Martina Belcecchi
Recentemente, la figura di Joker, il celebre antagonista di Batman, ha scosso il panorama cinematografico mondiale con l’uscita dell’omonimo film di Todd Phillips. Dopo la profonda ed inimitabile interpretazione del personaggio con la faccia da clown di Heath Ledger in The Dark Knight (Nolan, 2008), Joaquin Phoenix si cimenta in questo ruolo facendolo proprio. Molto probabilmente, per la prima volta nella storia di questa figura ambigua e controversa creata dalla DC Comics nel 1940, Joker assume la posizione privilegiata di protagonista indiscusso della pellicola, già a partire dal titolo, abbandonando il rapporto contraddittorio di rispetto e odio che ha sempre contraddistinto la relazione tra il Cavaliere oscuro e il Clown. Nonostante Heath Ledger avesse “rubato” la scena all’Uomo Pipistrello nella pellicola di Christopher Nolan con i suoi agghiaccianti siparietti, anche nelle graphic novel le origini del Joker non sono mai state definite in maniera dettagliata e questo personaggio ha acquisito fascino e carisma esattamente per la schizofrenia con cui racconta la storia delle proprie cicatrici. Difatti, nel secondo capitolo della trilogia di Nolan l’antagonista narra come si è procurato le ferite che trasformano la sua faccia in un immutato sorriso, cambiando versione ogni volta. Nel film di Todd Phillips, le cicatrici sono totalmente assenti, eppure il regista intende consacrare le origini di Joker, malgrado questa manovra sembri affievolire l’alone di mistero e malvagità che aleggiano attorno al personaggio.
Sebbene il contenuto della pellicola di Todd Phillips non abbia nulla a che vedere con i fumetti e la famiglia Wayne appaia come un pretesto per generare la storia e funga da trigger per scatenare la follia del protagonista, il film rimane un prodotto cinematografico dal montaggio, musiche e colori artisticamente valido. L’interpretazione di Joaquin Phoenix è sublime, non solo per il lavoro compiuto sulla risata, che si manifesta come un attacco isterico che sembra soffocarlo, ma anche per l’espressività che fa comprendere allo spettatore il momento esatto in cui i pensieri di Joker diventano criminali.
Abbandonando la nota identità di Jack Napier, il protagonista assume quella di Arthur Fleck: il personaggio non è mai apparso sotto questo nome se non nella presente pellicola, come se si volesse sancire una nuova storia di Joker. Arthur, insoddisfatto tra un lavoro squallido, le ristrettezze economiche e i suoi problemi mentali, conduce una vita inconcludente e monotona. Gotham City, come sempre, sta vivendo un momento di crisi che viene descritto in voice over dai notiziari che fungono da voce narrante: in un primo momento, il motivo dei disordini sembrerebbe essere il Pifferaio (un altro nemico che sarà affrontato da Batman), ma questo passerà in secondo piano quando le rivolte e le proteste saranno causate dalla follia del protagonista. La città di Gotham, che ha subito una serie di trasformazioni come i personaggi che la popolano e che nelle pellicole precedenti aveva assunto toni gotici, nel film è grigia ma non eccessivamente buia, difatti molte scene di violenza sono diurne o avvengono in uno stato di alternanza luce/ombra. Il paesaggio esercita una forte influenza sul protagonista e partecipa attivamente alla sua metamorfosi: i suoni metallici, i rumori del traffico e della metropolitana, le voci e i jingles televisivi sono tutte componenti auditive che arricchiscono una colonna sonora che stimola la tensione nello spettatore e lo tiene incollato alla poltrona.
Sebbene la componente televisiva e la presenza del talk show di Murray Franklin (Robert De Niro) che permetterà al Joker di emergere siano una costante nella pellicola, l’influenza mediatica nel senso odierno del termine è totalmente assente: non esistono smartphone né social network; l’unico influencer (in senso stretto) è Joker che, con un’apparizione in televisione, scatena il caos e le proteste diffondendo il proprio messaggio di insoddisfazione sociale.
Il film di Phillips riprende la tendenza che Alan Moore aveva dato al personaggio in The Killing Joke (1988, DC Comics): sebbene il fumettista avesse privato Joker dell’instabilità mentale (componente fondamentale in questa pellicola), al tempo stesso ne umanizzava la figura. Nel film, invece, la condizione psichica di Arthur innesca una serie di pensieri che lo conducono alla genesi del personaggio della Nona Arte: se in un primo momento la follia del protagonista sembra ereditaria perché anche sua madre, Penny Fleck (Frances Conroy), aveva comportamenti schizofrenici, successivamente lo spettatore scopre che non solo Arthur non è figlio di Thomas Wayne come la madre sosteneva, ma è stato adottato dalla donna che gli provocherà una serie di abusi e di traumi psico-fisici che lo porteranno alla sua condizione attuale, annullando l’ipotesi dell’ereditarietà. In effetti, determinare che la psicosi di Arthur faccia nascere Joker risulta come un’umanizzazione del personaggio, per questo sembra sottrargli valore piuttosto che apportarne. Se a questa normalizzazione della schizofrenia si aggiunge che il disturbo di cui soffre Arthur, causato dai traumi subiti e che gli provoca attacchi di ilarità incontrollata nei momenti meno opportuni, si tratta di una patologia nota come «sindrome pseudobulbare», la trasformazione in Joker non solo diventa inevitabile, ma viene posta su un piano umano, mortale. Invece, in The Killing Joke, Jack Napier, fuggendo da Batman, viene sfregiato in volto dall’acido e ne esce pressoché indenne.
Esattamente come negli altri film, anche in Joker il protagonista gioisce del proprio caos: in un primo momento Arthur non sembra esultare del successo che il tumulto creato ha ottenuto; successivamente, è entusiasta per aver avuto finalmente un ruolo, per essere riuscito ad avere una parte nel rendere gli altri felici e liberi di essere loro stessi. Questa missione di far emergere la felicità altrui deriva da un bisogno che Penny ha inculcato al figlio: nonostante si rivolgesse a lui chiamandolo Happy e lo alimentasse della speranza che Thomas Wayne li avrebbe aiutati, non è riuscita a far sì che il figlio fosse felice, anzi lei è stata la causa principale della sua infelicità e morirà per mano della rabbia e della frustrazione che il figlio prova guardandola.
La rabbia e l’impotenza nei confronti di una società menefreghista alimentano il rancore del protagonista, che sfocia in azioni violente. In The Dark Knight, raramente Joker impugna una pistola o uccide qualcuno. Piuttosto, quelle che compie sono minacce e azioni consequenziali, mentre qualcun altro esegue le azioni criminali al suo posto. In Joker invece Arthur uccide, spara e lotta, si mette in gioco in prima persona per poter diffondere a macchia d’olio la spinta caotica dei propri messaggi.
Concludendo, il confronto tra i Joker più recenti ha purtroppo escluso quello dalle sfumature più psicopatiche: Jack Nicholson ha interpretato la nemesi di Batman nell’omonimo film di Tim Burton (1989), inaugurando la psicosi di questo personaggio. Sebbene Joaquin Phoenix abbia sostenuto un’interpretazione eccellente e nell’aria si senta già l’odore di statuetta dorata, il Joker più profondo, sporco, controverso ed enigmatico rimane quello di Heath Ledger, la cui prematura scomparsa ha sicuramente contribuito ad innalzare il livello di competitività nell’interpretazione di Joker. Dopo tanti sforzi per rendere il clown protagonista e portarlo sul grande schermo, sarebbe avvincente se qualcuno ci trascinasse anche un altro acerrimo nemico di Batman, come l’Enigmista, che ha già avuto un ruolo rilevante nella serie televisiva Gotham.
Joker, diretto da Todd Phillips, 2019, Warner Bros. Pictures
The Dark Knight, diretto da Christopher Nolan, 2008, Warner Bros. Pictures
Batman, diretto da Tim Burton, Warner Bros.
The Killing Joke, Alan Moore, 1988, Burbank: DC Comics
Foto 1 virginradio.it (data di ultima consultazione 30/08/2021)
Foto 2 frammentirivista.it (data di ultima consultazione 30/08/2021)