Sara Relli
Definendosi un “graphic witness”, Will Eisner, uno fra i fumettisti americani più importanti del Novecento, unisce il suo ruolo di graphic artist e di narratore a una più ampia e personale analisi della storia americana negli anni Trenta, osservata e descritta attraverso lo sguardo della comunità ebraica di New York City.
“I have an ancient mariner’s need to share my accumulation of experience and observations. Call me, if you will, a graphic witness reporting on life, death, heartbreak and the never-ending struggle to prevail…or at least to survive.” (Eisner, [1978] 2006:9).
Gli ebrei, che dall’Europa e dalla Russia emigrarono negli Stati Uniti stabilendosi a New York fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, sono infatti al centro sia di A Contract with God che di To the Heart of the Storm (2008). Si tratta di due graphic novels pubblicati nell’arco di vent’anni, che affrontano temi di grande attualità, fra cui l’immigrazione, l’antisemitismo e i pregiudizi presenti negli Stati Uniti. Eisner pone particolare enfasi anche sulla descrizione della vita quotidiana a New York, perché ciò che si propone di ritrarre è
“the endless flow of happenings characteristic of city life” (Eisner, [1978] 2006:9).
Dalle prime pagine di A Contract with God, infatti, la città di New York si impone a tutti gli effetti come uno dei personaggi principali dell’opera.
Il ritratto che Eisner fa dei suoi palazzi affollati e labirintici ricorda alcune delle scene e delle inquadrature più affascinati di C’era una volta in America (1984), film diretto da Sergio Leone e ambientato quasi interamente nel quartiere ebraico di New York e nei suoi immensi caseggiati popolari, abitati principalmente da ebrei. Il protagonista della pellicola, David “Noodles” Aaronson, interpretato da Robert de Niro, riveste nel film lo stesso ruolo che Eisner ha in rapporto alle sue opere e alla comunità ebraica newyorkese in cui è nato e cresciuto. Entrambi sono infatti dei sopravvissuti, i testimoni di una comunità estremamente variegata, nata dall’immigrazione e dalla necessità di sfuggire alle persecuzioni in Europa: una comunità che, nonostante i suoi contrasti interni e i suoi paradossi, si è evoluta nel corso degli anni e ha cambiato anche il volto della stessa città di New York. Dropsie Avenue, la strada in cui si svolgono le storie narrate in A Contract with God, ha un legame diretto e quasi viscerale con i suoi abitanti, la cui vita dipende proprio dal luogo (e in particolare dal palazzo) in cui vivono, che fu costruito, nel mondo immaginario creato da Will Eisner,
“around 1920 when the decaying apartment houses in lower Manhattan could no longer accomodate the flood of immigrants that poured into New York after World War I” (Eisner, [1978] 2006:XXI).
In Ulysses lo scrittore irlandese James Joyce ci fornisce una toccante e poetica descrizione del popolo ebraico, con il quale lui stesso, un irlandese che scelse di vivere la maggior parte della sua vita in Europa, probabilmente sentiva una profonda affinità. Gli ebrei ci vengono descritti come coloro che per secoli e secoli hanno abitato una terra desolata, spoglia e deserta che, nella sua descrizione, sembra evocare lo scenario descritto da T. S. Eliot all’inizio della quinta sezione di The Waste Land. Sono anche un popolo perseguitato dalla storia, senza fissa dimora, costretto a spostarsi da una terra all’altra, da un continente all’altro, vagando
“far away over all the earth, capitivity to captivity, multiplying, dying, being born everywhere” (Joyce, [1922] 1986:50).
Il grande flusso migratorio che ebbe inizio nella seconda metà dell’Ottocento portò molti ebrei a emigrare, soprattutto dall’Europa orientale e dall’Impero Russo, verso tutto il mondo: una parte di loro scelse il Nord America e, in particolare, gli Stati Uniti. Se è vero che per quanto riguarda New York City il primo flusso migratorio risale già alla metà del Seicento, fino agli anni Ottanta dell’Ottocento gli ebrei erano solo il quattro per cento della popolazione, che all’epoca era costituita principalmente da immigrati irlandesi e tedeschi. Fu infatti in questo decennio, in seguito all’intensificarsi delle persecuzioni in Europa e dei pogrom nell’Impero russo, che ebbe inizio quella che è considerata una fra le più imponenti migrazioni mai avvenute dal vecchio continente verso gli Stati Uniti, in particolare dall’Europa dell’Est, ma anche da quello che all’epoca era l’Impero austroungarico e dall’attuale Romania. Nel 1924 a New York City vivevano già quasi due milioni di ebrei. Nel corso degli anni furono istituite una serie di associazioni di beneficenza che avevano lo scopo di fornire ai nuovi immigrati un aiuto pratico al momento del loro arrivo e in particolare un sostegno economico, così come un’istruzione utile a immetterli nel mondo del lavoro e a renderli il più possibile “americani”.
Possiamo immaginare che sia stata proprio una di queste associazioni ad aiutare il padre del protagonista di To the Heart of the Storm a iscriversi a una scuola serale per imparare l’inglese, subito dopo il suo arrivo a New York. I personaggi di Eisner, proprio come la grande maggioranza degli ebrei americani, sono ebrei aschenaziti, ossia i discendenti di quelle comunità stanziatesi nel Medioevo nella valle del Reno e poi emigrate nel corso dei secoli verso altri paesi dell’Europa orientale. Queste comunità, che saranno spazzate via dalla Seconda Guerra Mondiale e dall’Olocausto, erano accomunate da un forte senso identitario locale e soprattutto da una lingua comune: lo yiddish. Ad esempio, Frimme Hersh, il protagonista di A Contract with God, proviene da uno shtetl, un piccolo villaggio abitato principalmente da ebrei come se ne potevano trovare a migliaia nell’Impero russo e nell’Europa dell’Est. In To the Heart of the Storm ci viene raccontato che il nonno materno di Willie è arrivato negli Stati Uniti dalla Romania, mentre il padre di Willie ha vissuto e ha lavorato come pittore a Vienna. Nei primi anni del Novecento la capitale dell’impero austroungarico era, come scrive Eisner stesso,
“the city of music, art and elegance” (Eisner, [1991] 2008:81),
uno dei centri culturali più importanti di tutto il Vecchio Mondo, situato proprio nel cuore dell’Europa e crocevia, così come lo sarebbe stata New York mezzo secolo dopo, delle maggiori avanguardie letterarie, culturali e politiche del periodo. Cominciando come falegnami, camerieri, panettieri o tassisti, gli ebrei dell’Europa dell’Est riuscirono in breve tempo a farsi strada nella società americana, fino a raggiungere il successo e un certo benessere economico in molti ambiti, soprattutto in quello del commercio e delle piccole aziende a conduzione familiare. Questa intraprendenza e questa capacità di adattarsi emergono anche dai personaggi delle opere di Will Eisner: in To the Heart of the Storm, ad esempio, ci viene detto che, dopo il suo arrivo negli Stati Uniti, il nonno materno di Willie divenne in breve tempo un commesso viaggiatore di successo, così come Mr. Feder, il padre della ragazza di cui Willie è innamorato, è il proprietario di un piccolo cantiere navale.
Nonostante tutto, però, se i personaggi di Eisner vedono negli Stati Uniti il Paese della giustizia e della libertà per eccellenza, al tempo stesso non riescono a liberarsi del loro passato e a non guardare a tutto ciò che si sono lasciati alle spalle quando si sono imbarcati su una nave diretta in America con un velo di nostalgia e di malinconia per un tempo irrimediabilmente perduto. Per loro, così come per i loro figli, i ricordi di questo passato lontano sono al tempo stesso spaventosi e affascinanti.
To the Heart of the Storm fu pubblicato per la prima volta nel 1991. Più di mezzo secolo separa l’opera di Eisner dalle storie che vi sono raccontate e addirittura più di cento anni corrono fra i ricordi dei genitori e dei nonni del protagonista e l’epoca in cui il graphic novel è stato scritto e poi pubblicato. Ormai sessantenne, Eisner era già un artista e un cartoonist affermato quando verso la metà degli anni Settanta si dedicò alla scrittura di A Contract with God, la sua prima vera opera con al centro la comunità ebraica di New York. Nei lavori che costellano la sua carriera, dagli anni Quaranta del Novecento fino agli inizi degli anni Duemila, si nota una chiara evoluzione, un movimento progressivo che passa, come scrive Susanne Klingenstein, da
“fully assimilated American beginnings to centrally Jewish subjects” (Klingenstein, 2007:81).
To the Heart of the Storm rappresenta dunque un’interessante riflessione sul passato e, soprattutto, sul modo in cui i figli degli immigrati ebrei hanno affrontato, accolto o rigettato l’ingombrante eredità dei loro genitori. L’opera sottolinea anche, probabilmente, il bisogno di Eisner stesso di tornare alle proprie origini. La storia ha inizio nel 1942 - lo stesso anno in cui Eisner si arruolò - e segue le vicende di Willie, un giovane fumettista e una nuova recluta nell’esercito. Mentre si trova sul treno che lo porterà al campo di addestramento, osserva la vita che si svolge fuori dal finestrino e ciò che vede – una famiglia che si sta trasferendo in un nuovo appartamento, una ragazza su una bicicletta, un ragazzo che consegna giornali, una nave che sta salpando in una baia – lo porta a rivivere i suoi ricordi d’infanzia. I piccoli eventi di vita quotidiana che vede scorrere fuori dal finestrino funzionano, come sottolinea Marianne Hirsch, da
“triggers of remembrance” (Hirsch, 2012:212)
che improvvisamente mettono Willie in relazione, sia fisicamente che emotivamente, con l’ambiente in cui si trova. La vita di tutti i giorni a New York si fonde improvvisamente con l’ombra della guerra in Europa contro il nazismo. Il primo ricordo che Willie rivive sul treno è un episodio di antisemitismo da lui subito quando era un bambino: mentre è per strada con il fratello minore Julian, Willie viene picchiato da altri ragazzi del quartiere per il solo fatto di essere ebreo. Quando poco più tardi il padre di uno dei ragazzi coinvolti nella rissa bussa alla porta del suo appartamento, il padre di Willie, invece di evitare il confronto, esce a parlargli.
“I’m gonna teach you Jews a lesson! We don’t want you on this block!” lo minaccia l’uomo. Il padre di Willie, però, non perde la calma e risponde semplicemente: “What lesson? I can’t move out…I’ve got a lease here!” (Eisner, [1991] 2008:16).
Il lease, il contratto d’affitto, non è ovviamente solo e soltanto un semplice contratto d’affitto: è un simbolo. Mentre in molte nazioni europee le persecuzioni contro gli ebrei erano tollerate e in alcuni addirittura legalizzate dallo Stato, qui il contratto d’affitto è l’emblema di una protezione che viene dall’alto, salda e inequivocabile, la protezione garantita dallo Stato americano a tutti i suoi cittadini, ebrei inclusi. Fin dagli albori della sua storia, infatti,
“America managed to sustain and advance the dream of cultural and racial integration” (Eisner, [1991], 2008:XI),
in contrapposizione alla violenza e all’intolleranza che stavano dilagando in Europa e a quelle che Eisner chiama le
“shock waves from the distant Holocaust” (Eisner, [1991], 2008:XI).
Ciononostante, anche ai livelli più bassi dell’economia, gli ebrei negli Stati Uniti potevano subire discriminazioni più o meno gravi. Alcuni potevano decidere di affrontarle razionalmente e senza rispondere alla violenza - come fa ad esempio il padre di Willie - mentre altri potevano scegliere di nascondere la loro vera identità o addirittura convertirsi a un’altra religione. Ad esempio, il fratello maggiore di Fannie, la madre del protagonista, è un ebreo americano che studia per diventare medico e nel frattempo lavora come elettricista. Essendo risaputo che il suo datore di lavoro non assume ebrei, il fratello di Fannie rinnega fermamente le sue radici quando gli viene chiesto da uno dei suoi colleghi perché, durante la pausa pranzo, stia mangiando quello che viene etichettato come
“Jew food” (Eisner, [1991] 2008:56).
Più tardi, quello stesso giorno, dice a sua sorella che intende convertirsi al cristianesimo perché la scuola di medicina in cui vorrebbe andare ha istituito delle
“quotas to keep out Jews” (Eisner, [1991] 2008:59).
Nonostante queste pratiche fossero tenute il più possibile segrete, negli anni Trenta esistevano effettivamente delle restrizioni per gli studenti di medicina ebrei, a dimostrazione del fatto che neppure la società americana degli anni Venti e Trenta del Novecento era immune da pregiudizi. Le prese in giro subite da Willie ricordano proprio la retorica antisemita che gli ebrei europei hanno dovuto sopportare per secoli prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e che in alcuni casi subiscono ancora oggi.
“No Jews on this block!!” (Eisner, [1991] 2008:7)
si sente gridare Willie prima di venir picchiato dai suoi vicini di casa;
“We don’t want you on this block!” (Eisner, [1991] 2008:7),
si sente strillare il padre di Willie dal padre di uno dei ragazzi coinvolti nella rissa che a sua volta cerca di spingerlo a reagire con la violenza. Il ricordo delle persecuzioni subite dai suoi genitori getta un’ombra sull’infanzia di Willie: l’antisemitismo che vive da bambino negli Stati Uniti diventa così una sorta di fil rouge che connette una generazione all’altra. Le violenze e le umiliazioni subite da suo padre in Europa, in particolare, smettono di essere solo ricordi lontani e si trasformano in una terrificante storia della buonanotte: mentre, seduto sul letto del figlio, racconta delle folle violente che facevano irruzione ubriache nello shtetl in cui viveva da ragazzo, Sam sembra cambiare sotto gli occhi terrorizzati di Willie. Da una vignetta all’altra, il suo corpo si fa più grasso, la sua faccia, tutt’a un tratto nera, è irriconoscibile. Anche la sua postura è diversa: è diventato, improvvisamente, una figura alta e imponente, oscura e temibile, che tiene il braccio sinistro alto sopra la testa e un giornale arrotolato stretto nel pugno chiuso. Assomiglia a un profeta nell’atto di tenere un sermone davanti ai suoi fedeli, ma anche a un dittatore europeo in piedi davanti a una folla adorante.
Il bambino che si tappa occhi e orecchi per sfuggire al racconto di questa storia di violenza è l’emblema di quel fardello, studiato e descritto da Marianne Hirsch nel suo saggio sulla postmemoria, che spesso i figli dei sopravvissuti ereditano dai loro genitori:
“the postwar childhood is not protected from the history it has inherited”; al contrario, “that history is absorbed in the most vulnerable moments of childhood.” (Hirsch, 2012:29-30).
Inoltre, scrive Marianne Hirsch,
“children of those directly affected by collective trauma inherit a horrific, unknown, and unknowable past that their parents were not meant to survive” (Hirsch, 2012:34):
la vita stessa dei figli dei sopravvissuti è influenzata e in un certo senso condizionata dalla consapevolezza che loro stessi avrebbero potuto avere un’esistenza completamente diversa se la Storia, o i loro genitori, avessero deciso diversamente. Lo sradicamento che il padre di Willie ha dovuto affrontare ha definito per sempre la vita del figlio, il suo essere un ebreo americano, e soprattutto il suo essere vivo. Will è, proprio come lo stesso Eisner, il figlio di sopravvissuti,
“not camp survivors, to be sure, but survivors of persecution, ghettoization, and displacement” (Hirsch, 2012:13).
Poco prima di arruolarsi nell’esercito, Willie discute della sua decisione con uno dei suoi colleghi di lavoro, il quale gli assicura che ci sono
“lots of ways to keep you out of the draft” (Eisner, [1991] 2008:200).
Queste parole riportano Willie indietro nel tempo, alla decisione presa da suo padre di emigrare negli Stati Uniti e di sposarsi per evitare la leva militare durante la Prima Guerra Mondiale. Due eventi, distanti nel tempo e nello spazio, tutt’a un tratto si sovrappongono e coincidono: Willie prova così una sorta di
“transposition into the world of the past” (Hirsch, 2012:83)
e reagisce a questa sovrapposizione di eventi lontani fra di loro con grande stupore e inquietudine, come ci mostra l’espressione del suo volto. Ciononostante, nel momento in cui sente
“the burden of double reality” (Hirsch, 2012:85),
egli sceglie di non seguire le orme del padre. Invece di emigrare o ricorrere a mezzi illegali, infatti, si arruola nell’esercito per andare a combattere l’avanzata del nazismo in Europa, che qui simboleggia il momento culminante e decisivo di una storia di antisemitismo che ha radici lontane. Se la decisione di Willie può sembrare un atto di ribellione contro il pesante fardello del passato, ciò non basta: i suoi ricordi d’infanzia e i richiami al passato dei suoi genitori, che riaffiorano nel suo viaggio in treno verso l’addestramento, suggeriscono, che Willie non sarà mai veramente in grado di lasciarsi del tutto il passato alle spalle. Egli è come Nasredin Hodja, filosofo e icona popolare turca, famoso per essere
“a wise man who always rides his donkey while sitting backward” (Eisner, [1991] 2008:205),
come gli dice un suo compagno di viaggio, Mamid, recluta turca e di fede musulmana. Nonostante Willie tenti di mettere una distanza fra se stesso, il suo presente e il passato dei genitori, Willie si sentirà sempre costretto a guardare indietro, al passato. Cos’è allora la tempesta evocata dal titolo dell’opera? Il finale sembra suggerire che essa rappresenti la Seconda Guerra Mondiale, l’Olocausto e la lotta contro il Nazismo. Al tempo stesso, potrebbe simboleggiare la Grande Guerra da cui il padre di Willie è fuggito emigrando negli Stati Uniti: da questo punto di vista, quindi, la tempesta potrebbe essere il punto d’incontro e di collegamento fra due generazioni tragicamente unite da conflitti mondiali.
“Loss of family, home, of a sense of belonging and safety in the world ‘bleed’ from one generation to the next” (Hirsch, 2012:34),
afferma Marianne Hirsch: la tempesta, quindi, che il graphic novel tenta in tutti i modi di comprendere andando ad analizzarne - come suggerisce il titolo- il cuore, potrebbe anche essere il simbolo dell’antisemitismo e della sua diffusione, sia in Europa che negli Stati Uniti.
Come scrive Marianne Hirsch,
“memory of the past is an act firmly located in the present.” (Hirsch, 2012:40).
Nonostante tutto, però, l’opera di Will Eisner mostra comela congiunzione fra rievocazione personale di un particolare evento e rievocazione collettiva non sempre riesca a gettare una luce completa e definitiva su ciò che è realmente accaduto nel passato. La storia di Fannie, la madre di Willie, e del padre della donna, Isaac Wolf, è emblematica degli stretti ma pur sempre problematici legami che intercorrono fra il bagaglio di ricordi privati di un singolo – rappresentati in questo caso dalle difficoltà della giovane Fannie nella New York ebraica di inizio secolo - e la rievocazione collettiva di un fenomeno storico più ampio, ossia la massiccia immigrazione ebraica dall’Est Europa verso gli Stati Uniti sul finire dell’Ottocento. Invece di uno sfondo bianco – come quello che circonda i ricordi di Willie – tutte le storie evocate da sua madre si collocano in uno sfondo nero, come a voler simboleggiare un ulteriore salto temporale: più andiamo indietro nel tempo, più i ricordi possono essere alterati e i dettagli dimenticati, e meno abbiamo accesso ai fatti come sono realmente accaduti. Ciò che rimane alla fine sono soltanto gli eventi più importanti, come l’arrivo di Isaac Wolf negli Stati Uniti, la morte della sua prima moglie, la nascita di Fannie e le difficoltà da lei vissute nell’adolescenza. Nomi, storie di contorno e date vengono molto spesso dimenticati, perduti in un buco nero – nero come lo sfondo che accoglie i ricordi di Fannie nell’opera di Eisner.
“My father, Isaac Wolf, came to America… I don’t remember when exactly” dice Fannie, “could be 1880…it’s not important” (Eisner, [1991], 2008:37).
Nella sua rievocazione del passato, la storia della sua vita ha inizio con l’arrivo del padre a New York, perché è questo ciò che veramente le sta a cuore: le date diventano insignificanti, meri accessori e per questo trascurabili. Trama e sperimentazione grafica vanno dunque di pari passo nelle opere di Will Eisner. Sia in To the Heart of the Storm che in A Contract with God, le vignette - ossia le unità essenziali dei graphic novels e dei fumetti- mutano di forma e di posizione a seconda della storia che vi viene narrata. Eisner era infatti convinto che la disposizione delle vignette non dovesse mai essere casuale, perché, come spiega Dauber, lo spazio a disposizione in ogni vignetta deve essere utilizzato dall’artista
“to capture or ‘freeze’ one segment in what is in reality an uninterrupted flow of action. To be sure, this segmentation is an arbitrary act – and it is in this encapsulation that the artist employs the skill of narration.” (Dauber, 2006:288).
Come evidenzia Marianne Hirsch, col passare del tempo, storie di un’epoca e di un passato lontano, così come dettagli ed eventi correlati, possono essere facilmente dimenticati. Perché non sbiadiscano, avremmo bisogno di
“images, objects, and memorabilia inherited from the past” che svolgano la funzione di “points of memory”, ossia “points of intersection between past and present, memory and postmemory, personal remembrance and cultural recall.” (Hirsch, 2012:61).
I points of memory sono in grado di fornirci una conoscenza del passato più vasta, ma non per questo netta e definitiva. Senza di loro, rimane solo un grande sfondo nero. Fin dall’inizio di To the Heart of the Storm, ci viene detto che Willie è un fumettista. Dato che suo padre, emigrando negli Stati Uniti, non sembra aver portato con sé niente dall’Europa, nessun oggetto di valore - reale o affettivo- sono proprio i suoi ricordi, filtrati dalla mente e dalla sensibilità del figlio, a poter rappresentare dei veri e propri “points of memory”. Si può immaginare che prima o poi Willie scriverà un graphic novel sul passato dei suoi genitori. In questo caso l’opera stessa rappresenterebbe un
“point of intersection between past and present” (Hirsch, 2012:61).
Il suo potere di mettere in risalto la
“intersection of spatiality and temporality” e di affondare in diversi “layers of oblivion” (Hirsch, 2012:61)
sarebbe addirittura più grande di quello contenuto in semplici oggetti o in foto di famiglia, proprio perché rappresenterebbe il frutto di una personale, ma comunque stratificata, appropriazione e rielaborazione del passato. Se, sia a causa dell’Olocausto che dell’emigrazione, le famiglie dei sopravvissuti alle persecuzioni naziste erano spesso lacerate e distrutte, l’atto di mettere su carta e di rielaborare eventi traumatici del passato può rappresentare di per sé un modo per superare il gap generazionale tra figli e genitori, in questo caso ulteriormente complicato da esperienze di vita dolorose e problematiche, come le persecuzioni antisemite. Se dunque quello che Hirsch chiama
“the frustrated need to know about a traumatic past” (Hirsch, 2012:35)
può essere un fardello, al tempo stesso può anche rappresentare un ponte in grado di unire due generazioni.
Nel suo studio sulla fotografia e la postmemoria, Marianne Hirsch sostiene che le foto di famiglia sono di solito in grado di
“diminish distance, bridge separation, and facilitate identification and affiliation” (Hirsch, 2012:38).
I disegni, anche se filtrati dalla creatività e dai ricordi dell’artista, hanno una funzione simile: riescono a unire passato e presente, presenza e assenza, vita e morte. Nella sua introduzione a To the Heart of the Storm, Will Eisner scrive:
“when I began to work on this book I intended to deliver a narrowly focused fiction experience” di com’era la vita negli Stati Uniti prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante questo,“in the end, it metamorphosed into a thinly disguised autobiography” in cui “fact and fiction became blended with selective recall and result in a special reality” (Eisner, [1991], 2008:XI).
Lo stesso potrebbe esser detto per A Contract With God, e per Frimme Hersh. Quest’opera, le cui storie si svolgono quasi sempre all’interno o all’esterno degli enormi caseggiati newyorkesi in cui Eisner crebbe fianco a fianco con altri immigrati ebrei (ma anche irlandesi e italiani), rappresenta un tentativo di dipingere la comunità ebraica americana com’era ad inizio secolo e il ruolo che essa ha avuto nella storia di New York.
Se al centro di To the Heart of the Storm troviamo soprattutto una riflessione sulla diffusione della retorica antisemita in Europa e negli Stati Uniti prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, in A Contract with God problematiche quali lo sradicamento sociale e la (tentata) integrazione nella società di accoglienza vanno di pari passo con una più profonda riflessione sull’essenza dell’ebraismo, su ciò che significa essere un ebreo a New York e soprattutto sul rapporto fra uomo e Dio. A Contract with God è anche la prima opera autobiografica di Eisner, come dimostra chiaramente la prima storia. Nelle prime pagine, Frimme Hershcammina, solo e ingobbito, sotto la pioggia battente di ritorno dal funerale di sua figlia. Sembra quasi che stia per affondare nel terreno, come se la pioggia che sta scendendo
“on the Bronx without mercy” (Eisner, [1978] 2006:4)
abbia il potere di schiacciarlo a terra e annientarlo. Eisner stesso aveva perso la sua unica figlia, Alice, morta di leucemia nel 1970 – otto anni prima della pubblicazione di A Contract with God, che è anche considerata il primo graphic novel mai scritto in America. Si può quindi sostenere che il primo tentativo compiuto da Eisner di scrivere un graphic novel origini proprio dal suo personale bisogno di venire a patti con un terribile trauma. A volte la sopravvivenza può essere
“a struggle against the return of trauma” (Hirsch, 2012:76):
il grande trauma nella vita di Eisner viene così affrontato grazie all’invenzione di un personaggio, Frimme Hersh, sul quale l’autore proietta le sue riflessioni sulla vita, sulla morte e sul rapporto fra uomo e Dio. Frimme Hersh è l’emblema di quello che Marianne Hirsch chiama il punto di intersezione fra
“spatiality and temporality” (Hirsch, 2012:61):
proprio come il padre di Willie in To the Heart of the Storm aveva vissuto a Vienna prima di emigrare, anche Frimme Hersh viene da
“a different world…another time” (Eisner, [1991] 2008:80).
Al momento della morte della figlia adottiva Rachel, Frimme vive in un appartamento in Dropsie Avenue, nel Bronx, ma, qualche pagina dopo, ci viene detto che è nato in Russia nel 1881, a Piske, un piccolo villaggio vicino a Tiflis. Il trauma della morte della figlia e la rottura di quel
“solemn agreement of many years” (Eisner, [1978] 2006:13)
stipulato con Dio lo portano a riconsiderare tutta la sua vita, fino a tornare con la memoria alla sua infanzia, alla solitudine di essere un orfano in un povero villaggio come Piske. A quell’epoca, proprio per la sua intelligenza e la sua dedizione nell’aiutare i più poveri, il giovane Frimme viene convocato dai membri più anziani della sua comunità, che gli comunicano che hanno preso la decisione di aiutarlo, anche e soprattutto economicamente, a emigrare negli Stati Uniti.
“The next attack may wipe us out” gli dice uno dei rabbini “so we have selected you to save, for we believe you are favoured by God!” (Eisner, [1978] 2006:16).
Nel discorso del rabbino, la scelta delle parole è cruciale: Frimme è stato scelto, fra tutti i giovani ragazzi della sua comunità, come colui a cui deve essere concessa una possibilità in più di sopravvivenza; lui è, in qualche modo, scelto da Dio e dunque destinato a vivere. Non può quindi far altro che obbedire. È così che, durante il suo viaggio verso gli Stati Uniti il giovane Frimme Hersh decide di scrivere su una piccola pietra raccolta in un bosco il suo personale contratto con Dio. La piccola pietra rimanda chiaramente alle due tavole su cui Mosè scrisse i Dieci Comandamenti sul Monte Sinai. Come sottolinea Klingenstein, ciò che avviene sul Monte Sinai rappresenta un punto di svolta nei rapporti fra uomo e Dio: con le Tavole della Legge il contratto fra il popolo ebraico e Dio non è più solo orale, ma messo per iscritto e quindi molto specifico. Dal momento in cui Frimme Hersh firma il suo contratto, ogni cosa che accadrà nella sua vita non potrà che essere interpretata come parte del suo patto con Dio. Inoltre, anche se la stessa Torah è di fatto una raccolta di tutti gli accordi stipulati fra Dio e il popolo ebraico, tradizionalmente il contratto è stipulato fra la comunità ebraica e Dio: quello di Frimme Hersh è, invece, individuale. L’importanza della possibilità di stipulare un contratto con Dio deriva anche dal fatto che
“the knowledge of the Law included (…) an entitlement to justice, which is the right to insist that both parties stick to the terms of an agreement”: ciò permette a ogni ebreo “to call God to order, to demand an account, and to rebel against injustice without exploding the framework of his faith” (S. Klingenstein, 2007, p. 83).
Se tutte le clausole del contratto vengono rispettate da entrambe le parti, niente può andare storto. Da questa prospettiva, quindi, la morte di Rachel rappresenta per Frimme Hersh un doppio trauma, non solo per quanto riguarda la sfera affettiva, ma anche per la solidità della sua fede in Dio. Di ritorno dal funerale di sua figlia, invece di prepararsi a osservare la shiva -ossia il periodo di almeno una settimana dedicato al cordoglio del morto- Frimme Hersh prende la piccola pietra su cui è scritto il suo contratto con Dio, vi sputa sopra e la getta fuori dalla finestra. La piccola pietra portata dalla Russia scompare lentamente nella pioggia battente. Se da un lato la pietra può rappresentare la tenacia e lo spirito di sopravvivenza del popolo ebraico, dall’altro è anche il simbolo dell’indistruttibile legame fra passato e presente, fra Europa e Stati Uniti, di quel legame che da sempre unisce gli ebrei ovunque si trovino, ebrei che hanno sempre sentito di essere accomunati da uno stesso destino. È proprio questo destino comune che spinge i membri più anziani della comunità di Piske a scegliere proprio Frimme Hersh come colui che dovrà emigrare e sfuggire così ai pogrom antisemiti che stavano dilagando nell’Europa orientale e nell’Impero Russo.
Da questo punto di vista la piccola pietra funziona anche da point of memory: è la porta d’ingresso al passato, l’eterno memorandum dei sacrifici compiuti dalla sua comunità affinché Frimme Hersh potesse salvarsi. Nell’epilogo, Shloime Khreks, un ragazzino ebreo ortodosso appena arrivato a New York, si trova in una situazione simile a quella vissuta da Willie in To the Heart of the Storm: è stato preso di mira da un gruppo di ragazzi del quartiere che lo deridono per i suoi riccioli e il suo cappello. Nel tentativo di difendersi, il ragazzino comincia a tirar loro dei sassi e fra questi trova per caso la piccola pietra su cui Frimme Hersh aveva scritto il suo contratto con Dio. La legge e decide di firmarla a sua volta. Disfacendosi della pietra, Frimme aveva tentato di cancellare il passato o almeno di prendere le distanze da esso e da tutto ciò che rappresentava. Se il suo contratto con Dio è apparentemente spezzato o concluso, il ritrovamento della pietra da parte di Shloime Khreks suggerisce che il patto con Dio non è concluso, ma che è anzi destinato al contrario a rinnovarsi continuamente in quello che sembra un circolo vizioso, destinato a non finire mai e a unire per sempre passato e presente, Stati Uniti ed Europa. La pietra, quindi, può anche simboleggiare il punto di contatto fra
“memory and forgetting, (…) shock and self-protection.” (Hirsch, 2012:119).
Quando si affronta la problematica eredità lasciata dalla Shoah, la memoria storica è importante, non solo perché fa sì che il passato non venga dimenticato, ma anche perché rappresenta un atto di sfida e di resistenza nei confronti del nazismo. Nella loro volontà di creare una nuova Europa libera dagli ebrei, infatti, i nazisti non volevano soltantosterminarli fisicamente, ma anche
“destroy even the memory of their ever having existed” (Hirsch, 2012:179),
far sì che il loro passato, la loro storia millenaria, le loro tradizioni e la loro lingua venissero dimenticati. Non è un caso dunque che nelle opere di Will Eisner si trovino molti esempi di termini in yiddish. Lo yiddish, il cui uso è stato drasticamente ridotto fin quasi a scomparire in conseguenza della Shoah, è per molti il simbolo più esemplare e inequivocabile della memoria dell’Olocausto. Soprattutto per le prime generazioni di immigrati, l’yiddish ha rappresentato un importante legame comunitario. Oggi, invece, viene raramente parlato dai figli e dai nipoti degli immigrati della prima generazione, che spesso vedono in esso l’emblema di un passato doloroso e lontano. Nonostante questo – o forse proprio per questo - da quando è stato pubblicato per la prima volta, A Contract with God è stato tradotto
“into six languages, including, appropriately, Yiddish” (Eisner, [1978] 2006:XIX),
una lingua che Eisner ammette di non riuscire né a leggere né a scrivere, ma in cui invece gli accade di pensare. Infine, nel loro atto di ricordare e raccontare, anche attraverso la finzione letteraria, episodi di vita impregnati di razzismo, di pregiudizi e di un profondo e talvolta doloroso senso di sradicamento dal paese natale, To the Heart of the Storm e A Contract with God si situano all’interno di un più vasto contesto di
“collective resistance” (Hirsch, 2012:180).
In questo senso, dunque, i due graphic novel di Will Eisner sono dei veri e propri “testimonial objects” in grado di trasmettere “memory traces from the past” contenendo in sé, al tempo stesso, “the very process of its transmission” (Hirsch, 2012:178). Nel loro andare a toccare il cuore della tempesta, rappresentano anche, indirettamente, una sorta di
“testament of faith” (Hirsch, 2012:186)
in un futuro migliore.
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Eisner, W., A Contract with God – A Novel, New York, W.W. Norton & Company, [1978] 2006.
Eisner, W., To the Heart of the Storm, New York, W.W. Norton & Company, [1991] 2008.
Hirsch, M., The Generation of Postmemory – Writing and Visual Culture after the Holocaust, New York, Columbia University Press, 2012.
Joyce, J., Ulysses, The Gabler Edition, New York, NY: Random House, [1922] 1986
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