Eleonora Muru
Esiste una connessione tra il successo e la depressione?
Questa è la domanda che ha tormentato Teofrasto, uno studente di Aristotele, più di 2.300
anni fa. E ancora oggi, nonostante l’aumento progressivo delle vittime di questa malattia nel
mondo dello spettacolo, gli studiosi non sono riusciti a trovare una risposta unanime. Il
solare e amabile Robin Williams è stata una delle ultime celebrità colpite nel modo più
inaspettato da questo parassita silenzioso.
Nato il 21 Luglio 1951, l’attore statunitense è stato ritrovato incosciente all’età di 63 anni sul
pavimento della sua casa a Tiburon, in California. La notizia ha sconvolto tutto il mondo in
quanto è stata in grado di portare alla luce una realtà di cui pochi erano – e sono – a
conoscenza: la depressione non si manifesta solo con un’espressione triste o altri segni
chiari alla luce del sole; a volte si nasconde anche dietro alla maschera sorridente di un
divo di Hollywood.
Nato a Chicago e figlio di una famiglia benestante – il padre dirigente della Ford, la madre ex
modella – Robin Williams si avvicina al mondo della recitazione durante gli anni del college.
La passione per questa disciplina è così travolgente che Williams decide di abbandonare
gli studi tradizionali per iscriversi alla Juilliard School, prestigiosa scuola d'arte
drammatica di New York, dove emerge per la prima volta quella mimica che poco dopo lo
avrebbe reso noto al grande pubblico. Pochi anni più tardi, infatti, esordisce nel mondo dello
spettacolo nei panni di Mork, personaggio della serie Mork&Mindy, uno spin-off di Happy
Days.
Durante i primi anni di celebrità, il mondo dello spettacolo spinge Williams a cambiare in
modo radicale le sue abitudini e lo introduce a uno stile di vita più attraente e agiato - ma
anche più pericoloso. Robin Williams inizia infatti a trascorrere serate al limite
dell’eccesso con l’amico e collega John Belushi, che nel 1982 perde la vita a causa di
un'overdose di eroina e cocaina. Williams rimane profondamente scosso dall'accaduto e
così decide di smettere di assumere sostanze stupefacenti, rimanendo distante dalle droghe
per ben vent'anni attraverso l’aiuto di un percorso di riabilitazione.
Nel 2006, però, l’attore ammette ai microfoni di ABS Good Morning America di essere
ricaduto nei suoi problemi di dipendenza. Poco dopo, Robin Williams inizia a riconoscere
anche i suoi problemi di depressione che, uniti a quelli della dipendenza, hanno generato
in lui pensieri suicidari fin dal 2010.
Durante un'intervista rilasciata a Marc Maron, l’attore aveva ammesso di aver pensato al
suicidio mentre era seduto da solo in una stanza d'albergo con una bottiglia di Jack Daniels
tra le mani.
"Il mio cervello ancora consapevole disse al mio cervello ubriaco di mettere il suicidio
in discussione fino a quando non fossi stato sobrio, ricordandomi "in fondo hai una
bella vita ora."
Sempre nel 2010, in un'intervista al Guardian, l’attore aveva spiegato anche che il suo
ritorno all'alcol era avvenuto a causa di paure e ansie. Williams combattè per altri quattro
anni con i suoi demoni interiori, per poi perdere ogni speranza l’11 Agosto del 2014, quando
venne ritrovato morto per asfissia dovuta all’impiccagione – un altro modo per definire il
suicidio. Una morte scomoda, spesso considerata una vergogna da parte della società. I
suicidi, infatti, nel passato venivano seppelliti negli incroci e angoli delle città proprio perché
la loro morte non veniva considerata degna, come fosse un insulto a quel meraviglioso
regalo che è la vita.
Spesso il suicidio viene interpretato come un gesto tanto estremo quanto egoista, le cui
motivazioni – da chi non ha mai sofferto questo dolore, ben lontano dalla semplice tristezza
– non vengono comprese.
In base alla definizione del manuale MSD (edito da Merck Sharp & Dohme, una delle più
grandi aziende farmaceutiche a livello mondiale) la depressione è “una sensazione di
tristezza così intensa da compromettere le normali attività di una persona e/o il suo interesse
o piacere per le attività”. Può essere dovuta a una perdita affettiva o a un altro evento
drammatico ma si tratta di una reazione eccessiva rispetto all’evento scatenante, che dura
più tempo del normale.
La depressione è dunque una malattia invalidante tanto quanto una malattia fisica, poiché
chi vive in uno stato di depressione patologica non è più in grado di svolgere le più
semplici attività quotidiane, come quelle che riguardano la cura della propria igiene o
quella della casa. Le intense sensazioni di colpevolezza e di auto-denigrazione, inoltre,
impediscono ai soggetti depressi di riuscire a concentrarsi su qualsiasi attività, determinando
dunque una situazione di stallo, in cui le funzioni cognitive si deteriorano. Gli individui che
soffrono di questa malattia, perciò, possono manifestare il cosiddetto fenomeno del
bradipsichismo, ovvero un rallentamento delle funzioni psichiche, di quelle
ideative-cognitive, di quelle decisionali e, infine, di quelle relazionali.
Questo progressivo peggioramento dell’intero specchio delle capacità psichiche causa un
radicale cambiamento delle sostanze chimiche presenti all’interno del cervello del soggetto:
la serotonina, molecola della felicità, sparisce, e l’individuo è chimicamente incapace di
provare gioia nei confronti di qualsiasi cosa, anche di ciò che potrebbe sembrare
soddisfacente come il successo.
La strana connessione tra successo e depressione è stata studiata molto poco finora, ma
i risultati ottenuti non sembrano aver identificato la depressione come un effetto collaterale
del successo. Tuttavia, ci sono alcuni comportamenti associati alla depressione che
effettivamente possono favorire il successo.
Ulrich Hegerl, Presidente della Fondazione tedesca per l’aiuto alla depressione, ha infatti
dichiarato che “la depressione, come ogni altra malattia grave, porta alla differenziazione
interiore, a una più profonda riflessione sulle nostre vite, e questo è un prerequisito per la
creazione artistica“. Inoltre, la sensazione di non essere abbastanza bravi ispira alcune
persone a fare più di altri. Michael Deutschle, psichiatra dell’Istituto centrale per la salute
mentale tedesco, ha aggiunto: “Il comportamento ossessivo e i disturbi d’ansia possono
portare a uno sforzo particolare, ma queste stesse componenti possono anche portare alla
depressione”.
Lo studio sul legame tra creatività e depressione, invece, ha trovato dei risultati più
interessanti. Nel 2009 è infatti arrivata la prova scientifica di un’effettiva correlazione tra
creatività artistica e patologie mentali, grazie a uno studio condotto dallo psichiatra
ungherese Szabolcs Kèri presso la Semmelweis University di Budapest. La ricerca si è
incentrata su un’indagine genetica riguardante un gene associato alla malattia mentale, in
grado, allo stesso tempo, di incoraggiare anche la creatività.
Il gene in comune tra queste due tendenze comportamentali così differenti è chiamato
neurotropina 1 (neuregulin 1) ed è disponibile anche nelle varianti C e T. Quando un
soggetto presenta la variante T su entrambe le copie cromosomiche, è più probabile che
possa rivelarsi suscettibile alla malattia mentale. Allo stesso modo, come dimostrato dallo
studio, chi possiede le variante T in entrambe le coppie cromosomiche invece che una sola,
riesce a rispondere alle domande con delle soluzioni molto più creative rispetto a chi lo
possiede solamente all’interno di una delle due coppie cromosomiche.
In base ai risultati dello studio sopracitato, non dovrebbe sorprendere il numero di artisti che
hanno apertamente dichiarato di soffrire di disturbi depressivi. Naturalmente questa malattia
è presente anche tra le persone che conducono vite lontane dai riflettori e in questo caso le
cause più comuni della depressione e dell’ansia sono il ritmo quotidiano, lo stress lavorativo,
i problemi amorosi e quelli legati alla famiglia. Ma nella vita sfavillante delle star della
televisione, del cinema e della musica cosa potrebbe esserci di così triste?
La risposta è tanto semplice quanto insolita: il successo. La pressione che deriva dalla
consapevolezza di dover vivere costantemente sotto i riflettori diventa un peso difficile da
reggere, così come l’ansia di lavorare costantemente in modo da non perdere il successo
guadagnato.
Sono questi i due elementi che trascinano gli artisti in un tunnel stretto, oscuro e opprimente.
Alcuni di loro lo hanno tenuto nascosto fino alla fine – come Kurt Cobain (che però ha
lasciato una famosa lettera che lo spiegava nel dettaglio), Chester Bennington e Robin
Williams, per l’appunto – ma altri hanno avuto il coraggio di parlarne: Halsey e Justin
Bieber ne hanno parlato principalmente attraverso la loro musica e dei post sui social,
mentre gli attori Chris Wood, Jim Carrey, Angelina Jolie e Kristen Bell hanno arricchito il
dibattito sulla questione anche attraverso una serie di interviste. Tutti loro hanno dimostrato
al mondo intero che anche le star di maggiore successo hanno momenti di grande sconforto
esattamente come le persone comuni.
La presa di parola da parte di queste star è fondamentale per l’aumento della
sensibilizzazione sul tema della depressione. La loro testimonianza è infatti in grado di
renderli più “umani”, in quanto presenta lo sconforto e il senso di vuoto come dei
sentimenti condivisi che possono potenzialmente interessare qualunque individuo,
sia esso un comune cittadino con il classico lavoro d'ufficio, un disoccupato oppure un divo
di Hollywood impegnato nelle sue tournée mondiali.
Perciò, come dimostrano le storie di tantissimi personaggi del mondo dello spettacolo, la
depressione può germogliare anche in una villa con la piscina in compagnia della propria
famiglia o in mezzo a una folla di fan devoti. Ciò avviene perché si tratta di una malattia
mentale in cui la razionalità viene meno, l’individuo non ha alcun controllo sulla direzione
dei propri pensieri e finisce in un limbo di disperazione, insoddisfazione, solitudine e
tristezza.
Infine, avere la possibilità di conoscere la malattia attraverso le parole di chi ci ha convissuto
(o ci convive, con l’aiuto di terapie psicoterapeutiche e/o farmacologiche) è cruciale anche
per un altro motivo: poiché rassicura sull’esistenza di una via d’uscita. Le testimonianze
sono barlumi di speranza e fonti di conoscenza diretta di cui le persone comuni hanno
bisogno, siano essere estranee al dolore in questione o sfortunatamente compagni delle star
che ne diventano i portavoce.
Da questo punto di vista, l’esperienza delle star può fare una vera e propria differenza, in
quanto, citando le parole dell’attore Jim Carrey, è possibile capire che la depressione non è
una condizione eterna e immutabile, ma funziona “come la pioggia”: a volte può
ripresentarsi e bagnarci, ma con il tempo le si può impedire di sommergerci. L’importante è
non dimenticare di portare con sé uno degli ombrelli: le terapie e l’affetto dei cari.