Al centro dell’apparato scenico pensato da Palladio per il Teatro Olimpico di Vicenza – concordemente considerato la culla della rinascita del teatro antico nell’Europa moderna – campeggia la Porta Regia, varco dal quale si dipartono le scenografie di Scamozzi. La scelta non deve stupire: la porta, diaframma che separa il ‘dentro’ della casa privata e il ‘fuori’ della condivisione pubblica, è del resto elemento fondante della prassi teatrale antica, e la commedia non fa eccezione.
La facciata scenica rappresenta a tutti gli effetti l’epicentro della metamorfosi spaziale nella drammaturgia aristofanea; essa cambia identità più volte nel corso dell’opera – divenendo così fondamentale indizio della collocazione spaziale del protagonista comico – e allo stesso tempo viene utilizzata come occasione per allargare virtualmente lo spazio scenico (si veda la Sezione 1).
Elemento fisso e convenzionale della scenografia, la porta del teatro aristofaneo richiede ai registi di oggi un deciso intervento interpretativo: proprio in virtù del processo di continua re-identificazione suggerito dal testo, una rappresentazione di tipo realistico (una facciata scenica, cioè, in grado di cambiare visibilmente la propria identità, trasformandosi volta per volta) risulterebbe difficilmente realizzabile. Come è noto, la commedia propone infatti agli spettatori vertiginosi viaggi dagli Inferi al regno degli dei, con una rapidità di cambiamento che metterebbe a dura prova anche un regista che avesse a disposizione fondi e mezzi illimitati: il palco dovrebbe trasformarsi di continuo, passando non di rado da un’ambientazione quotidiana a una non terrestre, in una fantasiosa e illimitata espansione dello spazio [si pensi, per esempio, alle Rane, dove il viaggio rappresentato, dalle molte tappe, è un vero e proprio tour de force per l’immaginazione dello spettatore; cfr. Hall-Wringley (2007, 1-29)]. Anche nella ricostruzione delle dinamiche sceniche antiche, l’idea di una scena mutevole di tipo descrittivo non è del resto convicente: le ipotesi avanzate in questa prospettiva paiono spesso troppo macchinose per una prassi teatrale, come quella greca, dalla forte componente simbolica e convenzionale [cfr. per esempio Carrière (1977, 31-35), che postula l’esistenza di una scaena versilis, un complesso sistema di pannelli mobili in grado di alternarsi a ogni cambio di luogo suggerito dal testo].
Così come il teatro antico doveva preferire un’architettura scenica scarna e antinaturalistica [cfr. Taplin (1977, 12-28)], consona al rapido riadattarsi dello spazio, anche oggi le migliori scelte registiche si contraddistinguono per l’abbandono di ogni approccio descrittivo e didascalico. Alcuni recenti spettacoli italiani hanno mostrato di comprendere la centrale importanza della porta nelle architetture sceniche aristofanee e hanno indicato possibili strade di rappresentazione.
L’allestimento di Vincenzo Pirrotta (2013) delle Ecclesiazuse affronta con efficacia le specificità spaziali della commedia: nel corso della rappresentazione personaggi diversi escono dalla stessa dimora come fosse la propria, secondo quello che Russo (1984, 347) ha definito un vero e proprio «gioco di rotazione degli inquilini». Come restituire un simile gioco legato all’edificio scenico? Le scenografie sono state firmate da Maurizio Balò, professionista di lungo corso e collaboratore assiduo di Massimo Castri per la messa in scena di spettacoli classici. Per le Ecclesiazuse, Balò ha disegnato cinque cubi rossi neutri, dotati di porte, in una moltiplicazione delle possibili entrate e uscite degli attori: messo di fronte a diverse copie di un identico poligono, lo spettatore viene indotto a non operare identificazione tra un edificio e un singolo personaggio. E i rapidi movimenti di entrata e di uscita degli attori e del Coro non lasciano spazio a interpretazioni di tipo realistico.
Non meno complesso lo spazio scenico nelle Nuvole, che vede la coesistenza perpetua di due ambienti [cfr. Russo (1984, 147-148)]: se non mancano esempi, in altre commedie, di una compresenza temporanea di diversi poli d’azione, nelle Nuvole Aristofane affianca le porte di due diverse case per tutta la durata del dramma. Nell’allestimento diretto da Antonio Latella (2009), la scenografa Emanuela Annecchino opera per semplificazione: al centro della scena campeggia – unico elemento presente sul palco – una piccola porticina, quasi l’apertura di un piccolo teatro di marionette [cfr. Capra-Giovannelli-Treu (2010, 255)]. Quello stesso varco diviene, a momenti alterni nel corso della rappresentazione, la casa di Strepsiade quanto il ‘pensificio’ di Socrate (si veda la voce Pensatoio).
La porta diviene il fulcro di ogni ridefinizione spaziale e pressoché ogni ingresso dei personaggi risulta marcato attraverso una diversa modalità di interazione con l’elemento scenografico: gli attori fanno capolino con un viso o con un piede nella piccola apertura, la attraversano strisciando o la utilizzano come un piano rialzato sul quale salire. Le caratteristiche estetiche della porta diventano anch’esse elemento significante: l’evocazione di un teatro di marionette contribuisce, insieme all’attitudine dell’attore (Massimiliano Speziani), a connotare il personaggio di Socrate come un mago o un prestigiatore dappoco.
Negli Uccelli la facciata scenica rappresenta il punto di passaggio dalla realtà urbana dalla quale provengono Evelpide e Pisetero all’alterità fantastica dello spazio aereo (si veda la Sezione 1). Il testo insiste dunque sull’aspetto silvestre e roccioso della porta (vv. 202, 207, 224, 265) e non è raro che questo dettaglio emerga anche nelle scenografie. Negli Uccelli di Federico Tiezzi (2005), lo scenografo Pierpaolo Bisleri ha realizzato una tenda con piante dipinte, rendendo omaggio all’originaria funzione dell’antica σκηνή.
Maddalena Giovannelli @ 2016