“Dopo il liceo, la mia aspirazione era quella di modificare il sistema politico italiano per renderlo più trasparente e indirizzato alle necessità sociali contemporanee. Nel corso degli studi, però, ho realizzato che molte delle difficoltà del nostro paese erano dovute al contesto internazionale e, per questo motivo, ho deciso di orientarmi verso il mondo della diplomazia.” Inizia così il racconto di Francesca Cortini, studentessa di 23 anni originaria di Forlì, che vede fin da giovanissima nella dimensione internazionale l’elemento portante per una visione concreta di futuro.
Ben presto, subito dopo la laurea triennale in Scienze Internazionali e Diplomatiche conseguita all’Università di Bologna nel 2018, Francesca comprende che l’ambito in cui vorrebbe poter dare il suo contributo era quello della cooperazione internazionale, ai suoi occhi ben più pragmatico della diplomazia. Decide così di immatricolarsi a Bologna alla magistrale in Sviluppo Locale e Globale, focalizzandosi già nel primo semestre sul contesto africano. Da lì, il passo verso il programma Field Work che l’avrebbe portata in Senegal l’anno successivo, è stato breve.
Nell’estate del 2019, Francesca parte con il progetto Certitudes Jeunes, gestito dalla ONG COSPE, alla volta della capitale Dakar. “Il progetto aveva l’obiettivo di migliorare l’accesso alle attività generatrici di reddito per i potenziali migranti e i giovani migranti di ritorno in Senegal. Inoltre, una campagna di comunicazione aveva il compito di sensibilizzare la comunità sui rischi legati alla migrazione lungo le rotte illegali e ha informato i giovani delle possibilità legali di trasferimento all’estero,” racconta.
Dopo la prima settimana passata a Dakar per familiarizzare con le usanze del paese e le attività della ONG dove era in forze, Francesca trascorre due mesi a Ziguinchor, in Casamance, regione più meridionale del Senegal. Qui porta a termine le attività previste dal tirocinio e due missioni nei villaggi in cui veniva svolta la formazione dei giovani in agroecologia e gestione d’impresa.
A livello professionale, l’esperienza in Senegal consente a Francesca di toccare con mano, e vivere nella realtà, ciò che fino ad allora aveva solo studiato sui libri. “Ho maturato un’esperienza pratica nell’analisi di dati quantitativi e qualitativi. Inoltre, le mie capacità nella stesura di un progetto per un bando di cooperazione internazionale sono migliorate notevolmente. Se non fossi partita, non avrei avuto la possibilità di vedere dall’interno il funzionamento di una ONG e come vengono attribuiti i finanziamento ai progetti.”
L’aspetto migliore del tirocinio è stato però il contatto diretto con i beneficiari del progetto. “Poter discutere e ascoltare le loro esperienze, imparare con loro, spiegare com’è veramente il clima europeo rispetto alle loro convinzioni. Il periodo trascorso nelle loro case mi ha permesso di capire più a fondo la loro cultura e il loro stile di vita,” aggiunge Francesca.
Il Field Work ha dato a Francesca anche l’opportunità di confrontarsi con coetanei provenienti da un contesto sociale e culturale molto diverso dal suo. “Sono stata accolta con calore e disponibilità dai miei colleghi. Ho conosciuto dei coetanei che sono diventati miei amici, ma con cui ho incontrato anche qualche difficoltà nel socializzare poiché non trovavamo molti argomenti in comune,” racconta, ricordando il gap culturale che spesso percepiva durante le conversazioni. “Purtroppo, pochi ragazzi possono permettersi di studiare, perché devono lavorare per aiutare la famiglia.”
Il primo impatto con il Senegal è stato forte. Macerie e detriti di vecchie e nuove costruzioni per le strade, spiagge sporche e inquinamento, animali lasciati liberi per le strade. Dormire sotto a una zanzariera per evitare di essere punti durante la notte dalle zanzare, portatrici di malaria. Non avere accesso all’acqua potabile e dover fare i conti con la scarsa elettricità.
Inizialmente, non è stato semplice abituarsi, ma dopo un paio di settimane Francesca entra in confidenza con le abitudini alimentari, igieniche e sociali senegalesi, grazie anche ad una meticolosa preparazione prima della partenza. “Devo ammettere che le mie capacità di adattamento al nuovo stile di vita mi hanno sorpresa positivamente. Mi ero preparata all’ambiente che avrei trovato grazie a una giornata di formazione trascorsa a Firenze presso la ONG e chiedendo informazioni ad altri studenti che avevano già svolto il tirocinio in Senegal. La mia preoccupazione più grande era essere in grado di gestire le condizioni climatiche e prendere adeguate precauzioni sanitarie.”
Le difficoltà quotidiane sono state molteplici, e di natura spesso inedita per un cittadino europeo. “È stato complicato orientarsi nelle città perché non esiste un centro o una piazza, le vie non hanno nome e sono composte solo da case e piccoli negozietti. Mi ritrovavo così a fare passeggiate al mercato dove però una ragazza bianca riceve molte attenzioni indesiderate.” Attenzioni, destate perlopiù dal colore della sua pelle. “La maggior parte della popolazione vede ancora i toubab, i bianchi, come dei colonizzatori sfruttatori delle loro terre,” racconta Francesca. “Se sei bianco ed esci con dei senegalesi, penseranno sempre di essere tuoi ospiti. In alcuni momenti è stato difficile distinguere chi si avvicinava a me per amicizia da chi cercava solamente un vantaggio economico. Inoltre, ogni volta che volevo acquistare un prodotto sapevo che mi avrebbero fatto un prezzo più alto. Per mostrare la mia buona volontà, ho imparato le basi del wolof, la lingua nazionale, e a contrattare al mercato.”
Sebbene il colore della pelle influisca ancora nei rapporti con i locali, i senegalesi sono famosi anche per il loro animo pacato e cortese. “Nonostante alcune difficoltà, ho apprezzato il loro senso dell’ospitalità, che mi ha ricordato molto la cultura italiana, e la loro gentilezza. Inoltre, nel paese vige il rispetto delle altre culture: il Senegal è un paese per il 90% musulmano e 10% cristiano, ma le due comunità convivono in armonia. Non ci si sente mai giudicati per avere un credo o usanze diverse."
Un’esperienza, quella del Field Work, che permette agli studenti come Francesca di vivere in modo diretto situazioni spesso complesse e lontane dalle loro realtà, per comprendere in che modo possono dare il loro massimo contributo. “Il tirocinio in Senegal mi ha fatto capire che non potrei vivere per lungo periodo in un paese in cui il bagno si trova in una capanna al di fuori della casa e l’acqua si raccogliere dal pozzo,” ammette la studentessa. “Tuttavia, sono riconoscente di avere fatto questo percorso e di essermi immersa a pieno nello spirito del progetto. Mi ha aiutato a capire che vorrei lavorare nell’ambito progettuale della cooperazione internazionale, per dare il mio contributo alla stesura delle politiche implementate nei paesi in via di sviluppo.”
Attualmente, Francesca si trova a Lione per completare l’ultimo semestre di studi a Sciences Po Lyon e approfondire il tema della cooperazione internazionale. Al contempo, sta scrivendo la sua tesi su un progetto europeo che ha ideato insieme agli altri membri di OpportuniSID, un’associazione di promozione sociale in cui svolge volontariato. “Il progetto, che rientra nelle attività del Corpo Europeo di Solidarietà, ha l’obiettivo di avvicinare gli studenti al mondo del lavoro fornendo loro informazioni e capacità complementari a quelle universitarie,” spiega.
“Durante la mia esperienza con il programma Field Work mi sono resa conto con rammarico di quanto il nostro lavoro spesso non sia sufficiente a migliorare la condizione della popolazione,” conclude Francesca. "Ed è proprio per questo motivo che terminati gli studi desidero lavorare presso un’istituzione europea o un’organizzazione internazionale che si occupi di sviluppo e cooperazione, e impegnarmi affinché gli sforzi della comunità internazionale nelle aree più povere del pianeta siano sempre più incisivi ed efficaci.”
In bocca al lupo, Francesca!