Donne e crime fiction: siamo ancora vittime degli stereotipi di genere?

Francesca Colò analizza quattro crime fiction, due americane e due italiane, analizzandone analogie e differenze nella presentazione delle "donne con la pistola". La figura femminile è ancora vittima degli stereotipi di genere? Il saggio presentato espone proprio questa, tematica passando in rassegna le crime fiction True Detective, Breaking Bad, Donna Detective e Gomorra. 

Si dice che fin dalla sua nascita la televisione abbia fortemente condizionato il modo in cui ognuno di noi vede il mondo e che abbia influito su una lunga serie di relazioni sociali, da quelle interne al nucleo familiare a quelle politiche. Allo stesso modo si dice che la televisione sia uno specchio della società, che non fa altro che trasporre sullo schermo la vita di tutti i giorni. Fin dal suo ingresso nelle case, la TV ha proposto un’immagine femminile sempre troppo legata agli stereotipi di genere diffusi nella società, finendo per influenzare a sua volta la società stessa, creando una sorta di circolo vizioso dal quale la donna solo ultimamente, forse, esce vincitrice al pari dell’uomo.

 

 1. Introduzione: donne e televisione

2. La critica femminista e l’evoluzione dello stereotipo di genere

3. Donne con la pistola: quali modelli ci propone la TV

4. Protagoniste femminili in prima linea

5. Bibliografia

 

1. Introduzione: donne e televisione

Qual è la rappresentazione della donna in televisione e in particolare nelle crime fiction? Ci sono molte differenze e altrettanti punti in comune sulle rappresentazioni delle donne nelle crime fiction tra Italia e Stati Uniti. Questo è valido non solo per le donne poliziotto – figure ormai frequenti nel panorama crime - ma anche per le donne criminali, molto meno diffuse nel contesto televisivo e perciò particolarmente interessanti come oggetto di studio. Sono personaggi femminili estremamente diversi tra loro ma che hanno in comune il doversi muovere in ambienti decisamente maschiocentrici e spesso maschilisti. Nel panorama seriale contemporaneo, quattro serie TV crime – due italiane e due statunitensi - hanno avuto un forte impatto mediatico e in tutte e quattro le protagoniste si prestano particolarmente alla messa in discussione del classico stereotipo femminile diffuso non solo nella televisione italiana, ma anche in quella americana. Quale delle due ha fatto maggiori passi avanti negli ultimi anni?

 

2. La critica femminista e l’evoluzione dello stereotipo di genere

Prima di analizzare i suddetti personaggi, è necessario porre delle basi teoriche relative alle diverse correnti femministe e alle numerose critiche che sono state mosse nei confronti della televisione per il suo modo di rappresentare la donna. Il femminismo delle prime due ondate - basato inizialmente sull’assoluta rimozione delle diversità tra uomo e donna (anni Sessanta e Settanta), ed evolutosi poi nel tempo nel cosiddetto "modello della valorizzazione delle differenze" (seconda metà degli anni Settanta e anni Ottanta) - aveva come obiettivo principale quello di sconfiggere gli stereotipi e far sì che le donne non fossero più confinate tra le mura domestiche (Capecchi 2006). Ciò che il femminismo dell’epoca condannava, era che le donne, più che ‘nella’ televisione come protagoniste erano ‘davanti’ alla televisione come spettatrici e, nei casi in cui non erano sotto rappresentate, i ruoli da loro ricoperti erano sempre e comunque indice di ‘inferiorità’. Infatti, soprattutto nelle soap opera, i personaggi femminili erano principalmente casalinghe (Vita da strega, Happy Days) e, quando invece occupavano un ruolo professionale, erano sempre subordinate all’uomo, sfortunate in amore a causa della loro ambizione o rappresentate come oggetti sessuali. In generale, l’immagine proposta dai media era quella di una donna moglie e madre, vulnerabile, debole e sempre sottomessa all’uomo. Si parla, in particolare, di male gaze: la donna è stata in passato e viene ancora oggi – in base però a presupposti differenti che approfondirò a breve - rappresentata dal punto di vista maschile e nel modo che è più congeniale all’universo dell’uomo.

Negli anni Novanta si sviluppa una nuova corrente definita postfemminismo, che pone al centro questioni come l’obbligatorietà dell’eterosessualità come pilastro della struttura patriarcale e la rivendicazione del pluralismo sessuale e di genere. E' a questo periodo che risale teoria queer di Judith Butler autrice di importanti testi come Gender Trouble e Bodies that Matter. Rosalind Gill, professoressa di gender studies presso l’Università di Londra, ha dato un’interpretazione molto personale alla corrente postfemminista, definendola come una vera e propria sensibilità (2007), cioè un particolare approccio dei media nei confronti della rappresentazione della donna, che si manifesta come una mescolanza di valori. Quello che emerge è che il postfemminismo non è altro che un entanglement, cioè un intreccio tra idee femministe ed anti-femministe nel quale la donna non ricopre più il ruolo di oggetto nell’immaginario collettivo, ma diventa finalmente soggetto agentivo dotato di autonomia e potere.

La donna postfemminista proposta dai media sceglie dunque, consapevolmente, di oggettivare il proprio corpo non solo per piacere agli uomini, ma anche per soddisfare il proprio narcisismo, quella voglia di piacere a se stesse (Capecchi 2009). Il corpo è visto come uno strumento di empowerment femminile ma, allo stesso tempo, deve costantemente essere tenuto sotto controllo in modo da non poter essere soggetto a critiche da parte sia degli uomini che delle altre donne. Il risultato è che le protagoniste della TV rispondono spesso a canoni estetici considerati socialmente appetibili, o fanno di tutto per accostarvisi il più possibile: solo alcune – ovviamente magre, giovani e bellissime - sono costruite come soggetti attivi, dunque tutte coloro che non fanno parte di questa categoria ne sono escluse. Donne in sovrappeso e non più giovani sembrano non avere lo stesso diritto ad essere attive e desiderose di trovare un partner sessuale (Harvey, Gill 2011). Il conflitto tra i valori femministi ed anti-femministi di cui parla Gill sta quindi nella coesistenza tra la riappropriazione del corpo e l’autodisciplina al quale esso viene sottoposto costantemente, perché la donna vede e giudica se stessa non con i propri occhi, ma in base al modo in cui crede un uomo la giudicherebbe.

3. Donne con la pistola: quali modelli ci propone la TV?

Negli ultimi anni, sia in Italia che negli Stati Uniti, è stata prodotta una discreta quantità di crime fiction. Tradizionalmente, i contesti nei quali si svolgono queste serie (commissariati, procure, centrali di polizia) sono dominati da figure maschili. Era ed è ancora frequente vedere uomini svolgere ruoli che, in base agli stereotipi di genere, sono considerati tipicamente maschili – primi fra tutti personaggi delle forze armate, della giustizia o della criminalità. È emersa tuttavia, negli ultimi 15 anni, la tendenza a inserire maggiormente le donne in questi contesti, collocandole, però, all’interno di determinati modelli di rappresentazione. In alcuni casi la donna è l’eroina protagonista che riesce a risolvere i casi che le si presentano. Raramente questo tipo di personaggio è rappresentato nella sfera privata, che costituisce, nella maggior parte dei casi, motivo di conflitto con la vocazione professionale. Ancora una volta la donna in carriera deve scegliere se sacrificare aspetti come l’amore e la maternità per potersi realizzare professionalmente. E’ molto frequente che l’eroina protagonista sia caratterizzata da solitudine affettiva, perché disinteressata alle relazioni sentimentali o incapace di gestire il rapporto con la famiglia (Giomi 2012). Più spesso, però, i personaggi femminili nelle serie crime sono complementari all’interno di un racconto corale -fanno cioè parte di una squadra e svolgono funzioni determinanti, ma raramente sono a capo dell’équipe (CSI e NCIS)– oppure sono simmetriche ad un personaggio maschile e fanno parte di una coppia crime (Castle, Bones).

Un’altra strategia utilizzata per riempire la frattura nata nel sistema di rappresentazione classico, è quella di creare una sorta di ‘ibrido’ tra il maschile e il femminile: è il caso del cosiddetto tomboy, la donna maschiaccio della quale vengono smussati gli aspetti tipicamente femminili. Il tomboy ha corpo androgino, veste in modo affatto provocante e ha interessi maschili; la carica erotica del personaggio viene limitata, dando vita ad un soggetto che dà l’idea di essere poco sviluppato fisicamente e, per questo, sessualmente immaturo. Oramai quella della "donna con la pistola" è un’immagine decisamente usuale; si tratta di personaggi che, nella lotta tra il bene e il male, si trovano quasi sempre dalla parte del ‘giusto’. Tipico esempio di questa tipologia di personaggio è il commissario Giovanna Scalise di Distretto di Polizia (Isabella Ferrari). Molto meno usuale è, invece, la presenza di personaggi femminili che ricoprono ruoli criminali: solo una parte minima delle donne nella fiction -talmente piccola da poter essere considerata insignificante- viene rappresentata come ‘deviante’. Vi sono tuttavia rare eccezioni, due delle quali sono prese in considerazione nella mia analisi.

 

4. Protagoniste femminili in prima linea

Antigone ‘Ani’ Bezzerides (True Detective), Lisa Milani (Donna Detective), Immacolata Savastano (Gomorra – La Serie) e Skyler White (Breaking Bad) sono i quattro personaggi femminili che ho scelto di studiare: ciò che mi ha fatta propendere per questa scelta è non solo la loro appartenenza alla categoria delle donne con la pistola, ma anche il loro essere in prima linea, al comando, o per lavoro o per senso del dovere. Dopo aver raccolto tutte le informazioni relative ai personaggi, averli confrontati tra loro e aver paragonato le modalità di rappresentazione della donna nelle serie crime in Italia e negli Stati Uniti, non è facile tirare le somme: tutti e quattro i personaggi, infatti, appaiono stereotipati per alcuni versi e innovativi per altri. Sempre più frequentemente si vedono in TV donne forti e indipendenti che sfidano la classica rappresentazione femminile, ma non è così usuale trovare donne che guidano da sole una squadra o che, se affiancate da uomini, non rappresentano la parte razionale della coppia o del gruppo.

Quest’ultima forma narrativa per cui la donna è solitamente l’elemento calmo e riflessivo, è frequente nelle crime fiction e si basa su un altro stereotipo di genere decisamente diffuso: all’uomo poliziotto e macho corrispondono irrazionalità, istinto e forza, mentre la donna è colei che deve pacare l’animo maschile perché chioccia e timorosa, nonché poco propensa all’azione. Un aspetto che accomuna la rappresentazione della donna con la pistola in Italia e negli Stati Uniti -sempre limitatamente alle fiction da me visionate- è sicuramente quello riguardante l’empowerment dei personaggi, dunque una sorta di presa di potere da parte delle protagoniste e la consapevolezza di poter usufruire della loro forza e delle loro capacità per affrontare problematiche quotidiane.

Allo stesso modo a non mancare, né nel nostro Paese né oltreoceano, è il sessismo che, più o meno marcatamente, si fa spazio nella vita di Lisa, Ani, Skyler e Imma: in tutti e quattro i casi presi in esame le protagoniste vengono apostrofate in malo modo dagli uomini che le circondano e le offese loro mosse -spesso in maniera immotivata- non sono altro che critiche al loro essere donne, come se la loro femminilità fosse di per sé una motivazione per insultarle. Ciò che invece distingue le due fiction italiane (Gomorra e Donna Detective) da quelle statunitensi (True Detective e Breaking Bad) è la mancata attenzione alla sfera sessuale delle due protagoniste Imma e Lisa: mentre negli Stati Uniti la sessualità di Ani e Skyler emerge spesso e diventa anche fattore di discussione tra i personaggi, in Italia questo aspetto è quasi del tutto assente e soppiantato da una maggiore attenzione alla sfera familiare e affettiva; la donna delle crime fiction americane appare dunque più sessualmente emancipata di quella italiana

Antigone ‘Ani’ Bezzerides, protagonista di True Detective, sembra apparentemente il classico tomboy, a causa del suo modo di vestire ed atteggiarsi estremamente mascolino e della solitudine affettiva, vista come una sorta di punizione per la sua ambizione professionale; in realtà la fisicità molto femminile dell’attrice mette in discussione questa visione, così come l’accento posto sulla vita sessuale della donna, che solitamente viene considerata inesistente quando si tratta di personaggi come quello di Ani.

Allo stesso modo, Lisa Milani (Donna Detective) è costretta a pagare una contropartita affettiva a causa della voglia di inseguire i propri sogni: passa dall’essere una mamma ‘chioccia’ molto presente all’essere una detective in prima linea, vivendo l’ormai tradizionale conflitto tra carriera e famiglia. E’ sicuramente una donna forte e tenace, ma anche comprensiva ed ottimista, in grado di perdonare il marito per il suo tradimento. Tra i quattro personaggi analizzati, quello di Lisa appare come il più stereotipato, perché corrisponde all’immagine della madre in carriera ormai abbastanza frequente in televisione. In entrambi i casi, sebbene gli autori vogliano far apparire Lisa e Ani come donne indipendenti, non manca la presenza di un uomo, un eroe maschile che le affianchi nei momenti di difficoltà: anche l’anaffettiva Ani, alla fine, si lascia andare ai sentimenti e diventa madre (andando di nuovo controcorrente rispetto allo stereotipo classico della donna maschiaccio). In ogni caso si fatica ancora a trovare un personaggio femminile che sia del tutto autonomo -sentimentalmente o concretamente- dal genere maschile. Skyler e Imma, per il solo fatto di essere due donne criminali, sfidano la visione tipica della donna in TV che, vorrei ribadire, viene rappresentata come deviante solo in una minuscola percentuale di casi.

Skyler White (Breaking Bad) nasce come madre di famiglia integerrima, la cui vita sembra votata solo ed esclusivamente al benessere dei propri cari; apparentemente è una figura già vista nelle fiction. Tuttavia si trova presto ad affrontare una situazione più grande di lei e, nel momento di decidere se divorziare dal marito produttore e spacciatore di metamfetamina oppure prestare le proprie competenze per aiutarlo nel riciclaggio del denaro sporco, sceglie la seconda opzione. Affascinata dalla ricchezza e mossa dall’amore materno -vuole infatti proteggere a tutti i costi i suoi figli dall’uomo violento che si è rivelato essere suo marito- inizia a partecipare attivamente e con successo all’attività illecita del coniuge, accorgendosi presto, suo malgrado, di non essere in grado di sopportare la situazione. Finisce con il lasciare il marito senza però denunciarlo alla polizia.

Imma Savastano (Gomorra – La serie), al contrario, vive con tranquillità la sua condizione di moglie di un potente boss di camorra prima e di capo clan dopo. La sua fermezza si nota non solo nella capacità di svolgere in modo impeccabile il ruolo del marito, ma anche nel suo essere madre. La criminalità è parte integrante della vita di Imma da sempre, contrariamente a Skyler che si improvvisa delinquente. Sia Imma che Skyler esulano dallo stereotipo che vuole la donna come irrazionale ed incompetente poiché, grazie alla loro astuzia e alle loro conoscenze, riescono a sfidare l’autorità maschile e a riuscire nelle attività che svolgono anche in modo migliore rispetto ai loro corrispettivi maschili. Sono pur sempre madri, ma appartengono alla classe più moderna delle madri vendicative (Natale 2015), disposte a tutto pur di proteggere la propria famiglia. Tra tutti i personaggi studiati, quello di Imma appare come il più innovativo, cioè quello che si discosta maggiormente da tutti quei canoni usualmente proposti dalla televisione.

Sebbene Imma operi in un contesto tradizionale come quello della camorra, dove è frequente che le donne prendano il comando per fare le veci di un parente, la sua immagine proposta nella fiction Gomorra esula dagli standard tipici che vogliono la donna come sentimentale, relegata solo ed esclusivamente alla sfera affettiva oppure in perenne conflitto tra lavoro e famiglia. Alla luce di questi risultati si può affermare che gli Stati Uniti propongono un’immagine meno conformista della donna con la pistola, soprattutto se ci si focalizza sull’emancipazione femminile a livello sessuale. Nel caso dei personaggi positivi, Ani è sicuramente meno stereotipata rispetto a Lisa, essendo quella della madre in carriera una figura ormai molto frequente. Al contrario, nel caso di personaggi negativi, quindi di donne criminali, l’Italia risulta più all’avanguardia, proponendo un personaggio nuovo ed attuale come quello di Imma, deviante e criminale dalla prima all’ultima puntata della serie, al contrario di Skyler che, invece, finisce per ricondursi alla figura di una moglie dipendente dal marito ma, allo stesso tempo, impaurita da lui. Ciò che è emerso, in conclusione, è che i personaggi analizzati appaiono prismatici, così come Buonanno (2014) ha descritto la maggior parte delle donne proposte dalla televisione attuale: sicuramente sono stati fatti passi avanti rispetto al passato e i personaggi femminili si sono discostati in parte da una serie di stereotipi di genere reiterati fin dalla nascita del mezzo televisivo. Allo stesso tempo, però, si fa ancora fatica ad eliminare degli aspetti ‘tradizionali’ che riconducono la donna a particolari canoni estetici e comportamentali. Il risultato è quindi quello di donne multi-sfaccettate non perfettamente riconducibili a modelli passati, ma che costituiscono, allo stesso tempo, nuovi ed interessanti casi di studio.

 

5. Bibliografia

Buonanno, M. (2014), "Donne al comando tra action e melodramma. Il caso di Squadra antimafia", in Il prisma dei generi. Immagini di donne in tv, Buonanno, M. (a cura di), Franco Angeli, Milano, pp. 49-77.

Butler J. (1990), Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Editori Laterza, Roma-Bari.

Capecchi, S. (2006), Identità di genere e media, Carocci editore, Roma. 

Capecchi, S. (2009), "Il corpo perfetto. Genere, media e processi identitari", in Media, corpi, sessualità. Dai corpi esibiti al cybersex, Capecchi, S., Ruspini, E. (a cura di), Franco Angeli, Milano, pp. 37-62.

Giomi, E. (2012), "Donne armate: sessismo e democrazia nelle fiction poliziesche", in Sessismo democratico: l’uso strumentale delle donne nel neoliberismo, Simone, A. (a cura di), Mimesis, Milano, pp. 51-83.

Gill, R. (2007), "Postfeminist media culture: elements of a sensibility", in European Journal of cultural studies, 10 (2), pp. 147-166.

Harvey, L., Gill, R. (2011), "Spicing it up: sexual entrepreneurs and The Sex Inspectors", in New femininities. Postfeminism, neoliberalism and subjectivity, Palgrave Macmillan, Londra-New York, pp. 52-67.

Natale, A. M. (2015), "Tra modernità e tradizione. Donne e madri nella fiction televisiva italiana", in Scienze e ricerche, n. 9, pp. 21-26.

 

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