Una borsa di studio per l’Erasmus e un imminente trasferimento in Portogallo. Chiara Spatafora, studentessa dell’Università di Bologna iscritta alla Laurea magistrale in Sviluppo Locale e Globale, aveva un progetto chiaro e ben delineato per il suo prossimo futuro. Il destino, però, ha deciso di scombinare le carte in tavola e mettere sul piatto un’altra possibilità: “Stavo controllando le pratiche dell’Erasmus, quando mi sono ritrovata davanti il programma Field Work, un’esperienza di cooperazione internazionale allo sviluppo resa possibile dalla mia università. Dopo aver letto il bando, ho immediatamente rinunciato all’Erasmus per tentare quest’altra strada, senz’altro diversa ma perfettamente in linea con il tipo di carriera che avevo scelto.”
Chiara, nata e cresciuta a Palermo, ha sviluppato già da giovanissima un forte interesse per le Scienze politiche. Questa passione l’ha portata dalla sua Sicilia a Forlì, per studiare Scienze Internazionali e Diplomatiche. “Ho scelto l’Università di Bologna per due ragioni: per la qualità dell’Università e perché in questo modo potevo vivere per la prima volta da sola in una nuova città. Avevo infatti un fortissimo desiderio di mettermi in gioco e di sfidare i miei limiti,” racconta Chiara. Un modo di vedere e affrontare la vita, che ancora oggi la guida nelle sue scelte.
Il desiderio di conoscere il mondo e le opportunità offerte dall’Ateneo, hanno portato Chiara prima in Croazia e poi oltre oceano, in Argentina. “Andare così lontano ha avuto un grosso impatto sulla mia visione del mondo, facendomi anche capire che non era la carriera diplomatica quella che volevo intraprendere.” Per questa ragione, subito dopo la triennale, Chiara ha deciso di avvicinarsi agli studi sullo sviluppo e al mondo della cooperazione internazionale dove, finalmente, si è sentita nel posto giusto.
Così, una volta vinto il bando per il programma Field Work, il biglietto aereo per il Portogallo è stato sostituito da uno per il Mozambico e Chiara è partita per supportare ISCOS Emilia-Romagna nella promozione del lavoro dignitoso e dell’occupazione giovanile. Nella provincia rurale di Tete, dove era diretta, sono state scoperte ingenti riserve di carbone che hanno attirato numerosi investitori stranieri, con il conseguente arrivo di imprese minerarie multinazionali in un’area tutt’altro che preparata ad accoglierle. L’80% della popolazione della zona vive infatti di agricoltura e il tessuto industriale locale è praticamente inesistente.
“ISCOS è una ONG a vocazione sindacalista, nasce infatti dalla CISL e si occupa quindi di promuovere i diritti umani e combattere le disuguaglianze attraverso la promozione del lavoro dignitoso nei paesi in via di sviluppo,” spiega Chiara. “Pertanto, il progetto al quale ho collaborato si pone come obiettivo quello di formare le giovani generazioni per entrare nel mondo del lavoro in maniera preparata e consapevole. Per fare ciò, ISCOS, che non ha sede direttamente nel Paese, collabora con due partner locali: l’istituto di formazione professionale provinciale e il sindacato provinciale.”
Le attività principali del progetto in Mozambico prevedevano l’erogazione di corsi di formazione professionali con elementi sindacali, per far si che non solo i giovani imparassero un mestiere, ma che fossero anche consapevoli delle leggi e dei loro diritti. Inoltre, l’iscrizione di questi lavoratori al sindacato ne ha rafforzato il potere negoziale, ancora molto limitato rispetto a quello delle multinazionali.
“Io mi sono occupata di svolgere una ricerca sull’impatto socioeconomico dei grandi progetti estrattivi nell’area, attraverso interviste semi-strutturate ai beneficiari dei corsi di formazione e la raccolta di dati quantitativi. Ho trascorso i primi due mesi e mezzo a Maputo, la capitale, lavorando in collaborazione con un centro di ricerca, l’Observatorio do Meio rural, anch’esso partner del progetto. Successivamente, mi sono recata nella Provincia per svolgere la parte pratica della ricerca, fare quindi le interviste, conoscere i partner locali e monitorare le attività di progetto, spostandomi anche in diverse comunità rurali.” La ricerca è stata poi funzionale per la scrittura della sua tesi di laurea magistrale incentrata sul rapporto fra grandi investimenti, sviluppo rurale e opportunità di lavoro in Mozambico, attraverso il case study di una popolazione rurale di Tete.
Il Mozambico, terra di grandi bellezze e contrasti, ha dato modo a Chiara di sperimentare proprio quella diversità che desiderava vivere in un’avventura come quella del Field Work, lontana non solo geograficamente dalla sua quotidianità italiana. “L’impatto iniziale è stato abbastanza traumatico. I primi giorni ho vissuto praticamente da sola nell’attesa di traslocare in casa con altri coinquilini, ed era difficile capire pure come fare la spesa, dove andare e come spostarsi,” ricorda Chiara. Per la prima volta, ha fatto l’esperienza di ciò che vuol dire essere una bianca in Africa. Ha dovuto anche imparare a contrattare, cosa che, nei primi tempi, non le riusciva affatto bene. “Era stressante e spesso, per uscire velocemente dalle situazioni scomode, rispondevo ‘va bene, hai vinto tu, sono una mulungu (modo di chiamare i bianchi) e mi faccio fregare!’.”
I livelli di povertà e di inquinamento sono altri due aspetti centrali che hanno turbato la studentessa. “Mi sono resa conto che spesso, noi occidentali, tendiamo ad analizzare la povertà, la tutela ambientale e le disuguaglianze da una prospettiva troppo circoscritta alla nostra sfera sociale, ignorando come questi fenomeni si declinano in realtà diverse, complesse e più colpite direttamente.” Secondo Chiara, solo attraverso l’esperienza diretta si può avere una visione multidimensionale che può aiutare ad analizzare questi aspetti, e quindi poi ad agire, evitando di causare più danni che benefici.
A sorprenderla di più, invece, è stata l’ospitalità. “Durante la permanenza a Tete ho vissuto in una famiglia del luogo e condiviso con loro le giornate e i pasti. Mi hanno trattata sin da subito come una figlia, concedendomi una grande fiducia e insegnandomi a fare lo stesso. Ho potuto ascoltare le storie di chi ha combattuto la guerra di indipendenza e assistere a una funzione religiosa molto particolare nella chiesa del villaggio.” Queste esperienze non sarebbero state possibili senza la generosità delle persone che ha conosciuto. “Adesso sono proprio questo senso di comunità e la gentilezza che mi mancano di più. Sono momenti che hanno il potere di farti ricordare anche persone che hai visto una volta sola, ma che hanno avuto quella piccola accortezza nei tuoi confronti che mai potrai dimenticare.”
Durante la sua permanenza in Africa, Chiara ha avuto la possibilità di vivere in due zone molto diverse del paese: la capitale Maputo, sviluppata e accogliente, e la rurale Tete. I tantissimi studenti e lavoratori da tutto il mondo che popolano Maputo la rendono una città varia e stimolante, con una vivace vita culturale e intellettuale valorizzata da numerosi concerti, festival e mostre artistiche che permettono di apprezzare la storia del paese attraverso l’arte. Al contrario, la città di Tete, situata sul fiume Zambesi, non offre grandi attrattive ed è frequentata perlopiù da lavoratori delle miniere e delle industrie. “Sebbene a Tete il tasso di povertà sia elevato, ho apprezzato molto il poter vivere in un contesto così particolare e lontano dalle mie abitudini. Inoltre, essendo rurale e incontaminato, il luogo mi ha permesso di vedere paesaggi naturali meravigliosi e godere in maniera totale della natura circostante.”
Uno dei principali vantaggi della partecipazione al bando Field Work è sicuramente la possibilità di avere una visione 'privilegiata' sul mondo e sul ruolo che si vuole avere in esso. “In questi mesi ho conosciuto tanti cooperanti italiani e stranieri. Ho potuto quindi osservare e comprendere i pro e i contro di questo lavoro che implica sicuramente un importante sacrificio a livello personale,” aggiunge Chiara. “Sono stati quattro mesi importanti di riflessione in questo senso, durante i quali mi sono chiesta più volte se era quello che volevo fare davvero. Partire mentre si è ancora studenti, con tutta la rete istituzionale a proteggerti, ti dà anche la possibilità di vedere le cose dall’esterno ed essere, forse, più oggettivo.”
Oltre ad essere un innegabile viaggio introspettivo, il Field Work mette i giovani laureandi anche a stretto contatto con una realtà lavorativa sfidante. “Ho imparato a svolgere una ricerca di campo e dunque a strutturare le fasi di preparazione, scegliere la metodologia più adatta, raccogliere le fonti, interpretare i dati e fare le interviste,” conferma Chiara. “Ma ho anche imparato molto su come gestire un progetto di cooperazione, dalle fondamentali relazioni con i partner fino alla conoscenza dell'inevitabile burocrazia. Ho finalmente messo in pratica quello che ho studiato, imparando allo stesso tempo l’importanza dello spirito di adattamento, della capacità di risolvere le situazioni in condizioni difficili, della diligenza e della perseveranza. Tutti aspetti che emergono solo ed esclusivamente grazie all’esperienza.”
Chiara si è laureata con 110 e lode a fine marzo e continua ancora oggi a collaborare con ISCOS Emilia-Romagna. L’emergenza sanitaria internazionale l’ha costretta a rinunciare al suo ritorno in Mozambico per una missione di monitoraggio, ma ha deciso comunque di seguire le attività a distanza. Con la speranza, di poter tornare presto a riabbracciare gli amici che ha lasciato a più di 7000 chilometri di distanza.
“Ci sono stati tanti alti e bassi, ma c’è una cosa che vale più di tutte: vedere i piccoli frutti del tuo lavoro, come ad esempio i giovani che beneficiano di una formazione professionale altrimenti difficilmente accessibile. Ragazzi della mia stessa età con vissuti completamente diversi dai miei, con i quali ho condiviso le stesse speranze, i sogni e la voglia di realizzarsi professionalmente.” Si impara poi ad accettare anche la frustrazione, quando un progetto o un’attività non vanno in porto, vanificando parte degli sforzi fatti. Tuttavia, secondo Chiara, "le gratificazioni che si ricevono quando si riesce a raggiungere i propri obiettivi valgono più di qualsiasi problema. Perché è lì che sta il valore della cooperazione: dare e ricevere. Incontrarsi, nonostante le difficoltà".