Povertà nella ricezione

Dopo il Pluto di Aristofane, la personificazione di Penia, più o meno esplicita, ricompare sporadicamente nella letteratura greca, mentre non sembra ci siano testimonianze a carattere iconografico. Per alcune di queste apparizioni letterarie un’influenza della commedia non sembra probabile: Filostrato menziona un culto praticato a Gadeira in onore di Penia e Techne (VA V 4; cfr. Eust. ad DP 453, dove, con maggiori dettagli, la notizia è attribuita a Eliano); Plutarco racconta nella Vita di Temistocle (21,1) sostanzialmente lo stesso aneddoto che leggiamo nelle Storie erodotee (VIII 111), incentrato sulla presenza – evidentemente un’ironica e amara fantasia – di Penia sull’isola di Andros (si veda la Sezione 1). Nell’aneddoto plutarcheo si può senz’altro escludere un’influenza della commedia, e probabilmente lo stesso vale per il culto di Penia e Techne, anche se il nesso fra povertà e inventiva tecnica, esplicitato nella notizia attribuita a Eliano, è un elemento portante della tirata di Penia nel Pluto.

Un influsso della commedia si può riconoscere con maggior plausibilità in altri passi in cui Penia appare personificata: Theoc. 21,1, Bion fr. 17 K. = Teles fr. 2 p. 7 H., Luc. Tim. 31, Alciphr. III 40. Nell’incipit (pseudo?)teocriteo troviamo un elogio di Penia molto simile a quanto leggiamo in Aristofane: Ἁ πενία, Διόφαντε, μόνα τὰς τέχνας ἐγείρει· / αὕτα τῶ μόχθοιο διδάσκαλος («Povertà, Diofanto, sola risveglia le arti: è lei il maestro della fatica»). Va però detto che qui la personificazione è soltanto accennata, e risulta unicamente dal nesso con il sostantivo διδάσκαλος, «maestro», di per sé non decisivo per stabilire una compiuta antropomorfizzazione di Penia (si pensi alla guerra βίαιος διδάσκαλος, «maestra violenta», in Th. III 82,2 o anche, proprio in relazione a Penia nella tradizione comica, ad Antiph. fr. 322 K.-A., πενία γάρ ἐστιν ἡ τρόπων διδάσκαλος, «povertà è maestra di costumi»). Questi versi potrebbero risentire della tradizione cinica. In un passo non discusso nell’utile rassegna della RE [cfr. Voigt (1937)] Bione di Boristene, citato da Telete di Gadara e quindi da Stobeo, chiama Penia a difendersi dalle accuse a lei rivolte: καὶ ἡ Πενία <ἂν> εἴποι πρὸς τὸν ἐγκαλοῦντα ‘τί μοι μάχῃ; μὴ καλοῦ τινος δι’ ἐμὲ στερίσκῃ;’ («e Povertà direbbe a chi l’accusa: “Perché te la prendi con me? Forse che a causa mia sei privato di qualcosa di nobile?”». Sembra rimandare al Pluto il contesto agonale che vede Penia difendersi dalle accuse, ma va da sé che qui l’accento batte non sul progresso tecnico ma sull’autarchia. Nel Timone di Luciano, Penia forma con Ponos, Karteria, Sophia e Andreia il corteggio che accompagna il misantropo. La profonda familiarità di Luciano con Aristofane, la consonanza ideologica di questo corteggio con gli argomenti di Penia nella commedia e soprattutto il fatto che la descrizione di questo corteggio sia affidata a un dialogo fra Hermes e Pluto suggeriscono la presenza e rilevanza del sottotesto aristofaneo, forse non senza la mediazione ‘cinica’ di Telete e Bione. Alcifrone, infine, dà voce a un tal Platilemone attico, che per il gran freddo cerca rifugio presso i bagni pubblici, ma trova il posto occupato da una folla di altri disgraziati oppressi dalla vicina dea Penia (καὶ γὰρ αὐτοὺς ἡ παραπλησία θεὸς ἠνώχλει Πενία, «e infatti li opprimeva Povertà, dea loro vicina»). La scenetta potrebbe avere attinto a modelli comici, e forse proprio al Pluto (il ricorso dei poveri infreddoliti ai bagni pubblici è menzionato nell’agone al v. 535, e quindi ai vv. 952-954). A questi passi bisogna ora aggiungere un breve frammento di Alcidamante, recentemente pubblicato da Peter Parsons (2012): si tratta di un Encomio di Povertà, in cui quest’ultima – alla maniera del Pluto – rivendica la sua filantropia e fa riferimento a una krisis, un giudizio sul suo operato. La cronologia di Alcidamante, seguace di Gorgia, non può essere fissata con precisione, e la brevità del frammento alimenta l’incertezza: l’Encomio di Povertà potrebbe quindi aver riecheggiato oppure, al contrario, ispirato Aristofane.

Il raffronto certo più interessante, comunque, è offerto dal Simposio di Platone [203b-204a; cfr. Capra (2007 13-18)], un dialogo che teorizza esplicitamente l’importanza di reimpiegare a fini seri immagini comiche (215a). Come narra Diotima, Penia accattona è madre di Eros, che concepisce dopo essersi fatta ingravidare da Poros, con il risultato che il figlio – una figura dai tratti riconoscibilmente socratici – eredita una duplice natura [per le numerose riprese nella tradizione platonica cfr. Voigt (1937, 497)]. Questa riuscita allegoria sembra rivelare un influsso diretto di Aristofane. Significativamente, poco oltre Socrate fa riferimento diretto al discorso di Aristofane (205d-e), tanto che più avanti il commediografo cercherà invano di replicare (212c). Inoltre, il Pluto andò in scena verosimilmente pochi anni prima della composizione del Simposio, e Platone palesemente riecheggia questa sezione del Pluto nella Repubblica (cfr. Ar. Pl. 557-561 e Pl. R. 556d-e). Come il Pluto, così il Simposio articola un’opposizione fra Agio e Povertà, nella quale l’elemento femminile, in apparenza negativo, ha invece un ruolo preponderante (Penia, pur scacciata con violenza, di fatto prevale nell’agone del Pluto, e nel racconto di Platone i tratti più marcatamente socratici di Eros si devono soprattutto alla madre Penia). Naturalmente, c’è una cruciale divergenza: se le divinità di Aristofane sono Pluto e Penia, in Platone troviamo Poros e Penia. Il termine πόρος vuol dire sì ricchezza, ma anche risorsa e passaggio, e proprio in questo sensofigura nell’unica tradizione mitica che porta il suo nome, in una cosmogonia di Alcmane (fr. 5 P.). Ricchezza come risorsa/passaggio, dunque, si sostituisce a Ricchezza tout court, ma si tratta di un cambiamento spiegabile proprio alla luce del sottotesto. Il Pluto aristofaneo, statico, didascalico, e in fondo negativo, non è fra le personificazioni più accattivanti del commediografo, anche perché incarna una ricchezza cieca e passiva. Si capisce che Pluto non potesse far da padre all’Eros filosofico di Platone, e non stupisce quindi la scelta di Poros, che del resto riprende tratti ben presenti nell’agone della commedia. Di contro a Cremilo che vanta la capacità di Pluto di procacciare ogni risorsa (v. 461 s.: ἐκπορίζομεν ἀγαθόν, «procacciamo un bene», v. 506: πορίσειεν, «procaccerebbe»), Penia si presenta come il motore del progresso umano, colei che scioglie ogni impasse (ἀποροῦντας, v. 531) e offre ogni risorsa (εὔπορα, v. 532). Non solo troviamo qui più volte termini affini a Poros, ma certi dettagli del confronto fra povertà e ricchezza (mancanza di un letto, nozze difficili, accattonaggio) riappaiono stranamentenella Penia platonica.

Come si è visto, la progenie comica di Penia è ramificata e investe diversi generi letterari. Non resta che concludere con due brevi notazioni. La prima, più pertinente per la rielaborazione platonica del personaggio di Penia che per Aristofane, rimanda a Eumeo, un personaggio che Omero apostrofa con l’appellativo forse protocomico di «illustre porcaio» (Od. XVII 375, ἀρίγνωτε συβῶτα). Secondo una notizia conservata nel commento all’Odissea di Eustazio, Democrito (fr. 24 D.-K.) identificò sua madre proprio in Penia, e questo – se la notizia è fededegna – può certo avere influito sull’immagine platonica, che di Penia sottolinea soprattutto la maternità. La seconda riguarda più direttamente la tradizione comica. Il prologo del Trinummus di Plauto, una commedia che rielabora il Tesoro di Filemone, presenta un dialogo fra Luxuria e sua figlia Inopia. Plauto conosce bene il nesso fra povertà e tecniche vantato da Penia in Aristofane: nello Stichus si ha una quasi personificazione di pauperies, perché – dice il buffone Gelasimo – illa artis omnes perdocet (178). Ma nel prologo del Trinummus non è la povertà a generare la ricchezza, bensì quest’ultima è madre della prima. Consapevole rovesciamento di un tema aristofaneo? Difficile dirlo in mancanza dei più diretti modelli greci, ma possiamo supporre che la tradizione comica di Penia sia stata ben più ampia di quanto i drammi conservati lascino supporre.

Andrea Capra © 2016