Lamento di Portnoy, Philip Roth: il monologo di un autore

Martina Amontagna

Philip Roth, uno dei massimi romanzieri ebrei di lingua inglese, nel 1969 pubblica Portnoy’s Complaint, nella traduzione italiana Lamento di Portnoy, che vedrà la luce l’anno successivo. È questo il primo romanzo che gli porterà fama internazionale. L’opera è stata trasposta al cinema da Ernest Lehman nel 1972, arrivando in Italia con il titolo Se non faccio quello non mi diverto. Lamento di Portnoy è un audace ritratto satirico di un ragazzo ebreo contemporaneo ossessionato dall'esperienza sessuale, messo in forte contrasto con la madre, che rappresenta, invece, i “veri” valori della cultura ebraica.

 

1. Perché Philip Roth

2. Lamento di Portnoy

3. Conclusioni

4. Bibliografia

 

1. Perché Philip Roth

Sono già trascorsi diversi anni da quando Philip Roth ci ha lasciati e che, di conseguenza, non godiamo della sua acutezza di spirito.

Philip Roth è figlio di genitori appartenenti alla piccola borghesia ebraica e, nel corso della sua vita, ha dichiarato che il sentirsi chiamare “uno dei massimi scrittori ebrei viventi” lo irrita profondamente.

Come leggiamo nell’intervista pubblicata su AdVersuS nel 2010, Philip Roth spiega infatti che la sua famiglia è di cultura e religione ebraica, ma le sue origini sono americane: 

 

preferirei essere giudicato uno dei più importanti scrittori americani viventi. [...] Le mie radici sono americane. Il Paese ha solo 226 anni ma la mia famiglia vi ci abita da 112. […] Da bambino riuscivo a leggere in ebraico elementare, quando a tredici anni ho dovuto fare il Bar Mitzvah. Da allora non ho più messo piede in una sinagoga. [...] Io parlo, penso, maledico e sogno in quella lingua [l’inglese]”.

 

Proprio su questo argomento, Philip Roth debutta nel 1959 con Goodbye, Columbus and Five Short Stories, il cui focus è sui giovani ebrei di seconda o terza generazione, desiderosi di affrancarsi dalla condizione ghettizzata che spettava loro e pronti a gettarsi tra le braccia del sogno americano. Con questa prima pubblicazione viene premiato con il National Book Award.

Philip Roth alla scrivania

Dieci anni dopo il debutto letterario, Philip Roth arriva alla fama con il romanzo Portnoy's complaint (1969; trad. it. 1970), il suo quarto titolo.

Nel 1998,vince il premio Pulitzer con American Pastoral (1997, trad. it. 1998), da cui Ewan McGregor ha tratto l’omonimo film del 2016, di cui è egli stesso protagonista. Pastorale Americana, incentrato su una coppia borghese la cui figlia diventa una terrorista, è il primo capitolo della serie American Trilogy, i cui tre libri sono narrati dal famoso alter ego di Philip Roth, Nathan Zuckerman.

Philip Roth ha vinto i più prestigiosi premi letterari, dal Pulitzer (1998) al Man Booker International Prize (2011), il più alto riconoscimento letterario di lingua inglese. Con Everyman (2006) diventa il primo autore tre volte vincitore del PEN/Faulkner Award for Fiction, che aveva vinto in precedenza per Operation Shylock (1993) e The Human Stain (2000). L’autore, inoltre, è l’unico scrittore contemporaneo la cui opera è stata pubblicata, quando era ancora in vita, dalla Library of America, che raccoglie i grandi classici americani.

Nel 2012 si ritira dalla scrittura narrativa e, cinque anni dopo, pubblica il volume Why write? Collected Nonfiction 1960–2013un compendio di tutta la sua produzione saggistica.

Volendo descriverlo con le parole del critico Harold Bloom, Philip Roth, nell’ambito della narrativa statunitense, è secondo solo a Faulkner. In una pubblicazione della Library of America, trova in lui il fautore di una nuova sintesi: 

 

è il culmine di un enigma irrisolto nella letteratura ebraica dei secoli XX e XXI. Le complesse influenze di Kafka e Freud e il malessere della vita ebraico-statunitense produssero in Philip un nuovo genere di sintesi”.

 

Se tutto ciò non dovesse bastare per giustificare la lettura di questo autore, ricordiamo la superba capacità di Philip Roth di rendere la storia narrata parte dell’esperienza di vita del lettore, che lo legge freneticamente perché è così che dovrebbe essere letto: d’un fiato, senza interruzioni. 

Estendendo la sua satira dissacrante dalla comunità di origine ebraica all'intera società statunitense, caratterizzando le opere con elementi autobiografici e autoriflessivi, Philip Roth ci presenta un tema molto semplice: la complessità della realtà, con le sue scelte difficili e i bivi che ci sottopone. Ci ricorda così la nostra tendenza allo sbaglio e la fragilità propria del nostro essere umani.

I romanzi di Philip Roth, ben lontani dalla pudicizia vittoriana, sono veraci, senza filtri, reali. Quando parla di sesso, non allude a rapporti platonici, ma parla di erotismo, di passione, di carne. Questo è evidente in opere come Lamento di Portnoy (in cui Alexander Portnoy parla incessantemente della sua morbosa ossessione per il sesso) e Il seno (1972), in cui il protagonista, come in La metamorfosi di Kafka o in Il naso di Gogol, si sveglia una mattina scoprendo di essersi trasformato in un grande seno.

Lo stile di Philip Roth è ironico, essenziale e incalzante, mescola sapientemente psicanalisi, satira, elementi propri della tradizione letteraria ed elementi storici.

Poltrona da psichiatra - copertina romanzo

2. Lamento di Portnoy

Ha fatto discutere, non poco, il romanzo di Philip Roth uscito nel 1969. Da una parte, si è sollevata la comunità ebrea, criticando aspramente l’opera dello scrittore, sostenendo che fosse un testo da cui ogni antisemita sarabbe potuto partire per sviluppare il proprio odio nei confronti degli ebrei. Questo perché, in Lamento di Portnoy, leggiamo di ebrei presentati in modo dissacrante, insolito, sotto una luce torva

Dall’altra, l’autore è stato perseguitato dallo spettro della censura, anche in Italia, dove Philip Roth avrebbe preso contatti con la casa editrice Bompiani minacciando di ritirare la pubblicazione in caso di forti modifiche preventive al testo. Il 17 dicembre 1969, infatti, Philip Roth gli scrive una lettera

 

«se mi censurate non pubblico. Sono contro ogni censura per ragioni che non siano letterarie, e di conseguenza preferisco che il mio romanzo rimanga inedito in Italia piuttosto che censurare il testo per renderlo un po’ più appetibile per le autorità». 

 

Per fortuna, la casa editrice, nella figura del direttore Valentino Bompiani, ha scommesso sul capolavoro, non ha ceduto alla censura italiana e ha fatto sì che il romanzo venisse pubblicato integralmente. In Italia, così, Lamento di Portnoy esce per la prima volta nel 1970 nella traduzione di Letizia Ciotti Miller.

Lamento di Portnoy di Philip Roth non è un libro per tutti. Non è costruito perché sia così. È scabroso e osceno. La storia è intrisa di una ossessione per la sessualità. Per noi è perfetto, perché è capace di raccontare la manie dell’uomo moderno, senza giri di parole, senza sfumare sulle scene più spinte, senza evitare di tratteggiare i momenti di maggiore perversione psicologica.

Il romanzo di Philip Roth è costruito interamente su un monologo del narratore (Alexander Portnoy, un ebreo americano) pronunciato sul lettino del dottor Spielvogel, uno psicanalista, prima che quest'ultimo inizi il processo terapeutico che dovrebbe dare ad Alex gli strumenti per superare e integrare la propria condizione al vivere sociale. Alex non possiede l’equipaggiamento modale (soprattutto il potere e il sapere) che gli consenta di trovare, per esempio, una moglie e, di conseguenza, di costruirsi una famiglia, avere dei bambini suoi. Le sue manie gli stanno sempre addosso, ovunque lui vada, inesorabilmente, durante l’inevitabile crescita.

Copertina inglese Portnoy

La sessualità è, ovviamente, il problema principale. Alex è un personaggio costruito da Philip Roth in modo che esprima con forza il suo essere erotomane, una persona afflitta che vuole (questo sì) una sessualità banale, ordinaria. Questo suo squilibrio psicologico è in contrasto con la sua straordinaria carriera lavorativa.

Come leggiamo nel blog del Circolo dei lettori torinese che dedica un pezzo al romanzo di Philip Roth, il sesso è ciò che ci permette di esplorare ogni aspetto presentato nel romanzo: 

 

«il sesso è [...] qualcosa che fa stare vivi con pienezza e perché è il mezzo per esplorare praticamente tutto: storia, cultura, identità, religione, politica. Portnoy cerca un’identità nuova, e si serve del sesso per trovarla. E anche per fuggire da ciò che invece ripugna della propria eredità culturale».

 

Philip Roth fa della sessualità un meccanismo grazie al quale accedere alla cultura: durante i suoi rapporti, Alexander crede di poter conoscere, non tanto la ragazza che si trova con lui, ma l’essenza stessa degli Stati Uniti. Il sesso quindi è capace di proporsi come tramite, come mediatore cultura e strumento di indagine. E lui, Portnoy, usa il sesso anche come strumento di rivalsa nei confronti di quella classe sociale elitaria americana che ghettizza gli ebrei.

Per i Portnoy raccontatici da Philip Roth il mondo è nettamente diviso tra ebrei e “goyim”, i non ebrei. Alexander sfida la famiglia e, più in generale, il mondo ebraico, avendo rapporti sessuali con “shikse” (altro termine Yiddish dispregiativo per indicare le ragazze non ebree, colpevoli di essere impure e immorali, ree di aver trasgredito i divieti), condannate dai suoi genitori, perché meritevoli della punizione di Dio.

La situazione familiare descritta da Philip Roth è pesante, castrante, difficile da sopportare.

Da un lato, la madre iperprotettiva, sempre presente, invadente e maniaca dell’ordine, mina la sfera privata del figlio. La figura materna è al centro delle problematiche di Alex che, talmente ossessionato da lei, dice allo psicoanalista, in riferimento a quando era bambino, che la madre gli era così impressa nella coscienza che, per tutto il primo anno scolastico ha pensato che tutte le insegnanti fossero sua sua madre, ogni volta travestita diversamente. Dall’altro lato, il padre, figura più spenta rispetto alla moglie, ha come interesse principale quello di arricchirsi. L’uomo viene marcato per tutto il romanzo dalla sua stitichezza, un non riuscire a liberarsi, non poter lasciar andare incessante, un po’ come la situazione di Alexander: quella di ateo dalle origini ebraiche che prova con tutta la sua forza di uscire dagli schemi di origine.

Philip Roth Linus

Il protagonista di Philip Roth soffre profondamente la rigida impostazione della famiglia, che vuole apparire perfetta e pura agli occhi degli altri e che condanna il sesso come grave atto lussurioso. Per tutta risposta, lui si definisce ateo rinnegando la sua appartenenza alla religione, considerata una male. Attraverso le parole del protagonista, Philip Roth attacca tutte le religioni, colpevoli di limitare la libertà dell’individuo:  «Senti, non credo in Dio e non credo nella religione ebraica, o in una qualsiasi altra religione. Sono tutte balle». L’autore ci presenta un monologo che occupa la dimensione di quello che può essere definito come il colloquio preparatorio, il momento in cui tradizionalmente si instaura il rapporto tra il medico/il professionista e il paziente. In questo caso, l’approccio di Portnoy è talmente debordante che l'intervento dello psicanalista è relegato al termine dell’incontro, dopo un lungo urlo di Alex e una successiva pausa: «Allora. Forse noi adeso potvemo incominciave. No?».

Il processo terapeutico, dunque, occupa lo spazio aperto del testo, il fuori testo, di fatto, un luogo che non esiste e che viene regalato al lettore che ha il compito di interpretarne e immaginarne lo sviluppo. Nel caso dell’identificazione dei personaggi, non sapremo mai quanto le identità del protagonista e di Philip Roth siano sovrapposte.

A conferma di quanto già espresso, arrivano le parole di Fernanda Pivano che inserisce il romanzo di Philip Roth nell’antologia di recensioni Libero chi legge, nel capitolo sulla libertà sessuale

 

«un sunto particolareggiato guasterebbe la lettura di questo monologo indiavolato, che forse proprio grazie alle polemiche ha fatto guadagnare un milione di dollari all'autore con la sola prima edizione offrendo in cambio pagine intense e incisive, scene comiche e satiriche, linguaggio e immagini incredibilmente o dati per quel tempo; insieme una festa indimenticabile di vita americana contemporanea».

 

3. Conclusioni

Se è vero che «Portnoy sta alla masturbazione come Moby Dick sta alle balene», come dice acutamente Anatole Broyard (Mancuso, in Linus, 2021, p. 61), dovremmo liberarci definitivamente dal pregiudizio pudico che di solito contraddistingue la nostra cultura, per aprire la macchina narrativa di Philip Roth e indagarne la struttura che le permette di funzionare. Chi ha letto Moby Dick sa bene che i capodogli fanno parte della manifestazione discorsiva del romanzo. Ci sono dei marinai, dei pescatori, che cacciano i grandi mammiferi marini per ricavare dalle loro cavità cefaliche il prezioso olio di spermaceti. Questo sarà poi il protagonista del commercio marittimo e fonte inesauribile degli scambi costieri. Se però leggiamo un altro livello dell’opera, quello narrativo profondo, scopriamo che il racconto è un colossale sforzo di rappresentare lo scontro tra l’umano e il divino, tra il bene e il male.

Allo stesso modo si comporta il romanzo di Philip Roth, che cerca di presentarci la condizione umana, la condizione di un popolo, i dubbi sulla religione e, per farlo, ricorre alla rappresentazione, spesso tragicomica, di manovre autoerotiche ai limiti dell’accettabile. Crediamo che un autore come lui, maestro dell’ucronia (quel modo di immaginare come sarebbe andata la storia se al posto dei fatti così come si sono verificati se ne fossero realizzati altri), possa ancora insegnarci che dietro a una scioltezza narrativa come la sua, si possano trovare letture singolari dell’umano. Ancora, colpisce quella mania di Philip Roth nei confronti «della storia, della politica e del capitale» (Durastanti, in Linus, 2021:54) visti come grimaldelli dell’individualità e intimità. In breve, la pressione sociale ha un ruolo topico.

 

4. Bibliografia

Roth, P. (2013). Lamento di Portnoy. Einaudi. [E-book]

Vv., A. A. (2021). Linus. Dicembre 2021. Speciale Philip Roth. Linus.

Parrish, T. (Ed.). (2007). The Cambridge Companion to Philip Roth. Cambridge University Press.

Donno, A. (1981). L’ intellettuale ebreo in America. Saggio su Philip Roth. Milella.

Fink, G. (2013). Storia della letteratura americana: Dai canti dei pellerossa a Philip Roth. Rizzoli.

Philip Roth, da britannica.com, data ultima consultazione 02/03/22

Archive of Philip Roth, da archive.nytimes.com, data ultima consultazione 02/03/22

"Lamento di Portnoy", Philip Roth, da criticaletteraria.org, data ultima consultazione 02/03/22

Intervista a Philip Roth, da adversus.org, data ultima consultazione 02/03/22

Il sesso è il modo per esplorare praticamente tutto, da circololettori.it, data ultima consultazione 02/03/22

 

Foto 1 da franceinter.fr, data ultima consultazione 02/03/22

Foto 2 da ibs.it, data ultima consultazione 02/03/22

Foto 3 da it.wikipedia.org, data ultima consultazione 02/03/22

Foto 4 da linus.cantookboutique.com, data ultima consultazione 02/03/22