Sicofante nella traduzione e nella messa in scena

Maschera che ha perso, dopo la commedia greca, efficacia e vis polemica, rappresentante di un mestiere senza un referente contemporaneo univocamente identificabile, il Sicofante incarna le difficoltà che deve affrontare chi voglia colmare la distanza cronologica e culturale e rendere fruibile la commedia sulla scena di oggi. Aristofanegioca con un linguaggio e un sistema di riferimenti culturali condiviso «dall’intera comunità cittadina» [cfr. Capra (2010, 10)], tanto nel lessico quanto nel sistema dei personaggi: un simile humus deve considerarsi assente per lo stratificato e poco uniforme pubblico contemporaneo.

In mancanza di un corrispettivo in grado di rendere la lettera del testo comico e, allo stesso tempo, di trovare un riferimento culturale immediato, i traduttori si orientano per lo più verso una resa letterale del termine: Cantarella (1972), Paduano (1979), Marzullo (1982), Mastromarco (1983) traducono semplicemente «Sicofante». La medesima scelta compie van Daele (1923-1930) in tutte le commedie in cui «le Sycophante» appare come vero e proprio personaggio (Les AcharniensLes OiseauxPloutos). Nelle traduzioni inglesi si registra, invece, un’oscillazione tra «Sycophant» [cfr. Rogers (1906) in Birds] e «Informer», termine che offre un più immediato riferimento all’attività di delazione del Sicofante [così Sommerstein (1987; 2001) in Birds Wealth e Rogers (1910) in Acharnians].

Tra le scelte traduttive più coraggiose va annoverata quella di Diego Lanza (2012), che trasforma il personaggio in una vera e propria «Spia» (rinunciando così, tuttavia, al continuo gioco linguistico tra il nome συκοφάντης e la radice -φαν).

Come si trasforma il Sicofante nei copioni? Il personaggio scompare del tutto negli Uccelli di Roberta Torre (2012, la regista taglia, con il Sicofante, anche l’intera seconda schiera dei disturbatori) e nella fortunata edizione del Teatro della Tosse (2000): nella farsesca critica alla polis contemporanea, la diffusa tendenza alla delazione nontrova posto. Nel Pluto di Ricci-Forte, invece, il Sicofante si dichiara “sovrintendente alle faccende pubbliche e private de tutti, con una vocazione da spione”; mentre gli appellativi rivolti dagli altri personaggi sono volti a sottolineare l’evidente indigenza del “beccamorto” che “crepa dalla fame … de sòrdi”. La regia di Popolizio sottolinea ulteriormente la scelta dei drammaturghi: il delatore è abbigliato come un mendicante, a rimarcare il bisogno di risorse e la conseguente condotta senza scrupoli. Anche in altri casi si riscontra una tendenza a rappresentare non tanto il mestiere e il ruolo sociale del personaggio, ma le sue caratteristiche etiche: a emergere, cioè, è lo statuto “moralmente ambiguo” del Sicofante [cfr. Zanetto (1987, 321)], che si trasforma non di rado in un piccolo criminale che vive di espedienti. Negli Uccelli di Federico Tiezzi (2005), vediamo per esempio in azione un presunto businessman dai vestiti scuri, che però non esita a sfilare il portafoglio al cieco poeta Cinesia.

Si tratta di soluzioni nel complesso scolorite, che non riescono a restituire il ruolo centrale del Sicofante nei tribunali popolari, il vivace dibattito sugli abusi legali nell’Atene coeva, i cui riflessi si colgono con chiarezza sulla scena comica [cfr. Christ (1998)].

Di fronte alla difficoltà di trovare un perfetto equivalente del ‘disturbatore’, che renda possibile anche la declinazione dei funambolici giochi verbali presenti nei dialoghi, i registi e i drammaturghi abbandonano il testo e proseguono per strade personali. Marco Martinelli, nella sua messinscena degli Uccelli del 2005 (lo spettacolo riprende una precedente versione curata dallo stesso Martinelli al Teatro Kismet nel 1994), ha sostituito per esempio i personaggi aristofanei con analoghe figure contemporanee: a mettere a rischio la quiete della neo-fondata città sono una coppia di assillanti sondaggiste, un architetto ossessionato dal rispetto dei permessi di edificabilità, un consulente politico [sull’esperienza di riscrittura ‘collettiva’ del teatro di Aristofane, svolta insieme agli adolescenti dei laboratori della “non-scuola” in diverse occasioni, cfr. Martinelli (2016)]. Altrove, si è scelto di alludere apertamente ai più recenti fatti di attualità: nel 2012, a poca distanza dal “caso Nicole Minetti”, Roberta Torre fece entrare in scena una discinta consigliera regionale.

Maddalena Giovannelli © 2016