Identità e Narrazione in "Kanata" di Don Gillmor

Francesco Rossini

Agli inizi del ‘900, Wilfrid Laurier profetizzò che il futuro sarebbe appartenuto al Canada. Quello a cui si riferiva era la speranza che il XX secolo avrebbe accettato le idee di tolleranza e pacifismo per cui il Canada stava già diventando famoso. Tuttavia, come Northrop Frye nota un’ottantina di anni dopo, oltre a questo luminoso futuro la profezia di Laurier aveva in sé un lato oscuro, che invece si manifestò nella crisi del rapporto dei singoli e della collettività con il passato e la propria identità personale. Il libro di Don Gillmor, Kanata, pubblicato nel 2009, tratta appunto dell’annoso rapporto che i canadesi hanno con la propria storia e la propria identità, offrendo spunti e strumenti utili più a costruire un metodo di ricerca per una riflessione indipendente, piuttosto che a dare al lettore una risposta. 

 

1. Kanata: origini e temi

2. Ambientazione e tecniche narrative

3. Il rapporto con la Wilderness: here and there

4. 1967: un turning-point per la storia canadese

5. Il rapporto fra le due mappe: dallo spazio al luogo

6. La narrazione: uno strumento didattico

7. I principi del metodo storico

8. Una mappa “bianca” da riempire

9. Bibliografia

 

 

1. Kanata: origini e temi

 

“The Canadian sense of the future tends to be apocalyptic: Laurier’s dictum that the twentieth century would belong to Canada was even then implying a most improbable and discontinuous future. The past in Canada, on the other hand, is, like the past of a psychiatric patient, something of a problem to be resolved: it is rather like what the past would be in the United States if it had started with the Civil War instead of the Revolutionary War. (Frye, Northrop; “National Consciousness in Canadian Culture”, in Divisions on a ground : essays on Canadian culture; edited, with a preface, by James Polk, Toronto: Anansi, 1982, p. 48)

 

Il romanzo Kanata nasce da un altro progetto a cui Gillmor ha lavorato nel 2000: Canada: A People’s History, una serie televisiva che si proponeva di avvicinare i canadesi alla propria storia attraverso la narrazione della vita di individui famosi e non. Durante le ricerche per questa serie, Gillmor si imbatte in David Thompson, esploratore e cartografo, il primo a disegnare una mappa completa del Nord-Ovest canadese, morto in povertà e dimenticato. Coerentemente con la filosofia di Canada: A People’s History, Gillmor decide di utilizzare i diari dell’esploratore per ricostruire, in Kanata, il mondo in cui Thompson ha vissuto, le sue impressioni, i suoi pensieri e progetti.

Lo stesso procedimento verrà adottato per gli altri personaggi storici presenti nel libro. Presentando gli avvenimenti storici dal punto di vista dei principali protagonisti, Gillmor riesce sia a vivacizzare la narrazione storica, sia a mostrare come e perché siano state prese alcune decisioni fondamentali nella storia canadese. Così facendo, il discorso storico perde in autorevolezza, ma diventa più avvincente e, coraggiosamente, si apre all’analisi, lasciando al lettore la possibilità di ipotizzare e interpretare da solo la Storia e storie. Oltre alle ricostruzioni basate sulle fonti primarie, Gillmor inserisce nel romanzo una serie di personaggi fittizi, che ruotano attorno alla figura di Michael Mountain Horse, immaginato nel romanzo quale discendente di Thompson e insegnante di Storia in un liceo di Calgary. Compito di questi personaggi è quello di dare voce e corpo ai pensieri e alle azioni delle persone comuni, per far emergere un ritratto il più completo possibile dei periodi storici presi in esame. Anche in questo caso, Gillmor non si limita a presentare una narrazione storica accattivante e basata sugli individui, ma cerca di far riflettere il lettore sui modi di produzione della Storia e sulle conseguenze che essa ha sullo sviluppo dell’identità individuale. Questa volontà educativa è incarnata dalla figura di Michael, i cui insegnamenti non si limitano all’esposizione dei fatti, ma cercano di stimolare gli studenti a ricercare nella Storia canadese e nella propria storia una risposta che possa aiutarli a vivere.

 

2. Ambientazione e tecniche narrative

 Significativamente, il romanzo è ambientato nel 1967, l’anno del primo centenario del Canada (la Confederazione Canadese nasce, infatti, con la firma del British North American Act, a Charlotte Town nell’Isola di Prince Edward, il 1 luglio 1867). Michael Mountain Horse, meticcio e insegnante di storia vicino alla pensione, propone ai suoi alunni la realizzazione di una mappa originale che tracci i principali eventi della Storia canadese e della storia personale dei ragazzi. Contemporaneamente, Michael ripercorre la propria vita raccontandola ad un suo studente in coma, Billy Whitecloud, diventando così il motore narrativo del romanzo nonché il punto di incontro tra le due narrazioni: quella storica e quella personale.

Il romanzo viene narrato in terza persona da un narratore onnisciente, che si occupa principalmente di raccontare le vicende di Michael Mountain Horse. La funzione di questo narratore sembra essere solo quella di far sì che Michael sia inserito all’interno delle vicende storiche che racconta, impedendogli di diventare un narratore esterno e facendo sì che il suo punto di vista sui fatti narrati non diventi predominante. Vedremo più avanti perché. Le vicende storiche sono invece raccontate da Michael, che le presenta ai suoi studenti come un narratore in terza persona, anche quando si tratta di raccontare la propria vita. Di tanto in tanto, Michael offre delle riflessioni in prima persona, riflessioni che hanno il compito di commentare e introdurre i vari episodi. Il progetto di Michael non è solamente una celebrazione dei primi cento anni della nazione canadese, ma bensì un tentativo quasi disperato di insegnare ai suoi alunni un metodo storico che li renda capaci di analizzare attivamente la Storia nazionale e quella personale, per evitare che le loro vite vengano schiacciate dall’incomprensione del passato e dall’apatia verso il presente.

Il rischio è ben concreto: gli alunni di Michael sono infatti disinteressati alla storia nazionale, mentre Billy diventa il simbolo di chi non ha il potere di decidere per sé stesso ed è costretto ad accettare qualunque identità gli altri decidano di imporgli. La narrazione di Michael è poi particolarmente interessante e complessa poiché, a un tempo, riesce a creare miti fondativi della nazione canadese, così come a porre le basi per il loro superamento. 

La scelta di Michael può essere inquadrata nell’idea del sopravvivere, della sopravvivenza così come viene espressa da Margaret Atwood nel suo ormai classico Survival: a Thematic Guide to Canadian Literature. Secondo la Atwood, infatti, il simbolo centrale dell’immaginario canadese è la survival, il sopravvivere, la sopravvivenza, un simbolo sfaccettato e adattabile che risale al tempo dei primi esploratori e coloni. Atwood identifica vari tipi di survival, che si evolvono di pari passo con la nazione canadese: dalla ‘bare survival’ dei primi coloni, alla lotta per la sopravvivenza culturale e politica contro il potente vicino statunitense. Parte integrante di questa continua lotta è la quasi ossessiva attenzione rivolta ai possibili ostacoli alla sopravvivenza: ostacoli che possono essere esterni, che minacciano la sopravvivenza fisica, (il clima, il territorio, indiani ostili ecc), o spirituali (ostacoli ‘to life as anything more than a minimally human being.’). Sin dall’inizio della storia canadese prende così piede l’idea che il territorio non sia addomesticabile, ma sia qualcosa contro cui combattere costantemente: un eventuale fallimento significherebbe la morte (reale e/o metaforica).

 

 3. Il rapporto con la wilderness: here and there

Il rapporto dello spirito europeo con il paesaggio canadese è alla base di una certa schizofrenia e dualità presente in Kanata (e non solo). Parte di questa schizofrenia deriva dagli atteggiamenti verso la natura nati durante il XIX secolo, in cui essa era inquadrata secondo le categorie del sublime e del pittoresco, per poi spostarsi verso una visione woodsworthiana. L’uomo doveva sentire ‘awe at the grandeur of Nature’ o considerarla come una madre gentile e amorevole che avrebbe guidato la razza umana alla felicità se solo l’uomo l’avesse ascoltata. In ogni caso si veniva a creare una contrapposizione tra la natura ‘buona’ e le città ‘cattive’. La wilderness canadese non poteva rispondere a queste aspettative. Sentendosi tradito dalla stessa madre gentile che doveva proteggerlo, il colono non può e non vuole comprendere la natura che lo circonda, entrando così in uno stato mentale di schizofrenia per cui pur trovandosi in un here canadese, continua a pensare al there della madrepatria, contravvenendo ad una delle regole base della survival:

 

"[…] 'there' is always more important than 'here' or […] 'here' is just another, inferior version of 'there'; they render invisible the values and artifacts that actually exist 'here', so that people can look at a thing without really seeing it, or look at it and mistake it for something else. A person who is 'here' but would rather be somewhere else is an exile or a madman, a person who is 'here' but thinks he is somewhere else is insane." (Atwood, Margaret, Survival: a Thematic Guide to Canadian Literature,Concord: Anansi, p.18)

 

L’incapacità di riconoscere il proprio here rende quasi impossibile quella preoccupazione verso gli ostacoli per la survival che pure è tanto importante nella psiche della nazione. Si rende dunque necessario un processo di adattamento che riesca a far comprendere al colono il nuovo here in cui vive. Il contrasto here/there non si limita solo al territorio, ma anche alla storia e alla cultura canadese, se come sostiene la Atwood “history and culture were things that took place elsewhere, and if you saw them just outside the window you weren’t supposed to look.”(ibid.) Anche la storia va dunque riadattata per renderla comprensibile e utilizzabile: gli studenti di Michael infatti, come i primi coloni, vivono in una dimensione temporale doppia:

 

"Most of the students spent their days trying to kill the past. They lived in an age that prized the present and the future. In two weeks there would be a faster car, a new Rolling Stone album, personal jet packs." (Gillmor, Don; Kanata, Toronto: Penguin, 2009, p.7)

 

Lo strumento attraverso cui si compiranno questi due adattamenti, queste due traduzioni, è, appunto, la mappa. La mappa infatti rappresenta oltre ad un riassunto facilmente comprensibile e trasmissibile delle conoscenze del compilatore anche una traduzione di un qualcosa di incomprensibile in un formato più intellegibile. Inoltre la compilazione della mappa coincide o provoca la fine di un periodo storico e l’inizio di una nuova era. La mappa di Thompson, che in Kanata diventa quasi l’anno zero dei territori nordamericani, sancisce la fine dell’incomprensibilità del paesaggio canadese, oltre ad essere il primo passo verso la scomparsa delle tribù indiane, che perdono il controllo politico e mentale sul territorio.(“Maps were the first blow against Indian reality.” Gillmor, op. cit., p. 432)

 

4. 1967: un turning-point per la storia canadese

La mappa di Michael, invece, coincide con la fine della nazione canadese conosciuta fino al 1967. Il Centenario non è solamente un’occasione per riesaminare gli anni trascorsi e interrogarsi sul futuro della nazione, ma, come sostiene il giornalista Pierre Berton, il 1967 fu The Last Good Year o The Turning Point del Canada (le parti in corsivo sono i due titoli che Berton sceglie per la sua raccolta di saggi sugli avvenimenti del 1967). Il 1967 fu un anno particolare nella storia del Canada: in occasione del Centenario della nascita della Confederazione il governo canadese promosse una serie di iniziative volte a riaccendere la passione dei canadesi verso il proprio Paese, cercando al tempo stesso di rinforzare l’unione tra le varie province, incrinata dal movimento separatista del Quebec. Al tempo stesso, il Canada si affaccia sulla scena mondiale preparando con successo l’Expo 67, ovvero la fiera mondiale che quell’anno si tenne a Montreal. Tuttavia, il Canada celebrato nel 1967 era sul punto di sparire, per lasciare posto ad un Canada completamente diverso. Come scrive Berton:

 

“It was a special year – a vintage year- and it is probable that we will not see its like again. It was a turning-point year. An aging political establishment was about to fade away to be succeeded by a younger, more vibrant one. A past royal commission –into bilingualism and biculturalism-delivered its report: a future commission, dealing with the status of women, was launched. Canadians talked about economic nationalism, women’s place in society, the outmoded divorce laws, national unity, the drug culture, and whether or not the state had any business in the bedrooms of the nation. All these diverse subjects reached a kind of realization in 1967.” (Berton, Pierre. 1967: The Last Good Year, Toronto: DoubledayCanada, 1997., p.15)

 

Il 1967 è l’ultima celebrazione ufficiale di un paese che non esiste più, l’ultima occasione per tracciare un punto sulla mappa della Storia prima di proseguire il cammino: appare così più chiara la scelta di Gillmore di usare come titolo del libro l’antica parola irochese (‘Kanata’, appunto) da cui deriva il nome della nazione, quasi a sottolineare come un nuovo Canada nasca nel 1967.

 

5. Il rapporto fra le due mappe: dallo spazio al luogo

Nel libro sono presenti due mappe di fondamentale importanza: la prima, che crea lo spazio geografico canadese, è quella di Thompson; la seconda, che crea una narrazione storica canadese, è quella di Michael. Queste due mappe sono intimamente collegate tra loro: in primo luogo, la storia del Canada, piuttosto che a una linea retta, assomiglia più ad un percorso tracciato su una mappa

La visione lineare (e necessaria) del tempo in Kanata scompare e nella narrazione si insinua un dubbio costante, quasi annichilente: e se le cose fossero andate diversamente? Domanda non oziosa, ma necessaria a mostrare come la Storia, che noi crediamo fissata una volta per tutte e immutabile, non sia altro che una serie di decisioni, incidenti, imprevisti e colpi di sfortuna o fortuna (dipende anche dal punto di vista di chi osserva). In tutto il libro sono presenti continue domande che invitano ad esplorare altri possibili risultati dei processi storici, smitizzando i fatti accaduti e cercandone di rivelarne le cause e le conseguenze. Questo continuo analizzare e ripensare il passato è un effetto della survival. Le varie crisi che periodicamente le nazioni affrontano, in Canada sono vissute con estrema angoscia perché per i suoi cittadini, la fine della Confederazione è un evento ben possibile.

Northrop Frye, nel suo saggio Notes Towards a Future, fa notare come la nazione canadese sia una terra in cui domina lo spirito di sopravvivenza, sostenendo che una confederazione di territori, sperduti nell’immenso spazio canadese e “divided by language, geography and politics”, può rimanere unita solo superando volta per volta le crisi che si presentano; in caso contrario la nazione rischia di perdere la lotta per la survival. Il continuo ripercorrere la Storia e la capacità di utilizzarla in modo produttivo diventano così strumenti per superare gli ostacoli alla survival (Frye, Northrop “Notes Toward A Future”, in Divisions on a Ground : Essays on Canadian Culture ; edited, with a preface, by James Polk,Toronto: Anansi, 1982, p.182).

In secondo luogo, le due mappe si completano a vicenda. Michael, non a caso, si ritiene un discendente di Thompson: il suo lavoro completerà quello del suo antenato. La mappa di Thompson si colloca nella preistoria della nazione, diventandone mito fondativo: senza di essa, non si può compiere il primo passo verso un’identità canadese. In una nazione il cui immaginario è dominato dal territorio la mappatura del territorio mostruoso e incomprensibile – attraverso l’opera degli esploratori e cartografi che, muovendosi in esso e registrandolo, lo riducono ad una dimensione comprensibile allo spirito europeo, e fanno sì che inizi ad esistere – diventa importantissima. Infatti:

 

“in Canada, as Frye suggests, the answer to the question “Who am I?” is at least partly the same as the answer to another question: “Where is here?”. (Atwood, op. cit., p. 17)

 

Atwood, citando Frye, continua sostenendo che la domanda identitaria appartiene a quei paesi il cui here è già ben definito. “Where is here?” invece è la domanda di chi è perduto in un territorio sconosciuto, di chi ha bisogno di conoscere la propria posizione rispetto agli altri luoghi. Conoscere la propria posizione sulla mappa aiuta anche a trovare il proprio percorso, o a ripercorrere i propri passi in cerca della giusta direzione. Inoltre, la sopravvivenza dipende direttamente da quello che l’here contiene, sia materialmente che spiritualmente. 

Nel rapporto tra la persona e il territorio la mappa viene così ad assumere un ruolo fondamentale, non solo perché essa può dare qualche risposta allo sperduto viaggiatore (sia che la mappa stia tracciando la storia, un territorio o il viaggiatore stesso), ma perché compie un processo di adattamento inverso rispetto a quello di survival che abbiamo visto finora: la mappa di Thompson fa sì che non sia il viaggiatore a doversi adattare alla wilderness, ma il contrario.

La narrazione della mappa (perché tale è attraverso la simbologia che utilizza) è una narrazione creatrice: in particolare la mappa di Thompson è un processo di creazione di un territorio nello spirito europeo. Il territorio è lì, esiste al di fuori della mappa, ma senza di essa non può essere compreso, non esiste nello spirito europeo.

La mappa ricrea la realtà passando attraverso un processo di traduzione in cui la visione del mondo del compilatore, le sue conoscenze e, ipotizza Michael, persino la sua personalità influenzano il risultato finale. Questo risultato altro non è che la trasformazione, nella mente europea, dell’immenso territorio del Nord-Ovest da spazio a luogo:

 

“È luogo l’ordine qualsiasi secondo il quale degli elementi vengono distribuiti entro rapporti di coesistenza. Ciò esclude dunque la possibilità che due cose possano trovarsi nel medesimo luogo. […]. Un luogo è dunque una configurazione istantanea di posizioni. Implica un’indicazione di stabilità. Si ha uno spazio dal momento in cui si prendono in considerazione vettori di direzione, quantità di velocità e la variabile del tempo. Lo spazio è un incrocio di entità mobili. […]. È spazio l’effetto prodotto dalle operazioni che l’orientano, lo circostanziano, lo temporalizzano […]. (De Certeau, Michel; L’invenzione del quotidiano, prefazione di Alberto Abruzzese ; postfazione di Davide Borrelli, Roma: Lavoro, 2001. p.175-6)

 

Per passare dallo spazio al luogo, in questo caso è necessario che Thompson attraversi questi spazi e con il suo lavoro li renda luoghi, ovvero li fissi una volta per tutte. Il suo ruolo è quello di liberare la mappa dalle “operazioni di cui essa è effetto o possibilità” (Ibid., p. 181), ovvero di cancellare tutte le rappresentazioni superflue riconducibili alla propria nascita (navi, animali e personaggi mitici di ogni sorta). Il risultato di questa operazione è che l’Ovest inizia ad esistere nella mente occidentale:

 

“Thompson gave the West a shape and then watched it fill with European meaning. […] He mapped more than two million square miles […] of country […] in a form that could be understood, settled, sold.[…]” (Gillmor, op. cit., pp.23-79). 

 

Attraverso la mappa di Thompson la mente europea addomestica l’idea del paesaggio, rendendola comprensibile a sé stessa, tant’è che le mappe di Thompson vengono immediatamente piratate ed entrano a far parte di una conoscenza collettiva, quasi come se la mappa fisica, una volta completata, divenga immediatamente parte della coscienza collettiva. 

A Thompson, demiurgo di una delle più grandi nazioni della terra, non rimarrà alcuna gloria, se non la ricompensa di aver compiuto l’opera che il Signore gli ha affidato. La mappa di Thompson è così assimilata ad un mito fondatore, senza il quale i successivi sviluppi politici e culturali sarebbero impossibili. Questo mito non è però eterno: la mappa continuerà a cambiare (città, strade, ponti verranno costruiti e abbandonati, le foreste si ritireranno, i fiumi cambieranno il loro percorso, ecc); inoltre Thompson si limita a creare uno luogo che altri avranno il compito di riempire di significato. La mappa di Michael è in tal senso molto simile: anch’essa, durante la sua creazione, getta le basi per il proprio superamento. La mappa storico-identitaria è poi un’aggiunta necessaria a quella geografica, perché permette di ripercorrere il proprio cammino e comprendere meglio il proprio here.

 

6. La narrazione: uno strumento didattico

Uno dei problemi principali nella realizzazione di questa seconda mappa è come trasmettere le conoscenze storiche alla nuova generazione: Michael non realizza la mappa, ma si limita a fornire il materiale storico ai suoi alunni. Michael si trova di fronte a molti problemi: incomprensione tra nuova e vecchia generazione, ragazzi che non si interessano al passato, genitori contrari ai suoi metodi perché temono il cambiamento, nonché il discredito dovuto alla situazione coloniale del Canada (la contrapposizione here/there vale anche per quanto riguarda gli avvenimenti storici). Michael supera questi ostacoli affidandosi proprio alla mappa e alla narrazione che fa al capezzale del suo giovane studente in come, una sorta di silent listener che diventa così testimone passivo degli eventi narrati.

La narrazione come strumento didattico presenta poi alcune questioni interessanti. Innanzitutto, si ricollega al ruolo della narrazione orale dei popoli primitivi: un tentativo di spiegare il mondo conosciuto e insegnare la saggezza degli antenati. La narrazione, infatti,:

 

"Apertamente o meno, […] implica un utile, un vantaggio [che] può consistere una volta in una morale, un’altra in una istruzione di carattere pratico, una terza in un proverbio o in una norma di vita: in ogni caso il narratore è persona di consiglio per chi lo ascolta. […]. Il consiglio, infatti, non è tanto la risposta a una domanda quanto la proposta relativa alla continuazione di una storia in svolgimento. Il consiglio, incorporato nel tessuto della vita vissuta, è saggezza." (Benjamin, Walter; Il narratore: considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov, Torino: Einaudi, 2011, p.15-6)

 

La narrazione è il giusto mezzo per raggiungere gli adolescenti “lulled by stories, whose firsts worlds were made of dragons and princes and who had moved through cowboys, detectives, and plucky heroines, and finally heartache.” (Gillmor, op. cit., p.5). Questo tipo di storie sono ovviamente molto diverse da una narrazione storica, ma al tempo stesso presentano caratteristiche ad essa assimilabili: un luogo e un tempo lontani, avvenimenti e descrizioni che cercano di spiegare perché l’eroe agisce come agisce, quali conseguenze hanno le sue azioni e soprattutto, è presente un consiglio finale. 

La narrazione di Michael non si compone di un elenco di fatti, nomi e date, ma affidandosi alle fonti primarie e cercando di ricreare il più fedelmente possibile la mentalità e le motivazioni dei personaggi storici, cerca di presentare il perché e il come degli avvenimenti presi in esame. I fatti narrati in questo modo, dovranno poi essere tradotti dagli studenti di Michael in una mappa.

Questa mappa viene presentata come un enorme collage di immagini che rappresentano non solo figure e momenti importanti per la storia del Canada, ma anche la vita degli studenti in un particolare momento, i loro sentimenti, i luoghi a loro cari. Gli studenti di Michael, in tal modo, sono invitati a riflettere attentamente sugli avvenimenti che gli vengono presentati, se non altro per poterli rappresentare efficacemente. La mappa costringe lo studente a cercare un modo comprensibile per visualizzare un fatto storico e, così facendo, provoca una riflessione sulla rappresentazione di esso. Al tempo stesso, la storia nazionale si intreccia con quella personale (le storie di vita dei ragazzi e delle loro famiglie) nel tentativo di creare non solo una mappa identitaria, ma anche una memoria collettiva capace di tenere insieme lo spazio pubblico e quello privato.

 

7. I principi del metodo storico

Il proposito principale di Michael non è la realizzazione tout court di una mappa: essa è infatti un mezzo, quasi un pretesto, per insegnare agli studenti i principi del metodo storico. Una delle più recenti teorie sull’insegnamento sostiene la necessità che gli studenti non accettino passivamente i risultati prodotti dagli storici, ma imparino come essi siano giunti a quelle conclusioni e quanto siano credibili; come funziona il lavoro dello storico e come vengono controllate e utilizzate le fonti; quale sia il rapporto tra interpretazione e obiettività. In breve, devono imparare a creare la storia da soli e a pensare storicamente, non limitarsi ad apprendere qualcosa scritto da altri (Ibid., p.9) In questo modo essi non rischieranno più di smarrirsi come i primi coloni e perdere quello che il loro here ha da offrire. Il processo per cui i coloni europei non riconoscevano il paesaggio poiché non sapevano come comprenderlo, vale qui anche per la storia del Canada. Per sopravvivere, non si può contare solo su una conoscenza geografica, insufficiente per rispondere alla domanda where are we going? And how did we get here?”. 

La capacità di comprendere e scendere a compromessi con il proprio passato (così come era stato necessario fare con il territorio) è condizione essenziale per la survival. La scelta di Michael di far creare una mappa della storia è ispirata da un ulteriore motivo. Il suo percorso per la comprensione del proprio io l’ha portato infatti a scegliere Thompson come propria guida, come parte della sua identità. Come si è detto, la mappa di Thompson non è altro che una traduzione del paesaggio canadese in un linguaggio comprensibile allo spirito europeo. Allo stesso modo, la mappa di Michael non è altro che la traduzione della storia canadese in un messaggio comprensibile. Infatti, così come la mappa sceglie di escludere alcuni tratti in favore di altri, in nome di una narrazione finale comprensibile ed utilizzabile (per un fine specifico), il modo in cui si racconta la storia comporta una rinuncia al tentativo di una ricostruzione totale del passato a favore di alcuni aspetti scelti. Questa rinuncia non esonera lo storico dal “simultaneous commitment to ‘getting the story right’, at least in the sense that historians have a duty to try not to ‘get anything wrong’”(Fulbrook, Mary; Historical Theory, London and New York: Routledge, 2002, p. 152). Il paesaggio storico del Canada deve essere esplorato e collegato alla mentalità odierna. Per fare ciò, è necessaria una traduzione che renda comprensibili gli avvenimenti del passato: il ruolo del narratore diventa quello di interprete, di mediatore, tra due culture. In tale veste, Michael deve riuscire a far comprendere il passato ai suoi studenti, limitando al massimo l’intrusione della propria personalità


Quest’operazione di traduzione diventa simile a quella intrapresa da Thompson nella realizzazione della sua mappa. Per prima cosa, è necessario un punto di riferimento da cui partire e a cui tornare (in questo caso, il presente). In secondo luogo, bisogna possedere un metodo valido per creare connessioni tra il luogo da esplorare e il punto di partenza. Non bisogna poi dimenticare che la storia, così come il territorio canadese, è una wilderness che circonda in ogni momento chi sceglie di esplorarla.

La tradizionale forma narrativa in cui l’eroe/esploratore, partendo dal proprio here, raggiunge un there diverso per poi tornare indietro, non vale in Canada. Qui la natura e la storia circondano in ogni momento le persone che vi abitano. La continua preparazione nata dallo spirito di survival si adatta benissimo alla Storia: non è possibile uscire da essa e per sopravvivere è necessario affrontarla quotidianamente. In ultimo, bisogna comunicare le conoscenze ottenute in modo comprensibile e capace di stimolare il pubblico:

 

“and here lies the power of the imagination (however limited): the imagination of both author and reader, of producer and consumer. Without this, history really is ‘dead knowledge’ (Ibid., p.163).

 

Sempre nello spirito di survival, la storia non può rimanere ‘dead knowledge’: essa deve essere compresa e assimilata. L’immaginazione, in questo caso l’uso della fiction nel racconto storico, serve a tracciare un profilo dei protagonisti della Storia, serve a rispondere alla domanda sull’identità e il rapporto con il passato.

 

8. Una mappa “bianca” da riempire

Quanto scritto finora sull’uso della mappa e sull’insegnamento del metodo storico sarebbe inefficace se Michael non compisse due scelte fondamentali. La prima è quella di abbandonare la scena storica: finita la mappa, Michael va in pensione, lasciando il terreno libero alle generazioni future. Inoltre, prima di ciò, inserisce nel suo progetto i semi per il suo superamento: il metodo storico così come viene insegnato, richiede che la sua posizione venga contestata, sfidata e superata. La sua storia non è e non deve essere definitiva: egli stesso si premura di avvertire i suoi studenti di non fidarsi troppo delle fonti, delle mappe, della Storia e perfino di lui stesso. La seconda scelta necessaria è la rinuncia a voler riempire la mappa storica di significato. Di fronte al lavoro completato, Michael rinuncia ad ogni giudizio, limitandosi a notarne l’ingenua grandezza. Michael, così come Thompson, traccia una mappa di questa Storia, mostrandone i confini, quello che è all’interno di essa, qualche commento e visione personale, ma come Thompson, la lascia “bianca”, in modo che siano altri a dipingerla, a riempirla di significato.

La domanda attraverso cui inquadra la sua narrazione storica, il suo “What are we?”, trova una risposta che altro non è che una delimitazione della ricerca storica, un tracciare i confini del territorio: saranno altri a riempirlo. La nascita del Canada sotto il segno della survival ha fatto sì che non si venisse mai a creare un’identità canadese definitiva, che avrebbe potuto essere d’intralcio durante i processi di adattamento, ma bensì una serie di identità provvisorie che emergono soprattutto quando poste in contrasto con qualcos’altro. Alla fine del libro Michael si chiede “What are we?” e l’unica risposta che si riesce a dare ripercorre i confini della sua mappa, senza esprimere un giudizio o una lezione definitiva. Sta al lettore, che ora possiede un metodo di ricerca, trovare la soluzione. 

 

 

 

9. Bibliografia

 

Gillmor, Don, Kanata, Toronto, Penguin, 2009

Atwood, Margaret, Survival: a Thematic Guide to Canadian Literature, Concord, Anansi, 

Benjamin, Walter, Il narratore: considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov, Torino, Einaudi, 2011

Berton, Pierre. 1967: The Last Good Year, Toronto, DoubledayCanada, 1997

De Certeau, Michel; L’invenzione del quotidiano, prefazione di Alberto Abruzzese ; postfazione di Davide Borrelli, Roma, Lavoro, 2001

Frye, Northrop; “National Consciousness in Canadian Culture”, in Divisions on a ground : essays on Canadian culture; edited, with a preface, by James Polk, Toronto, Anansi, 1982

Fulbrook, Mary, Historical Theory, London and New York, Routledge, 2002

 

Immagini

 

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