Chiara de Bari
Nel diciassettesimo secolo, Charles Perrault, scrittore francese e autore del celebre libro I racconti di mamma oca (1697), modificò, proprio all’interno di questa raccolta, i personaggi, le ambientazioni e le trame originali dei racconti popolari tradizionali qui collezionati, facendo sì che questi (soprattutto quelli femminili) si allineassero alla morale del tempo, con insegnamenti che, per quanto crudi, smorzavano i toni delle storie originali.
Questo processo però ha lasciato in eredità modelli femminili che divennero già ai tempi di Perrault un invito a mostrare riserbo e pazienza, per nascondere le proprie pulsioni istintive sotto conversazioni educate, parole garbate, comportamento corretto e vestiti eleganti. Così facendo, questi personaggi femminili sono diventati lo specchio del ruolo effettivamente assegnato storicamente e culturalmente dalle donne (Zipes, 2006:29-57)
Gli esempi perfetti di questo modello femminile sono riprodotti nelle storie di Biancaneve, La Bella Addormentata, Cappuccetto Rosso, Barbablù, Le fate, Cenerentola.
In generale, le favole tradizionali mostrano delle eroine con caratteristiche ricorrenti necessarie per accentuare il loro ruolo di angeli del focolare e future spose: vengono descritte come donne bellissime che portano abiti eleganti, con un corpo minuto, grandi occhi blu, un piccolo nasino e degli impeccabili boccoli biondi.
Questa enfasi sulla bellezza fisica (nei classici canoni del patriarcato) è stata interpretata più volte soprattutto nell'analisi contemporanea come un modo con cui la società controlla le ragazze e le donne o per lo meno le relega a un ruolo stigmatizzato e fortemente maschilista. Allo stesso modo, anche i film della Disney sono stati spesso tacciati di riprendere quelle favole e implicitamente enfatizzare e promuovere un modello femminile con standard di perfezione, sicuramente poco femministi, che nessuna bambina o ragazza potrebbe o dovrebbe raggiungere facilmente. Persino il carattere dei personaggi riflette e rinforza la loro impotenza, la quale conduce a limitare la libertà personale delle donne (Kochiyama, 2013: 1-7).
Nelle favole popolari, esiste una dicotomia che illustra come i personaggi di bell’aspetto siano sempre buoni, mentre quelli dall’aspetto sgradevole siano sempre personaggi malvagi, gelosi della bellezza delle eroine e, per questa ragione, provano a ferirle o ucciderle.
Contrariamente alle eroine, alle quali non è richiesto di dimostrare alcuna caratteristica particolare che non sia la bellezza, alle donne che ricoprono ruoli da antagonista sono permesse alcune qualità tradizionalmente associate agli uomini, quali l’ambizione, l’intelligenza e l’aggressività. Queste caratteristiche sono viste come segni negativi se incarnate da personaggi femminili, come streghe o matrigne, mentre sono denotate come positive se incarnate da personaggi maschili. Di conseguenza, il fato di queste donne è quello di diventare cattive, vecchie, infelici e di essere temute dagli altri (Reba, 2015:1-25). Questa idea conduce a una rottura con la concezione tradizionale della donna come vittima, portando a esplorare la loro gelosia e la perpetuazione dell’aggressività diretta e indiretta (Stevens et al., 2012:290-303).
Nella favola Cenerentola, gli unici attori indipendenti sono i personaggi malvagi, in particolare la matrigna, la quale antagonizza la protagonista per promuovere il benessere e l’avanzamento sociale delle figlie. Questo comportamento termina con un’orribile punizione che dovrebbe scoraggiare il pubblico dal perseverare qualsiasi atteggiamento di auto-promozione e ambizione. Questi personaggi sono demonizzati ed etichettati come “streghe gelose” in modo da evitare che i bambini possano provare empatia con loro. La stessa cosa accade nella favola Biancaneve con la sua matrigna (Reba, 2015:1-25).
In nessuna favola esiste un rapporto femminile solidale, mentre è evidente la mancanza di figure femminili positive con le quali le eroine abbiano possibilità di trovare amicizia, supporto o qualsiasi tipo di relazione sana dopo la morte delle loro madri biologiche.
Nel caso di Cenerentola, persino le sorellastre sono in competizione tra loro perché sono consapevoli del fatto che solo una delle due può avere la possibilità di sposare il principe. Quindi, l’unica ragione per cui collaborano è per contrastare l’eroina (Reba, 2015:1-25).
Questa rivalità viene spiegata dal fatto che, nelle favole, le donne sembrano essere in grado di avere relazioni significative solamente con i loro figli o con gli uomini, fatto che obbliga dunque le donne a perseguire il matrimonio e la procreazione, sottintendendo l’idea che le altre donne siano nemiche naturali. Inoltre, quando le proprie abilità, successi o averi risultano minori rispetto a quelli altrui, l’autostima e il proprio valore vengono minacciati, scatenando l'invidia.
L’invidia può verificarsi tramite la comparazione sociale, in grado di esercitare una forte influenza sulla comprensione del sé in quanto gran parte della propria fiducia deriva proprio da questo confronto con gli altri. Queste donne, che frequentemente basano la percezione di se stesse paragonando la propria attrattività fisica con quella altrui, tendono a essere più aggressive. Per questo, quando un’avversaria viene considerata come più desiderabile diventa una minaccia significativa (Stevens et al., 2012:290-303).
In Cenerentola e Biancaneve il ruolo dei padri biologici e degli uomini in generale tende a essere periferico e la rivalità tra donne per ottenere l’amore e l’ammirazione del potenziale marito e del padre diventa evidente. Tuttavia, anche l’aver ottenuto un partner non significa necessariamente la fine della competizione intrasessuale. Infatti, le donne che percepiscono altre donne come minacce significative per le loro relazioni tendono a continuare ad agire in accordo con queste strategie di competizione.
La gelosia della regina di Biancaneve, ad esempio, è menzionata più volte nella storia: il suo unico desiderio è quello di eliminare le sue concorrenti più giovani. Una spiegazione per questo atteggiamento potrebbe essere che la valutazione del fascino fisico, nelle società patriarcali, può determinare la percezione del proprio valore - valore al contempo influenzato dai meccanismi con cui le donne arrivano a paragonare le rispettive bellezze e doti, come specchio della propria insoddisfazione fisica.
Considerando il fatto che in contesti patriarcali l’unico valore sociale e personale delle donne deriva dalla loro bellezza, tutte le altre costituiscono una minaccia al proprio ego e influenzano la propria funzione nella storia. In linea con questo, quelle donne che non ricorrono spesso a comparazioni tra il proprio fascino e quello altrui, come ad esempio le eroine delle favole, diventano più facilmente vittime e bersaglio delle coetanee dello stesso sesso (Kochiyama, 2013: 1-7).
Nella prima edizione di The Nursery and Household Tales (1812-15) la madre di Biancaneve non muore: la sua vanità e orgoglio la trasformano in un mostro che la porta a ordinare l’omicidio della figlia. Soltanto nella seconda edizione della collezione dei fratelli Grimm del 1819 la vera madre muore e viene rimpiazzata dalla matrigna cattiva, la quale è la proiezione della “madre cattiva” che permette di preservare la santità della figura materna, trasformandola in un personaggio malvagio. Inoltre, usando la matrigna come cattivo, si possono esonerare entrambi i genitori biologici dall’essere incolpati per le condizioni miserabili della famiglia. Infatti, la ragione per cui la madre è percepita come malvagia e il padre come debole ha a che fare con le aspettative dei figli: nel nucleo familiare di stampo patriarcale il compito del padre è quello di proteggere i figli contro i pericoli del mondo esterno, mentre la madre dovrebbe provvedere al loro nutrimento, cura e in generale alla soddisfazione dei loro bisogni necessari alla sopravvivenza. Se i genitori dovessero fallire nei loro obblighi, allora la vita dei loro figli sarebbe in pericolo e solo cure amorevoli, combinate a un comportamento responsabile da parte di entrambi genitori, permetterebbero ai bambini di reintegrare i loro conflitti edipici (Bruno, 1975:236-241)
Inoltre, esiste una regola non scritta che considera la gelosia materna come proibita - dunque, le favole mostrano quello che segretamente accade in ogni relazione tra madre e figlia o in generale tra donne.
Per le bambine, secondo il complesso edipico, l’amore per il padre è la cosa più naturale che possa esistere e non potrebbero accettare che si possa creare gelosia per loro da parte delle madri o delle matrigne. Nonostante ciò, a livello inconscio una bambina percepisce l'invidia materna, latente o manifesta che sia (Peg, 21/01/2023). Potrebbero esserci diverse ragioni per cui una madre possa provare invidia nei confronti della figlia, tra cui il narcisismo: la Regina in Biancaneve offre diverse prove a favore di questo argomento in particolare quando ordina al cacciatore non solo di uccidere Biancaneve ma di riportarle i polmoni e il fegato, per incorporare la bellezza della figlia, simboleggiata dai suoi organi. Le favole però non spiegano il motivo per cui un genitore narcisista non possa essere in grado di godersi senza gelosie la crescita dei propri figli (Tatar, 1987:137-155).
La ragione dell’invidia potrebbe riguardare la delusione derivata dal constatare come gli altri siano in qualche modo causa della propria inferiorità o infelicità, arrivando a sperimentare di conseguenza rabbia o risentimento nei confronti dell’ingiustizia percepita. Una persona può prendersela con il fato per aver reso qualcuno affascinante senza provare rabbia nei confronti di questa persona per il solo motivo di essere bella. L’invidia è tipicamente sperimentata come un sentimento di inferiorità che potrebbe presentarsi quando a una persona manca qualcosa che un’altra invece possiede o dal desiderio o speranza che l’altro non ce l’abbia. Questo accade quando la superiorità delle qualità, successi o beni dell’altro sono percepiti negativamente (Salovey e Rothman, 1994: 3-27).
In generale, la tipica matrigna inizia a sentirsi minacciata e a provare gelosia, come ad esempio in Cenerentola o in Biancaneve, solo dopo che l’eroina raggiunge l’età di sette anni e comincia a maturare. Ciò accade perché a questi stadi iniziali della vita della ragazza, la madre viene considerata come la persona più bella mai conosciuta, ma nelle storie, crescendo, realizza inconsciamente di essere molto più graziosa della madre/matrigna (Tatar, 1987: 137-155). La Regina in Biancaneve viene distrutta infatti dal suo stesso narcisismo e l’intera storia rappresenta un avvertimento su come l’egocentrismo possa portare a una brutta fine.
Di per sé, le relazioni rappresentano simbolicamente la serie difficoltà che possono presentarsi nel rapporto tra una madre e una figlia. La competizione tra genitori e figli rende la vita insostenibile e in queste condizioni i figli vogliono evadere e liberarsene perché all’interno di queste relazioni si tende a isolarsi e a provare sfiducia. Contrariamente, nelle favole sono i genitori che provano a disfarsi dei figli e si comportano di conseguenza (Bruno, 1975:236-241).
In conclusione, per futuri sviluppi pedagogici, sarebbe interessante vedere nelle favole più esempi di relazioni positive e salutari tra donne, come si è potuto constatare in Frozen, il noto lungometraggio della Disney, in cui l’amore tra sorelle spicca su quello romantico. Questo tipo di rappresentazione, infatti, potrebbe evitare la perpetuazione della tradizionale rivalità femminile che viene inconsciamente messa in atto anche nella vita di tutti i giorni.
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Salovey Peter and Alexander Rothman, “Envy and Jealousy” in The Psychology of Jealousy and Envy. Guildford Press, 1994:3-27
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