Penia è, nel Pluto di Aristofane, la rappresentazione del polo opposto a quello intorno a cui si muove il nucleo ideale della commedia. Tuttavia, quasi per paradosso, Penia appare un personaggio di indubbia forza drammatica, e presenta una personalità incisiva tanto dal punto di vista delle capacità argomentative quanto per caratteristiche estetiche (si veda la Sezione 1). Contrariamente a quanto accade in altri casi, il testo drammatico indugia con particolare dettaglio sui tratti fisici della maschera [cfr. Stone (1977, 23, 365)]: Povertà si presenta con sembianze da Erinni, ed è caratterizzata da aspetto livido (la maschera è gialla, ὠχρὰ) e pauroso. A differenza di Pluto, che è connotato fin dal principio dall’estraneità allo stato che rappresenta, Povertà evoca invece l’ambiente con il quale è solita intrattenere rapporti: per questa ragione i registi cercano per lo più di restituire nella messa in scena elementi di degrado e indigenza riconoscibili per lo spettatore. Nello spettacolo diretto da Carlo Roncaglia (2011), per esempio, Penia è vestita con una tuta da fabbrica logora e sporca, a evocare il mondo del proletariato industriale, estraneo ad Aristofane ma ben noto alpubblico italiano.
Non è raro che venga sottolineato, anche visivamente, come Povertà incarni di fatto la realtà sociale da cui Cremilo e Carione provengono, ma che tentano di lasciarsi alle spalle: nella messa in scena di Gonzales (1982) l’attrice che incarna Penia è la medesima che interpreta la moglie di Cremilo [cfr. anche Albini (1991)], e tale ambigua identificazione viene consegnata, come un dettaglio apparentemente insignificante, all’interpretazione degli spettatori più attenti.
Particolarmente interessante la funzione drammatica di Πενία nell’allestimento di Popolizio (2009), alla luce del sostanziale pessimismo che permea la messa in scena. Il risanamento di Pluto, nella prospettiva della regia, è un’illusione che non può che snaturare l’organizzazione sociale [cfr. Capitta (2009)], e Povertà [«con quella faccia itterica»; cfr. Popolizio (2009)] smaschera le contraddizioni di questo rinnovato sistema. Contrariamente all’opposizione tra una personificazione maschile e una femminile presente nel testo di Aristofane, Povertà è qui affidata a un attore maschio.
Ho immaginato come una sorta di Savonarola predicatore» spiega Popolizio «povero ma animato da enorme furore». È nell’agone il cuore della prospettiva registica: «in questa scena – la più importante secondo me – Cremilo e Povertà si affrontano come in un talk show. Ma non c’è dubbio su chi risulti più convincente» [cfr. intervista apud Giovannelli (2009, 146)]. È dalle affermazioni di Povertà che emerge con chiarezza un senso di ambiguità sull’equivalenza tra benessere sociale e benessere economico: equivalenza sulla quale si basa l’intero progetto comico. Anche in questo caso (come ogni volta in cui si verifica un conflitto tra l’eroe comico e i suoi oppositori) Povertà viene scacciata brutalmente, indipendentemente dalla persuasività delle sue tesi («Coro: “Schiatta… strappona… e più non te scappi un grugnito…”. Povertà: “Un bel giorno però mi richiamerete”. Coro: “Allora fatte er bijetto di ritorno… ma per adesso crepa!”.»). Se in Aristofane a questo punto il personaggio di Povertà «scompare come una marionetta» [cfr. Russo (1984, 356)], lasciando così il palco al protagonista trionfatore, la messa in scena non si conclude, coerentemente con i più inquietanti presupposti, con la festosa processione prevista dal testo. Così ‘Savonarola’–Povertà torna sul palco per un ultimo e inquietante monito: «Ballate, sonate / annaspate dentro ’sto tucatuca de consumo a rotta / de collo / io ve sto sempre appresso / e nun ve mollo». L’avvertimento viene pronunciato a scena vuota: il pubblico percepisce così l’ambiguo e insinuante messaggio senza la mediazione di Cremilo e Carione e senza che il loro entusiasmo ne smorzi l’effetto.
Nelle messe in scena del Pluto (come del resto in altre commedie utopistiche di Aristofane, come Uccelli o Donne al Parlamento) si registra un’oscillazione costante tra letture disimpegnate e orientate all’evasione e interpretazioni che mettono in risalto zone d’ombra e ambiguità della drammaturgia originale. Tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, a Penia viene riconosciuto un imprescindibile ruolo drammaturgico: per questo motivo, se altri ‘disturbatori’ delle commedie vengono frequentemente eliminati o reinterpretati in modo radicale dai registi perché troppo legati alla realtà ateniese del V secolo (si veda la voce Sicofante), la personificazione di Povertà non manca mai all’appello. Il personaggio compare persino come ‘ospite’ nella «Nuvolopoli» degli Uccelli diretti da Tonino Conte (2000): la fondazione della nuova città viene rappresentata come un percorso itinerante attraverso diverse commedie e personaggi di Aristofane, dalla Pace alle Rane. Appena prima che la nuova πόλις, «città», venga inaugurata (la suggestiva scena si svolge sulla diga Foranea del porto di Genova) appare Penia, che si esibisce in un’inquietante profezia sul futuro dell’uomo, accompagnata da voci registrate che scandiscono parole pronunciate al contrario. Anche in questo caso, Penia incarna le intime contraddizioni e le pieghe più oscure del modello etico proposto dal piano comico.
Maddalena Giovannelli © 2016