco brillante, ma un pessimo atteggiamento.

– Oh, scusa, ma potevi fare a meno di invitarmi.

– Io non ti ho invitato – sottolineai.

– Io nemmeno – si aggregò Lorca.

– L’ho invitato io, mi annoiavo – intervenne Walter White. Ci fu un istante di silenzio dove tutti guardammo Walter. Poi parlò Rick: – Dove cazzo è Morty?

– No, un momento, – sbottai – voi qui non dovreste stare! Nessuno vi ha invitato e poi tu, Walter… ti annoiavi? Cristo Dio, produci metanfetamine, sei ricercato dalla DEA e sei sempre più a un passo dal farti uccidere… e ti annoiavi?

– Qualcuno ha parlato di morte? – chiese Edgar, anche lui brillo e con fare malinconico. Alzai gli occhi al cielo, lo fecero tutti e in coro rispondemmo: – No, Poe, nessuno sta parlando di morte.

– Oh, peccato. Sapete, possiamo evitare l’argomento, ma tanto lo si affronterà prima o poi.

– Facciamo più poi che prima – disse con tono fortemente ironico Ricky Gervais.

– Ottimo, abbiamo anche il comico, perché non bastava il drammaturgo esageratamente drammatico, lo scienziato pazzo, lo spacciatore di metanfetamine…

– No, io non spaccio, io cucino e basta. – Mi corresse Walter.

– D’accordo, il… “produttore di metanfetamine”, meglio? – tutti fecero commenti di assenso, il termine senza dubbio piaceva: «produttore di metanfetamine». Sa proprio di persona seria e importante.

– Ok, il produttore di metanfetamine, – ripetei – lo scrittore maledetto e il comico dissacrante, non manca nessuno?

– Uhuhuh! Mancano i due liocorni. – aggiunse Ricky. Tutti risero, tranne io ed Edgar, ma lui non rideva mai. Uno scrittore fantastico, purtroppo pessimo compagno di merende.

– Molto divertente, – dissi sarcasticamente – se ora non vi dispiace, avrei del lavoro da fare.

– Cosa esattamente? – tornò a chiedere Lorca – Un’opera teatrale?

– Un racconto dell’orrore? – domandò Poe.

– Una ricetta migliorata per la metanfetamina? – voleva sapere Walter.

– Qualcuno sa dove è Morty? – chiese Rick.

A quel punto urlai dall’esasperazione. Tanti, troppi personaggi nella mia stanza. Mi distraevano. Si fossero dimostrati utili e collaborativi non sarebbe stato un problema, ma ognuno voleva dire e fare ciò che gli pareva.

– Sentite, ho apprezzato la vostra compagnia in passato, soprattutto in questo periodo, ma adesso sto cercando di scrivere un testo sulla mia quarantena, sulla cosiddetta didattica a distanza. Lo devo consegnare entro domenica e sinceramente voi non mi siete d’aiuto.

Ci furono sussurri e commenti indefiniti, uno tra tutti si distinse: – Mi sembra una boiata! – dall’armadio rotolò fuori BoJack e insieme a lui una dozzina di bottiglie vuote di alcolici.

– Salve, sono BoJack Horseman, la famosa celebrità. – si auto presentò BoJack.

– Sappiamo chi sei. – dissi seccato.

– Lo credo bene, sono famoso. E ripeto, penso che il tuo compitino sia una boiata. – Ricky Gervais rise, annuendo come per dire ha ragione.

– Oh, ecco il maestro di vita, ti prego insegnami a essere come te. – ribattei.

– Non te la prendere, è la verità. – si difese BoJack – Cosa mai dovresti scrivere? La mia quarantena è stata un’occasione per riscoprire me stesso: vedere quanto alcol riuscivo a reggere sapendo di non dover guidare e fare dormite così lunghe da far sembrare il sonno eterno un breve pisolino.

– Camerata! Se è stato dato un compito, bisogna E-SE-GUI-RE! – tuonò Benito Mussolini, entrando nella stanza impettito e accompagnato da, niente meno che Adolf… quell’Adolf. Volevo piangere, tanto, tanto, ma sarebbe stato inutile. Hitler si stava sbracciando e urlava parole in tedesco, probabilmente i soliti deliri da dittatore triste e incompreso.

– Lo sai, vero, che la Seconda Guerra Mondiale è colpa tua? – disse Saul Goodman riferendosi a Hitler, il quale ribatté nel suo solito tedesco arrabbiato, come se potesse esistere altra forma per parlarlo.

– Ehi, piano con le parole, – intervenne in difesa Mussolini.

– Calma, io non giudico mica – sorrise Saul – anzi, se decidete di diventare miei clienti, farò passare la vostra azione bellicosa per un piccolo errore in buona fede. Vi avverto, il mio compenso è di alto livello, ma lo sono anche le mie prestazioni. – rise. Quando si accorse che nessuno era coinvolto dalla battuta, si fece serio. Poi ricominciò il trambusto.

È colpa mia, pensai, non ho mai messo dei paletti e ognuno fa come gli pare. Inoltre mi riduco sempre all’ultimo minuto, potevo aver finito da un pezzo, invece no, ho dovuto dare retta all’accozzaglia dei personaggi che infestano camera mia. Portai le mani ai capelli, chiusi gli occhi e respirai profondamente, più volte. – Va tutto bene? – sentii dire. Allora di scatto spalancai le palpebre e mi ritrovai davanti Giuseppe Conte, sobbalzai all’indietro: – Signor Presidente, posso spiegare… – prima di poter dire alcunché, un’altra voce assai fastidiosa, si fece largo: – A me pare un assembramento bello e buono. Le chiese devono restare chiuse, il cuore immacolato di Maria ne risente; e qui invece fate come vi pare. – era Matteo Salvini.

– No! – tuonai – Ora basta, ho sopportato fin troppo! Vada per il cavallo nell’armadio, passi pure Adolf, ma il cuore immacolato proprio no. – Sentito il suo nome Hitler si fece largo e ricominciò a blaterare in tedesco; intervenni subito: – Falla finita! Nessuno ti capisce, nessuno. Il tedesco è inascoltabile e incomprensibile, fattene una ragione, nemmeno Mussolini può darmi torto. – Adolf si zittì, guardò Benito che abbassò lo sguardo; sembrava avesse capito. Allora prese i suoi baffetti e la sua divisa militare, si accucciò in un angolino, triste, a fissare il vuoto. Forse ero stato un po’ troppo duro.

– Sentite, – ripresi in tono quieto – ora ho da fare e davvero non posso starvi dietro. Giuro, fosse per me passerei almeno un’ora con ciascuno. Ma ragazzi, vi ho dedicato un sacco di tempo negli ultimi due mesi, lasciatemi un po’ d’aria. Poi ricominceremo. Va bene? – sembrava tornata la pace, nessuno protestò, neppure Salvini.

Ecco spuntare un sorriso sul mio volto, ero riuscito a riportare ordine. Mi sedetti alla scrivania, circondato dai miei ospiti, riavviai il computer, stavo per ricominciare a scrivere quando trapelò un rutto: – Quindi nessuno sa dov’è Morty? – Rick aveva rovinato il momento. Lorca cominciò a lamentarsi della vita; Walter osservava e chiedeva se c’era gente interessata a della meth; BoJack sembrava interessato; Hitler, Mussolini e Salvini sbraitavano (nulla di nuovo); Ricky Gervais stava provando a far ridere Edgar Allan Poe; Saul voleva convincermi a denunciare Netflix; Conte stava distribuendo delle autocertificazioni e, senza motivo, sbucarono fuori Ettore e Achille intenti a darsele di santa ragione…

Con incredibile autocontrollo presi i libri e i giornali sul mio letto ponendoli dentro un cassettone, anche il cellulare; spensi il televisore, staccai pure la spina, feci lo stesso con il modem; chiusi la finestra per non avere disturbi dall’esterno, uguale con la porta della camera. Respirai profondamente. Mi girai… la stanza era vuota. Libera. Mia. Ogni distrazione messa a tacere. Non mi restava altro che iniziare a scrivere, cosa poi? Cosa racconto? Cosa dico della quarantena?

D’improvviso la porta si aprì con un cigolio accompagnato da una voce tremolante: – Ѐ qui mio zio Rick? – era Morty. Per un lungo istante io fissai lui e lui fissò me.

 

3.

Sara Franceschinis

Cara Sara ti scrivo

 

Cara Sara del passato,

ti scrivo dal futuro. Precisamente dal maggio 2020: oggi le condizioni di vita sono radicalmente cambiate. Un giorno sei libero e spensierato, e il giorno dopo non è più così. Ti racconto un po’ quello che succederà, chissà che non ti possa aiutare. Mettiti comoda prima di leggere le mie parole perché ti sorprenderanno, di questo sono sicura. Non mi dilungo in ulteriori chiacchiere e ti racconto come andranno le cose.

Il 23 febbraio riceverai una mail dall’università, in cui ti comunicheranno che le lezioni sono sospese perché in Friuli, come in Italia e nel resto del mondo, si è propagato un nuovo virus chiamato Covid-19, molto contagioso e letale per chi è anziano o debole di salute.

Da quel giorno in avanti, tutto ciò che riguarda la vita universitaria cambierà radicalmente. Non si potrà più andare fisicamente in Università e saranno soppresse tutte le lezioni in presenza.

Per far fronte all’emergenza l’Università, con i suoi uffici, sarà molto efficiente e pronta nel decidere di utilizzare una piattaforma per svolgere le lezioni online, e tutti i professori vi aderiranno. Così sarà possibile cominciare subito con i nuovi programmi senza perdere troppo tempo. Naturalmente la nuova modalità porterà con sé vantaggi e svantaggi: da un lato, con la piattaforma riuscirai a concentrarti di più e a prendere molti più appunti. Io ti conosco, conosco la tua timidezza: con la didattica a distanza non sentirai più l’imbarazzo di parlare davanti a un professore, perché paradossalmente ti sembrerà un’azione del tutto naturale. Un altro vantaggio verrà dall’organizzazione degli insegnanti, che saranno pronti a spiegare il programma con diapositive molto minuziose e utili per capire al meglio gli argomenti trattati.

Dall’altro lato, però, ci saranno anche alcuni svantaggi dovuti principalmente alla mancata interazione tra compagni e alla difficoltà a reperire i libri di testo perché anche le biblioteche, considerate luoghi di assembramento, resteranno chiuse fino a data da destinarsi.

La situazione ti sembrerà drastica ma sappi che alla fine, in qualche modo, ne usciremo, con l’impegno di tutti.

Oggi è il 21 maggio e le lezioni stanno finendo per lasciare spazio ai temibili esami. La nuova metodologia didattica non è assolutamente paragonabile a quella frontale, ma è stata un’ottima soluzione per il problema della pandemia. In questi giorni sono riuscita ad apprendere tutto ciò che gli insegnanti ci stavano trasmettendo con passione, ma è venuta a mancare la possibilità di interagire con i compagni.

Ho voluto scriverti questa lettera per prepararti al meglio, perché tu non abbia timore dei cambiamenti che ti attendono. Ciò che ti ho scritto sembra assurdo, ma lo vivrete davvero e, come tutte le cose, prima o poi passerà. Tu riuscirai a reagire, come hai sempre fatto. Ti consiglio caldamente di non dare nulla per scontato, una passeggiata o un confronto con qualche compagna di corso, perché molte di queste cose non saranno più possibili. Dai valore a ciò che ora ti sembra banale ma che, con il tempo, si rivelerà un dono prezioso offerto dalla vita. Confido che, conoscendo ora i fatti, tu possa combattere questa battaglia meglio di quanto ho fatto io.

Un bacio.

La tua Sara del futuro

 

4 giugno 2020