Povertà nella commedia

La personificazione di Povertà, protagonista nell’agone del Pluto di Aristofane (415-625), compare in due luoghi della silloge di Teognide (351-354; 649-652) e in un frammento di Alceo (fr. 364 Voigt). In Teognide, Πενία è accusata di δειλία e, come un’amante indesiderata, è invitata ad abbandonare la casa nella quale rende la vita sciagurata e costringe i virtuosi a divenire turpi. In Alceo, Πενία è un male intollerabile e implacabile che, con la sorella Ἀμηχανία, riesce a dominare anche un grande popolo. Nell’VIIΙ libro delle Storie di Erodoto, tra gli episodi successivi alla battaglia di Salamina è narrato l’assedio ateniese dell’isola di Andro: Temistocle richiede denaro agli Andri sostenendo di essere giunto con due grandi dee, Persuasione e Necessità, ma gli isolani rifiutano adducendo che ad Andro regnavano due dee inutili, ἀχρηστοι, che non abbandonano mai l’isola: Πενίη e Ἀμηχανίη (111). Prima del Pluto, quindi, la personificazione di Penia è presente ma solo in modo episodico, senza alcuna ricchezza di dettagli (cfr. Newiger 1957, 163). Nel Pluto, Πενία entra in scena dopo che Cremilo ha esposto a Blepsidemo il piano di far tornare la vista a Pluto: al suo ingresso, Penia si presenta come una donna dal volto pallido, urlante come una popolana, che provoca il terrore e la fuga di Blepsidemo e Cremilo (417: ποῖ ποῖ τί φεύγετον; οὐ μενεῖτον; “Dove fuggite […]? Restate qui.” trad. G. Paduano). In prima battuta, Povertà non è riconosciuta da Cremilo e Blepsidemo, che la credono un’ostessa o una venditrice di farina a causa delle sue urla e del suo aspetto. Il mancato riconoscimento induce a credere che la personificazione di Πενία sulla scena rappresenti un’innovazione di Aristofane. Né in Teognide, né in Alceo, infatti, sono presenti accenni alle caratteristiche fisiche di Πενία. Nonostante in un frammento dell’Archelao di Euripide sia attestata la natura divina di Penia (fr. 248 Kannicht), mancano infatti nella produzione letteraria, artistica ed erudita le tracce di una qualsiasi forma di culto (cfr. Sommerstein 2001, 169). Di conseguenza, è possibile che anche il pubblico, come i personaggi sulla scena, non riconoscesse in modo immediato la personificazione di Povertà. Una novità con la quale Aristofane gioca, ritardando la rivelazione dell’identità del nuovo personaggio comparso in scena al fine di accrescere l’aspettativa del pubblico (cfr. Torchio 2001, 160).

Al suo ingresso in scena (415-421), Penia si presenta con uno stile elevato ma misto, che unisce caratteristiche tragiche (e.g. l’invocazione con il participio, cfr. Eur. Med. 1121), comiche (il diminutivo ἀνθρωπάριον e κακοδαίμων con il significato di “disgraziato”), e ricercate figure etimologiche che appartengono al patrimonio dell’oratoria (419: τόλμημα γὰρ τολμᾶτον οὐκ ἀνασχετόν, “voi due azzardate un’audacia intollerabile” trad. Torchio). Cremilo e Blepsidemo, terrorizzati, non riconoscono Penia e offrono nel dialogo fra loro elementi per comprendere i tratti fisici con i quali la personificazione di Povertà entrava in scena (422-424). Penia è pallida (ὠχρά), per Blepsidemo è forse un’Erinni tragica (423), ha infatti uno sguardo folle e tragico (424: βλέπει γέ τοι μανικόν τι καὶ τραγῳδικόν, “lo sguardo tragico e folle ce l’ha”). Secondo un’ipotesi antica (sch. 423a Chantrya), Aristofane costruirebbe qui una parodia delle Eumenidi di Eschilo. Pur rifiutando l’ipotesi erudita di unpuntuale intento paratragico [con l’eccezione di Cantarella (1965)], la critica moderna riconosce alcune corrispondenze con la caratterizzazione delle Erinni che Eschilo costruisce nelle Eumenidi: il pallore (416), il terrore che provoca la fuga (417, 438-444), la μανία (67, 500), la mostruosità dell’aspetto che confonde sia la Pizia (48-59) sia Atena (406-414) che non riconoscono l’identità delle Erinni [cfr. Sfyroeras (1995, 242-243)]. Secondo Sommerstein (2001, 168) pur senza un riferimento diretto alle Eumenidi, rappresentate 70 anni prima, la maschera di Penia nel Pluto richiama altre tragedie, forse coeve, nelle quali le maschere delle Erinni erano ormai divenute un fortunato cliché tragico (cfr. Aeschin. 1, 190). Di particolare interesse è l’ipotesi secondo la quale Penia rappresenterebbe il mondo della tragedia, al quale si opporrebbero il bomolochos Blepsidemo (v. voce bomolochos) e, in particolare, Cremilo quali rappresentanti della commedia [Sfyroeras (1995), 243- 245]. In questa direzione conduce in particolare un passo dell’agone, nel quale Penia protesta contro l’evidente resistenza di Cremilo all’argomentazione razionale (σπουδάζειν) in favore del gioco comico (557): σκώπτειν πειρᾷ καὶ κωμῳδεῖν τοῦ σπουδάζειν ἀμελήσας, “tu mi prendi in giro, non vuoi discutere seriamente”. Ιl verbo κωμῳδεῖν designa quindi, insieme a σκώπτειν, l’attitudine di Cremilo, padre del progetto utopico che di norma distingue il plot comico, in opposizione polare con lo σπουδάζειν di Penia, nel quale la critica (fra gli altri Olson 1990, 233-236) scorge il segno della πρᾶξις σπουδαῖα che, secondo la definizione di Aristotele, distingue la μίμησις tragica (Poet. 1449b24). Non a caso, la comparsa di Penia sulla scena del Pluto, che appare a prima vista ingiustificata nel plot [opinione di Gelzer (1960, 35)], rappresenta l’ultimo ostacolo che si frappone fra Cremilo e la realizzazione del suo piano utopico, che, nella sezione che segue l’agone, è ormai attuato e carico di conseguenze.

Il pallore del volto di Penia è stato interpretato di frequente [fra gli altri, da Heberlein (1980, 166 n. 172, 170-174)] come un richiamo al mondo dei filosofi e al loro disprezzo per i beni materiali, sulla base dell’analogopallore attribuito ai discepoli di Socrate nelle Nuvole (vv. 103, 1017, 1112). Il tratto fisico del pallore annuncerebbe inoltre l’argomentazione di stampo sofistico che Penia produrrà nell’agone, di frequente accostata al ruolo che il Discorso Peggiore svolge nell’agone delle Nuvole [cfr. Newiger (1957, 155-160)]. Appare però plausibile che con il pallore del volto Aritofane intenda segnalare piuttosto un’origine ctonia di Penia, che ne rafforzi l’aspetto mostruoso [Sommerstein (2001, 167)]. Anche per i discepoli di Socrate nelle Nuvole, infatti, il pallore del volto manifesta la loro estraneità al mondo dei vivi: il pallore li accomuna ai cadaveri privi di sangue e agli spiriti dei morti. Non a caso, Cherefonte, allievo di Socrate, è definito pallido nelle Vespe (1413), un “mezzo-cadavere” nelle Nuvole (504), e uno spirito svolazzante dell’Ade negli Uccelli (1562-1564). Allo stesso modo, il pallore della Vecchia nelle Ecclesiazuse (1073: vd. scheda) è riferito in modo esplicito al suo essere prossima alla morte. In relazione al costume indossato da Penia, sulla base della battuta attribuita a Cremilo secondo la quale Povertà costringe gli uomini ad indossare stracci al posto del mantello (540) Groton (1990, 19) ritiene che Penia fosse rivestita di stracci.

La caratterizzazione della maschera di Penia appare quindi orientata in modo coerente alla costruzione di una figura mostruosa, che desta orrore, da espellere dal mondo della commedia, contro la quale l’eroe comiconell’agone che segue dovrà mostrare il proprio valore [cfr. Reckford (1987, 361)]. Ogni aspetto che associa in apparenza Penia a figure umane come la povera vecchia, per il vestito di stracci, o il filosofo, per il pallore, si rivela in realtà funzionale ad una caratterizzazione sovrannaturale di Penia, utile ad orientare il pubblico verso un’immediata ostilità nei suoi confronti che si risolverà nel sostegno all’eroe comico il quale, pur sconfitto sul piano dei λόγοι, trionfa nell’agone espellendo Penia dal mondo della commedia. Una caratterizzazione che, non a caso, ricorda l’analoga funzione svolta nelle parabasi delle Vespe (1029-1037) e della Pace (751-760) dal paragone tra i nemici del poeta, in particolare Cleone, e i mostri sconfitti da Eracle [Cerbero, Tifone, Efialte; cfr. Mastromarco (1987) e Imperio (2004, 281-282)].

Mario Regali @ 2016