Flavia Vetere
Una storia d’amore. Lettera a mia figlia transgender (2022) ci regala uno spaccato reale dell’odierna società statunitense. L’autrice, Carolyn Hays, decide di nascondersi dietro uno pseudonimo per salvaguardare la privacy della propria famiglia, protagonista del libro.
Il volume racconta il percorso verso la comprensione dell’identità transgender di uno dei figli di Hays che, sin da quando ha iniziato a parlare, si è sempre presentato e identificato come una bambina.
Carolyn Hays si fa portavoce di migliaia di madri che si ritrovano nella sua stessa situazione, rendendo il libro un decalogo di esperienze personali dalla portata universale.
Il perno di Una storia d’amore. Lettera a mia figlia transgender è l’amore con cui l’autrice scrive questo volume, dedicandolo alla figlia e rendendolo una tacita lista di consigli e avvertimenti sul mondo che la aspetta.
“Tu esisti in un corpo giusto, eppure c’è gente che pensa di poterne parlare a vanvera, di poterti rivolgere domande intime. Dato che il corpo transgender è parte dei discorsi pubblici, c’è chi crederà che il tuo corpo appartenga al pubblico. [...] Lo svaluteranno. Cercheranno di disumanizzarlo. Di sessualizzarlo. Interpreteranno male il tuo diritto umano fondamentale di essere vista per quello che sei. […] Si crederanno arbitri del fatto che la tua esistenza sia reale o meno. Saranno capaci di atti terribili.” (Hays, 2022:51)
La narrazione può essere divisa in un prima e dopo, al cui centro si ritrova l’evento che sconvolge profondamente la vita dell’autrice e della sua famiglia: in un pomeriggio come tanti un uomo dei servizi sociali si presenta alla loro porta. L’uomo è stato inviato, in seguito a una telefonata anonima, per verificare le loro capacità genitoriali e capire il perché un bambino si proclami femmina. Ciò distrugge completamente la serenità della famiglia, che percepisce il pericolo di vedersi portar via un loro membro.
Carolyn Hays racconta questo evento con sincerità, mettendo nero su bianco tutti i dubbi e le paure provate durante questo periodo di indagini, il cui responso permette alla bambina di restare coi suoi genitori. Da questo momento, però, tutto cambia. La famiglia si trasferisce dal sud al nord degli Stati Uniti alla ricerca di uno spazio più sicuro in cui vivere, guidata dal terrore di poter essere – ancora una volta – bersaglio del bigottismo dilagante.
L’evento turba profondamente l’autrice che sente violata non solo la sua intimità e libertà ma anche e soprattutto quella della figlia, la cui colpa è quella di rappresentare qualcosa al di fuori di quella che viene considerata la normalità.
Carolyn Hays, infatti, sottolinea come la figura maschile sia da sempre vista come detentrice di potere e, di conseguenza, il rifiuto che la figlia fa della sua identità maschile sembra quasi un affronto alla società stessa:
“Ogni volta che ti parlavo dell'essere maschio, rifiutavi. Semplice per te, ma per la nostra cultura era una scelta radicale. Era sempre più evidente – all'inizio solo in modo intuitivo, poco definito, una serie di schizzi, acquerelli senza margini che tu fossi pericolosa. Certo, tu non stavi facendo altro che esistere, ma immagino che stesse succedendo qualcosa d'altro: rifiutando la possibilità di essere un bambino, e perciò un uomo, hai respinto Il patriarcato. E come vedersi offrire un banchetto di potere che non ha mai fine, un buffet all-you-can-eat di privilegi e rispondere beatamente: «No, grazie». Forse hai storto il naso di fronte al grande dono del potere, dichiarando di voler essere una bambina, hai rifiutato le cose cui la nostra cultura dà il valore maggiore: l'essere un uomo, la virilità, il coraggio, la forza, il dominio. Come hai osato?” (Hays, 2022, 167-168)
Una storia d’amore. Lettera a mia figlia transgender riesce a delineare perfettamente la contraddizione insita alla società nei confronti delle persone transgender, viste come invisibili ma allo stesso tempo impossibili da non vedere, additate come immorali dallo sguardo di chi è sempre pronto a notarle ed etichettarle.
Eppure le persone transgender sono sempre esistite. Nel libro, Carolyn Hays affianca la storia autobiografica della sua famiglia a cenni storico-culturali in cui sottolinea come le persone transgender siano state presenti nelle altre varie culture, dall’antichità alla modernità, evidenziando come il cambiamento sia parte integrante della società, oltre che della nostra vita quotidiana.
È proprio in balia del cambiamento che l’autrice scrive questo libro. Per farlo, ha messo in gioco tutto ciò che credeva di sapere sul mondo, con/per amore, dando a sua figlia l’unica cosa che, in un mare di dubbi e incertezze personali, in lei non è mai vacillato: il suo più totale supporto.
La contrapposizione che si viene a creare tra l’interno (la famiglia, in cui il cambiamento viene compreso e accolto) e l’esterno (la società, dove il cambiamento spaventa e confonde) porta, da una parte, alla creazione di un posto sicuro e, dall’altra, a rendere concreto un mondo pieno di pericoli tangibili e fisici ma anche mentali ed emotivi:
“La gente penserà di poter discutere apertamente del tuo corpo. Non esiste. Questo è un atto di oggettificazione, anche quando viene mascherato da progressismo”. (Hays, 2022: 233)
La storia di Hays si configura così come un libro a metà tra un saggio e un romanzo di denuncia, una testimonianza che mette in guardia dal mondo esterno ma che resta, innanzitutto, una lettera a una figlia:
"Sarò schietta con te e ti dirò la verità. Il corpo di una donna non è considerato suo, non come lo è quello di un uomo. Né quello di un nero rispetto a quello di un bianco. Un corpo disabile rispetto a uno sano, grasso in confronto a uno più magro. E il corpo di un trans decisamente non è considerato suo. Invece il tuo corpo appartiene a te". (Hays, 2022:320)
L’autrice utilizza la sua esperienza come trampolino di lancio per un’alfabetizzazione all’amore e alla comprensione, mostrando quali siano stati i passi che la sua famiglia ha compiuto nel percorso per l’accettazione dell’identità della figlia, combattendo le proprie paure e, a volte, i suoi pregiudizi, informandosi sull’argomento.
L'informazione, però, è un’arma a doppio taglio e, se da un lato contribuisce a placare le paure della madre, dall’altro le dà nuove angosce, soprattutto quando si imbatte nei dati statistici sui decessi (soprattutto suicidi) e sui tentati suicidi delle persone transgender. Quel numero continuerà a tormentare la madre, ricordandole la fragilità delle persone transgender e, di conseguenza, quella della figlia:
“All’epoca, secondo i dati raccolti, il 46% dei trans provavano a togliersi la vita. Per la popolazione generale, il tasso è inferiore al 2%. L’ho tenuta d’occhio negli anni. L’ho vista variare tra il 41% e il 47% e [...] l’ho vista schizzare al 51% per ragazzi e uomini trans.” (Hays, 2022:61)
Come per tirare le fila della storia, nelle ultime pagine, Carolyn Hays amplia la risonanza della sua esperienza, immettendola in un contesto più generale, sottolineando come, per alcuni genitori, il percorso verso l’accettazione dell’identità transessuale del/la proprio/a figlio/a spesso resta bloccato in un punto senza fare progressi. Hays tratteggia una critica implicita alla nostra società i cui dettami rendono particolarmente difficile l’accettazione della diversità, persino quando è così vicina, quando a prendere il sopravvento dovrebbe essere l’amore e non la paura o la vergogna.
L’amore che trasuda da ogni parola che l’autrice rivolge alla figlia permea il romanzo e viene visto come il perno attorno a cui tutto deve muoversi, perché, in una società gretta e meschina, amare e amarsi è sempre un atto di ribellione, così come mostrarsi al mondo nell’identità che sentiamo essere nostra.
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