"Black Images Matter": stili, tematiche e tendenze del nuovo cinema afroamericano

Claudio Ciccotti

Intervista a Lapo Gresleri

Storico e critico del cinema, Lapo Gresleri nasce a Bologna nel 1985. Si laurea in Caratteri del cinema nordamericano con Franco La Polla per poi conseguire una specializzazione in Cinema e studi culturali con Roy Menarini. Collaboratore della Cineteca di Bologna, oggi è autore di saggi, articoli e recensioni apparsi su riviste nazionali e internazionali.

Da anni si divide tra le attività di operatore culturale, docente esterno di cinema e linguaggio audiovisivo nelle scuole e ricercatore indipendente in storia del cinema con particolare attenzione al cinema afroamericano, di cui risulta uno dei più validi esperti su territorio nazionale. Oltre a corsi, lezioni e masterclass, ha curato alcune rassegne sull’argomento ed è il responsabile della sezione “Black Films Matter” del Rome Independent Film Festival, la prima dedicata a questa specifica cinematografia in un festival italiano. Inoltre, ha pubblicato con Bietti Spike Lee. Orgoglio e pregiudizio nella società americana (2018) che rappresenta la più recente e completa monografia sull’autore, di cui Gresleri rilegge l’opera nel complesso contesto politico, sociale e culturale statunitense. A questo volume è seguito, sempre per Bietti, Body and Souls. Il corpo nero, #BlackLivesMatter e il cinema afrosurrealista (2021), in cui Gresleri analizza uno dei più significativi filoni della nuova produzione afroamericana e le sue implicazioni nella realtà contemporanea.

Con Black Images Matter (Odoya, 2025) Gresleri allarga il campo della sua indagine, realizzando quella che Roy Menarini definisce nella prefazione del libro “la ‘carta di navigazione’ dell’imponente produzione del cinema afroamericano di questi anni”. Qui Gresleri analizza stili, tematiche e tendenze di una cinematografia sempre più significativa nel panorama culturale nazionale e non solo. 

 

D: Lapo, partiamo dall’inizio. Black Images Matter: perché questo titolo?

R:  Il titolo prende spunto dal movimento #BlackLivesMatter nato nel 2013 per denunciare la sistematica violenza della polizia americana nei confronti degli afroamericani, poi affermatosi a livello internazionale con la morte di George Floyd nel 2020. La mia intenzione è quella di evidenziare come, in parallelo agli intenti sociopolitici degli attivisti, anche i giovani artisti neri stiano sviluppando discorsi affini. Le loro opere  mirano a sensibilizzare il pubblico su questioni pressanti del loro vivere civile. Assistiamo a questo soprattutto nel cinema, forma popolare di narrazione per immagini, che da sempre influenza la nostra percezione del mondo, con specifici modi di vedere, pensare e interpretare la realtà circostante.

 

D: Questo è il tuo terzo libro sull’argomento. Perché è importante parlare oggi di una produzione così specifica, quasi di nicchia, come appunto il cinema afroamericano?

R: Quella afroamericana è una delle espressioni più innovative e originali della cinematografia contemporanea. Si presenta come uno strumento ideale per riflessioni profonde e stimolanti inerenti l’odierno contesto multietnico statunitense e le questioni irrisolte a esso connesse. Il cinema afroamericano ci offre uno sguardo sulla società alternativo a quello bianco hollywoodiano: ne rielabora dall’interno stili e linguaggi, porta alla ribalta contraddizioni e problematiche presenti, su diversa scala, anche in Europa. È anche per questo motivo che queste storie, all’apparenza lontane da noi, diventano vicine, sempre più nostre. Siamo immersi in uno scenario globale dove la convivenza tra culture ed etnie è quanto mai necessario.

 

D: Il tuo è il primo studio italiano ad affrontare in maniera approfondita la nuova scena cinematografica afroamericana che definisci “New Black Wave”. Quali sono i tratti peculiari e le principali innovazioni di questo fenomeno culturale?

R: Possiamo identificare tre macro-tendenze. In primis, troviamo la rielaborazione dei generi cinematografici e dei relativi canoni hollywoodiani. Sfruttando il linguaggio cinematografico ormai comune al pubblico, questo movimento diffonde contenuti che mettono in discussione la narrazione di riferimento, le idee e i valori di cui è portatrice. In secondo luogo, assistiamo alla decostruzione degli stereotipi denigranti associati ai neri, oggi messi in discussione da rappresentazioni più realistiche, complesse e articolate rispetto all’essere afroamericani. Infine, troviamo l’elaborazione di un nuovo immaginario storico e culturale, che rinnova e aggiorna la memoria e la coscienza collettiva con una prospettiva di onestà ed equilibrio intellettuale.

 

D: Un tempo avevamo Spike Lee e John Singleton. Chi sono i grandi nomi del black cinema del nuovo millennio?

R: Sono tantissimi. Ricordiamo i celebratissimi Jordan Peele e Ryan Coogler per i loro lavori di riscrittura in chiave black del cinema horror e d’azione. Accanto a loro, citiamo Barry Jenkins e la sua decostruzione dell’immaginario delle periferie americane e dei loro abitanti, o i profondi ritratti femminili di Ava DuVernay. Tra i meno noti, almeno in Italia, vanno menzionati almeno Dee Rees e Billy Porter per aver portato all’attenzione la realtà omosessuale o transgender nera, marginalizzata e discriminata anche all’interno della loro stessa comunità. Spazio a sé meritano anche gli intenti di denuncia di Lee Daniels, Carey Williams, Nate Parker, Roger Ross Williams o Garrett Bradley in merito alle violenze sistematiche e ai soprusi fisici o istituzionali di cui gli afroamericani sono vittime, a prescindere dal ceto o genere di appartenenza.

 

D: Sono autori molto diversi tra loro. C’è qualcosa che unisce questi artisti, le loro opere e il loro impegno in campo culturale?

R: Possiamo trovare un filo conduttore che unisce autori e opere della New Black Wave nella comune riflessione sul corpo nero. Questo diventa oggetto di analisi non solo estetica come accaduto in passato coi modelli alternativi rappresentati da Dorothy Dandridge e Sidney Poitier, Denzel Washington e Halle Barry. Il discorso oggi è prettamente socioculturale: il corpo diventa il principale mezzo attraverso cui l’afroamericano vive, fa esperienza e a volte subisce la propria alterità. Al contempo, è proprio con il corpo che afferma questa alterità, con la forza e la dignità acquisite negli anni, tra soprusi, violenze, conquiste e traguardi, sia personali sia collettivi. Oggi come ieri, il corpo è un vero e proprio  terreno d’incontro e scontro tra le forze in causa.

 

D: Ora che a livello mediatico la questione nera americana sembra ridimensionata alla luce dei grandi eventi politici e storici degli ultimi anni, pensi che il discorso inerente questa cinematografia possa dirsi concluso o potranno esserci nuove svolte?

R: Il black cinema non è un momento ma un movimento, ampio e sfaccettato, che ha sempre vissuto periodi altalenanti: dai grandi successi dei race films muti all’assenza di produzioni afroamericane nella Hollywood classica; dai film di blaxploitation negli anni Settanta agli intellettuali del New Black Cinema degli Ottanta; da Spike Lee fino al graduale inserimento di numero crescente di cineasti neri nella principale industria dell’intrattenimento nazionale, fedeli a un’idea alternativa di cinema e di narrazione dell’identità statunitense. A cambiare oggi è la consapevolezza che questi autori hanno del valore della battaglia culturale in corso per il diritto all’affermazione di una propria identità individuale e comunitaria: una storia ancora tutta da raccontare.

 

Potete acquistare la copia del libro Black Images Matter da qui: https://www.odoya.it/arti/cinema/1310-black-images-matter.html