Porta nella ricezione

Dopo l’Archaia la porta diventa presto un motivo ricorrente nel dialogo e in generale nella produzione mimica, viste le sue potenzialità sia sul piano spaziale sia sul piano ideologico. Gli elementi relativi alla thyra che, di volta in volta, sono ereditati dalla commedia arcaica nella successiva produzione sono peraltro molteplici: il gesto di bussare con maggiore o minore foga che caratterizza le scene di arrivo in non poche commedie di Aristofane, ad esempio, si accompagna al lamento amoroso davanti alla porta chiusa che, a partire dalle Ecclesiazuse, pur qui codificato in un contesto fortemente scurrile, tende a influenzare soprattutto il cosiddetto paraklausithyron ellenistico. Intorno alla porta, dunque, si costruisce una poetica complessa, finalizzata a distinguere, separare o mettere in contatto, allo stesso tempo, due o più personaggi nonché realtà contrapposte o lontane. Per quanto riguarda il dialogo, prenderemo in esame soprattutto la funzione che la thyra riveste nel Simposio e nel Protagora di Platone, mentre per Senofonte risulterà particolarmente istruttivo ai fini di un contatto allusivo con la Archaia un luogo incipitario del suo Simposio. Per quanto riguarda la produzione successiva al periodo classico, invece, saranno considerati soprattutto Teocrito e il Fragmentum Grenfellianum. Osserviamo meglio.

 

Platone

Il Simposio di Platone, come noto, si apre con una cornice complessa, il cui significato è stato oggetto di molteplici interpretazioni [cfr. la recente messa a punto di Centrone (2009, VI-VIII)]. Il racconto di Aristodemo sul banchetto svolto a casa di Agatone prevede un’ambientazione privata e domestica dove la porta riveste un ruolo decisivo. Non è un caso, infatti, che la porta della dimora di Agatone sia ricordata più volte assieme a un luogo di per sé simile, dal chiaro significato liminare: il portico dei vicini di casa dove, colto da una potenza estatica, si apparta Socrate all’inizio del racconto (175a8). Quando Aristodemo arriva assieme a Socrate dinanzi alla casa di Agatone, infatti, l’amico di Socrate ricorda di aver trovato la porta di casa aperta (174e1). Si tratta di un dato che Platone, pur in maniera apparentemente incidentale, sembra avvertire come informazione narrativa importante:

la porta aperta della dimora, infatti, evita che l’ospite o chi in generale si reca a far visita presso qualcuno debba bussare allo stipite come accade comunemente nelle scene della Archaia e ancora in Menandro (si pensi ad esempio all’inizio delle Rane v. 35, o all’Aspis v. 162); la porta aperta della casa di Agatone riemerge nel racconto del Simposio quando arriva l’allegra brigata guidata da Alcibiade (212d7). Si tratta di un arrivo straordinario, festoso, costruito con intenso realismo nel racconto dialogico, nel quale emergono molti degli elementi di una vera e propria entrata in scena. Il rumore creato dal komos invade il portone principale e sembra diffondersi improvvisamente all’interno della dimora per la sua forza e il suo impatto. Dopo aver sottolineato l’accorrere improvviso dei compagni di Alcibiade, la suonatrice di flauto introduce Alcibiade ebbro e incoronato nella stanza del banchetto. Qui Alcibiade esordisce con un saluto rivolto a tutti gli invitati di Agatone (212e3); infine entrano anche gli altri uomini del komos, che prendono posto nella sala su invito di Agatone (213a3-4).

La porta nel Simposio rappresenta dunque una dimensione spaziale volutamente focalizzata nel racconto, come in fondo i molteplici dettagli dello spazio extrascenico di tutta la raffinata narrazione che anima il dialogo: entrare attraverso la porta della casa di Agatone che accoglie e non respinge dà agli ospiti di questa colta dimora la possibilità di sviluppare il benefico dialegesthai con Socrate. Merita, per tutto ciò, attenzione il fatto che, all’inizio del Simposio, Aristodemo affermi di aver patito un fatto particolare, degno di riso, un geloion per l’appunto, appena varcata la soglia della casa del tragico. Guardandosi alle spalle, ormai dentro la stanza del banchetto, non vede Socrate appartatosi nel portico dei vicini, una zona per l’appunto liminare che per ora distingue chi è dentro la casa da chi è fuori dalla casa, e proietta su Socrate una luce principale [cfr. De Sanctis (2016)]. Il portico dei vicini, per tutto ciò, simboleggia ora il luogo scenico in cui Platone inizia a dare risalto alla figura di Socrate quale protagonista, ritardandone volutamente l’entrata nella casa di Agatone, a differenza di molte scene della commedia di Aristofane nelle quali il personaggio principale cerca di guadagnare quanto prima lo spazio al di là della thyra e di varcare velocemente la porta sulla quale trova spesso un ostacolo.

La Archaia e Aristofane rappresentano il retroterra letterario, l’ipotesto necessario, di Platone. Non va passato sotto silenzio, infatti, che questa raffinatissima impalcatura narrativa del Simposio con in primo piano la casa di Agatone non è inverosimile che fondi il suo presupposto sulla straordinaria scena d’esordio delle Tesmoforiazuse (vv. 1-121), dove, non a caso, è messa in voluto risalto la stessa dimora privata del tragico [cfr. Austin-Olson (2004, 134 s.)]. Qui, sulla porta della casa di Agatone, Aristofane costruisce un raffinato gioco di discorsi e di silenzi omettendo il motivo del battere con forza alla porta e sottolineando la necessità di tacere sulla porta. Dalle Tesmoforiazuse il Simposio sembra riprendere anche un primo elemento dirimente: come Socrate e Aristodemo si recano presso una meta ideale lungo le strade di Atene, per l’appunto la casa di Agatone, così lungo le stesse strade di Atene anche Euridipe e il kedestes, pur mossi da altre motivazioni, vanno verso la dimora del tragico. Arrivata qui, nelle Tesmoforiazuse la coppia resta fuori dalla casa. La porta della dimora di Agatone, il thyrion, non sarà varcata dai due personaggi, ma da questo luogo uscirà prima il servitore del poeta, che di Agatone sembra anticipare la sublime eleganza, mentre tramite l’ekkyklema lo stesso Agatone offrirà al pubblico un’elevata prova della sua superba poesia. Ben evidente è che il Simposio riprende e capovolge a un tempo gli schemi narrativi e scenici di Aristofane tramite il riferimento e un attento gioco relativo alla thyra: la porta di Agatone, infatti, in Platone può – e anzi deve – essere varcata da chi è invitato, include per il suo essere aperta chi voglia prendere parte alla discussione sull’amore, destinata a terminare con una riflessione sul comico e sul tragico.

Al di là del Simposio, Platone ricorre alla porta come motivo centrale del racconto anche in altri momenti narrativi: ad esempio nell’incipit del Carmide (154a1), nella palestra di Taurea, Crizia girandosi verso la porta, pros ten thyran, nota che da questo accesso continua a entrare una folla numerosa, desiderosa di sviluppare le abituali conversazioni con Socrate appena tornato dalla battaglia di Potidea [cfr. Lampert (2010, 145-153)]. E soprattutto il motivo dell’entrare attraverso la porta traspare nell’Eutidemo (272d7-273b9) dove, a ben vedere, non è fatto esplicito riferimento a un’effettiva θύρα, ma è chiaro che, nella palestra dove Socrate si è fermato per il suggerimento del demone, le numerose squadre di personaggi che entrano per formare un coro varcano la porta – o le porte – del vestibolo come attori di un coro comico [cfr. Sermamoglou-Soulamidi (2014, 9 s.)]. Anzi nell’Eutidemo Socrate ricorda che le entrate dei gruppi di ammiratori e di seguaci dei vari protagonisti del dialogo si svolgono in una successione tanto ordinata e precisa da far pensare che Platone stesso abbia concepito l’arrivo di Eutidemo e Dionisodoro con i loro amici e poi quello di Ctesippo con i suoi amanti alla luce di una programmatica somiglianza con l’entrata in scena degli attori e del Coro. Al di là di questi dialoghi – assieme ai quali possono essere ricordati anche il Liside (203a) e l’Alcibiade II (144a), peraltro dialogo significativo per il perdurare di questo motivo nella cosiddetta produzione spuria – è certo nel Protagora che, sulla scia di un evidente influsso comico, Platone recupera la presenza della porta. Presenza che Platone duplica in modo da creare una voluta differenza di luoghi e di ambientazioni nel racconto [cfr. Capra (2001, 40 s.)]. Il Protagora, infatti, ben prima di concentrarsi sulla dimora di Callia nella quale avviene la discussione tra Socrate e il Sofista, apre il suo sguardo sulla modesta casa di Socrate (309a8-310b9):

Τῆς γὰρ παρελθούσης νυκτὸς ταυτησί, ἔτι βαθέος ὄρθρου, Ἱπποκράτης, ὁ Ἀπολλοδώρου ὑὸς Φάσωνος δὲ ἀδελφός, τὴν θύραν τῇ βακτηρίᾳ πάνυ σφόδρα ἔκρουε, καὶ ἐπειδὴ αὐτῷ ἀνέῳξέ τις, εὐθὺς εἴσω ᾔει ἐπειγόμενος, καὶ τῇ φωνῇ μέγα λέγων, “Ὦ Σώκρατες,” ἔφη, “ἐγρήγορας ἢ καθεύδεις;” Καὶ ἐγὼ τὴν φωνὴν γνοὺς αὐτοῦ, “Ἱπποκράτης,” ἔφην, “οὗτος· μή τι νεώτερον ἀγγέλλεις;” “Οὐδέν γ’,” ἦ δ’ ὅς, “εἰ μὴ ἀγαθά γε.” “Εὖ ἂν λέγοις,” ἦν δ’ ἐγώ· “ἔστι δὲ τί, καὶ τοῦ ἕνεκα τηνικάδε ἀφίκου;” “Πρωταγόρας,” ἔφη, “ἥκει,” στὰς παρ’ ἐμοί. “Πρῴην,” ἔφην ἐγώ· “σὺ δὲ ἄρτι πέπυσαι;” “Νὴ τοὺς θεούς,” ἔφη, “ἑσπέρας γε.”

«La notte scorsa, ancora ai primi albori, Ippocrate, figlio di Apollodoro e fratello di Fasone, picchiò il bastone alla porta con gran forza, e quando qualcuno gli aprì, precipitandosi dentro e urlando a gran voce, disse: “Socrate, sei sveglio o dormi?”. Al che io, avendo riconosciuto la sua voce – questo è Ippocrate, pensai – chiesi: “Che novità mi porti?”. “Soltanto buone notizie” rispose lui. “Bene”, dissi, “ma che cosa c’è, e perché vieni a quest’ora?”. “È arrivato Protagora”, affermò venendomi vicino. “Dall’altro ieri” riconobbi io, “ma tu l’hai saputo ora?”. “Sì, per gli dei, ieri sera”».

Incontrato un amico, Socrate rivela che Protagora, da tre giorni in città, dimora in casa di Callia e anzi proprio da quella casa Socrate sta facendo ritorno dopo aver concluso una lunga discussione con il Sofista. L’occasione appare così favorevole all’amico da spingerlo a chiedere a Socrate un racconto dettagliato sull’incontro con Protagora. Il dialogo, per tutto ciò, prende le mosse da un resoconto di quanto è accaduto nella casa di Callia, ma prima, fatto unico nella produzione di Platone, viene focalizzata da Socrate un’altra ambientazione rispetto a quella che sarà il cuore del suo racconto. Sotto questo punto di vista è significativo notare che Platone recupera dalla Archaia e certamente da Aristofane la rottura dell’unità di spazio, come abbiamo visto ad esempio negli Acarnesi con il veloce mutamento di prospettive spaziali dalla Pnice alla casa di Diceopoli sino a quella di Euripide. Nel passo del Protagora alla nostra attenzione, infatti, Socrate ricorda che a casa sua, ancora all’alba, riceve la visita di Ippocrate. Il figlio di Apollodoro, non appena giunge dinanzi alla porta di Socrate, bussa con forza e insistenza con un bastone ed entra, τὴν θύραν τῇ βακτηρίᾳ πάνυ σφόδρα ἔκρουε, «picchiò il bastone alla porta con gran forza» (il gesto non è stigmatizzato, come invece accade spesso in Aristofane, ma ora testimonia il carattere dell’allievo desideroso di incontrare e parlare con il maestro). Un imprecisato uomo, un τις, «qualcuno», forse un giovane servo della dimora, apre la porta e senza frapporre alcun ostacolo introduce subito all’interno delle stanze l’ospite appena giunto. La casa di Socrate, in questo modo, rivela la sua estrema accessibilità, a riprova della dimestichezza che Socrate vuole instaurare con il suo interlocutore. Una dimestichezza che sembra riverberarsi anche nella facilità con la quale molto presto, forse a qualsiasi ora, è possibile frequentare Socrate. Una situazione ben diversa si profila quando Socrate e Ippocrate raggiungono la casa di Callia dove soggiorna per l’appunto Protagora. La coppia qui trova ad accoglierla quale portiere un eunuco dai modi scorbutici e poco accomodanti (314d6-e2):

… στάντες ἐν τῷ προθύρῳ διελεγόμεθα ἕως συνωμολογήσαμεν ἀλλήλοις. δοκεῖ οὖν μοι, ὁ θυρωρός, εὐνοῦχός τις, κατήκουεν ἡμῶν, κινδυνεύει δὲ διὰ τὸ πλῆθος τῶν σοφιστῶν ἄχθεσθαι τοῖς φοιτῶσιν εἰς τὴν οἰκίαν· ἐπειδὴ γοῦν ἐκρούσαμεν τὴν θύραν, ἀνοίξας καὶ ἰδὼν ἡμᾶς, “Ἔα,” ἔφη, “σοφισταί τινες· οὐ σχολὴ αὐτῷ·” καὶ ἅμα ἀμφοῖν τοῖν χεροῖν τὴν θύραν πάνυ προθύμως ὡς οἷός τ’ ἦν ἐπήραξεν. καὶ ἡμεῖς πάλιν ἐκρούομεν, καὶ ὃς ἐγκεκλῃμένης τῆς θύρας ἀποκρινόμενος εἶπεν, “Ὦ ἄνθρωποι,” ἔφη, “οὐκ ἀκηκόατε ὅτι οὐ σχολὴ αὐτῷ;” “Ἀλλ’ ὠγαθέ,” ἔφην ἐγώ, “οὔτε παρὰ Καλλίαν ἥκομεν οὔτε σοφισταί ἐσμεν. ἀλλὰ θάρρει· Πρωταγόραν γάρ τοι δεόμενοι ἰδεῖν ἤλθομεν· εἰσάγγειλον οὖν.” μόγις οὖν ποτε ἡμῖν ἅνθρωπος ἀνέῳξεν τὴν θύραν.

«… ci fermammo in quell’entrata a parlare, finché non ci trovammo d’accordo. Mi sembrò allora che in quel momento, il portiere, un eunuco, ci sentisse e si inquietasse, forse anche per il gran numero di sofisti che si aggiravamo per casa; quando bussammo alla porta, infatti, aprì, ma dopo averci visti, esclamò: “Ah, sofisti, non ha tempo!”. E con entrambe le mani e tutta la forza che aveva ci sbattè la porta in faccia. Allora bussammo ancora, e lui, tenendo la porta chiusa, ci rispose: “Gente, non avete sentito che non ha tempo?”. “Ma brav’uomo”, feci io, “non siamo qui per Callia e non siamo sofisti. Perciò stai tranquillo: siamo venuti perché dobbiamo vedere Protagora; annunciaci dunque”. Allora a malincuore l’uomo ci aprì la porta».

Arrivati a casa di Callia, la coppia si ferma nel vestibolo. Il portinaio si oppone all’entrata di Socrate e di Ippocrate: la grande folla di sofisti che è all’interno della casa toglie tempo all’eunuco, che evidentemente non vuole fare entrare più nessuno. La porta è sbattuta con grande rumore contro Socrate e Ippocrate tramite l’uso delle due mani da parte dello scortese portiere. Socrate e Ippocrate però non desistono: continuano a bussare, ripetendo il gesto una seconda volta. Solo quando Socrate e Ippocrate rivelano il motivo del loro arrivo all’eunuco, non vedere Callia ma parlare con Protagora, e questo desiderio è in verità legato a un concreto bisogno della coppia, suggerito da deomenoi, il portiere fa entrare, seppure a fatica, i due nuovi ospiti. Come è stato notato, la scena del Protagora risente di un evidente influsso scenico. Sin dall’inizio, il motivo della porta sulla quale l’ospite che giunge bussa deriva dalla commedia, come anche una derivazione comica può essere evocata per la presenza dell’imprecisato uomo che apre la porta della casa di Socrate e soprattutto per la figura del portiere di Callia. Un esempio decisivo in questa direzione, peraltro determinante anche per la presenza di Socrate in scena, giunge dalle Nuvole (vv. 132-137). Quando Fidippide e Strepsiade di buon mattino si recano al phrontisterion, trovano il discepolo-portiere a difesa della porta e dei sublimi misteri che, una volta varcata la thyra, la casa-scuola potrebbe rivelare e che ora invece deve proteggere. Dinanzi al bussare insistente di Strepsiade, il Discepolo esclama improperi contro chi sta colpendo il portone, perché il bussare dell’ospite è avvertito come un calciare da ignorante. A poco a poco la rivelazione di quanto si apprende dentro il phrontisterion, una sublime conoscenza che il Discepolo confida sulla porta, spinge Strepsiade a pregare questo dotto portiere di aprire quanto prima la thyra e di accogliere il padre e il figlio desiderosi di essere iniziati al nuovo sapere. Questa scena rappresenta uno snodo di fondo nelle Nuvole: solo dopo aver varcato la porta del phrontisterion, infatti, padre e figlio vedranno Socrate appeso nella cesta e comprenderanno il sapere che il Discepolo protegge all’interno della scuola. La visione del filosofo, apparizione sacrale in una cesta, come nel Simposio, è posta in voluto ritardo come anche la scoperta del sapere, ma a differenza del Simposio la porta nella commedia è varcata dal protagonista e non dal filosofo che è già dentro la casa. La porta del dialogo, dunque, come sulla scena, sembra separare due dimensioni spaziali o porsi come una meta desiderata di un viaggio il cui raggiungimento coincide con un’importante acquisizione. L’ostacolo sulla porta, nel caso in cui ci sia come nel Protagora, ostacolo che ad esempio Aristofane tematizza nelle Nuvole o nelle Rane, deve essere superato perché possa avvenire l’entrata in scena. Questa entrata attraverso la porta nel Protagora permette a Platone di recuperare anche un motivo di ascendenza epica e comica allo stesso tempo: la suggestione catabatica che nella casa di Callia agisce come elemento dirimente all’inizio del racconto di Socrate [cfr. Corradi (2014, 35-42)].

 

Senofonte

Merita di essere considerato infine un riferimento alla θύρα spesso trascurato in Senofonte. Nel Simposio infatti la presenza della porta, non a caso in una fase inziale del dialogo, ha un rilievo notevole quando arriva Filippo, il buffone (I 11):

Φίλιππος δ’ ὁ γελωτοποιὸς κρούσας τὴν θύραν εἶπετῷ ὑπακούσαντι εἰσαγγεῖλαι ὅστις τε εἴη καὶ δι’ ὅ τι κατάγεσθαι βούλοιτο, συνεσκευασμένος τε παρεῖναι ἔφη πάντα τὰ ἐπιτήδεια ὥστε δειπνεῖν τἀλλότρια, καὶ τὸν παῖδα δὲ ἔφη πάνυ πιέζεσθαι διά τε τὸ φέρειν μηδὲν καὶ διὰ τὸ ἀνάριστον εἶναι. ὁ οὖν Καλλίας ἀκούσας ταῦτα εἶπεν· Ἀλλὰ μέντοι, ὦ ἄνδρες, αἰσχρὸν στέγης γε φθονῆσαι· εἰσίτω οὖν.

«Filippo il buffone, dopo aver picchiato alla porta, ordinò a chi gli aveva aperto di riferire al padrone di casa chi fosse e perché volesse essere introdotto: disse di essere lì munito di tutto il necessario per banchettare alla mensa di un altro e disse che il suo schiavetto era molto provato di non portar nulla e di essere a digiuno. Sentite queste cose Callia disse: “Uomini, via, è vergognoso privarlo di un tetto. Che entri pure!”».

Il banchetto è già iniziato da tempo, quando irrompe in scena un personaggio che nella definizione di gelotopoios porta con sé gli evidenti segni della sua funzione. Filippo vuole intrattenere la folla di convitati, ma non è un invitato: la sua funzione, dunque, è quella di un professionista della risata su commissione, a pagamento. Non è un caso che il suo arrivo rispecchi molti dei moduli comici attestati nelle scene sulla porta in Aristofane: il silenzio che orna il banchetto, imposto da un ordine superiore, è interrotto dal bussare del buffone: l’arrivo di Filippo rompe un’atmosfera di serenità; Filippo, arrivato alla porta, chiede di essere ammesso al banchetto a uno schiavo, una sorta di portiere. Non c’è nessun ostacolo alla richiesta del gelotopoios, perché Callia, il padrone di casa, ritiene giusto offrire un tetto al buffone; il bussare di Filippo certifica che nel Simposio di Senofonte la porta di casa è chiusa, a testimonianza del fatto che tutti gli ospiti sono ormai dentro, a differenza della porta aperta della casa di Agatone nel Simposio di Platone.

A un tempo rispetto alla costruzione del Simposio di Platone, in Senofonte si ravvisano cambiamenti di prospettive più o meno intenzionali [a seconda della cronologia del dialogo di Senofonte rispetto a quello di Platone, cfr. Huss (1999, 13-18)]. Come Aristodemo nel Simposio di Platone, anche Filippo arriva senza invito, akletos, ma questo fatto a differenza di quanto si profila in Platone è visto come degno di riso da parte dello stesso Filippo. Aristodemo, invece, conta di non essere fuori posto a casa di Agatone grazie all’invito di Socrate, che attenua la sua posizione di non invitato. Filippo non riesce a suscitare il geloion nella sala di Callia, a differenza di Socrate in Platone, come testimonia Aristodemo, ricordando il geloion provato nel momento in cui comprende che l’amico si è appartato nella solita estasi presso il portico dei vicini. La mancanza di riso su commissione indispettisce Filippo, che alla fine rivela a Callia che ormai il tempo delle risate al banchetto sta venendo meno [sul personaggio che arriva akletos a banchetto cfr. Ferrari (2016)].

La porta del Simposio di Platone e in fondo anche quella della casa di Socrate nel Protagora sono sempre aperte o possono essere varcate senza difficoltà: accolgono senza opposizione chi è atteso o chi arriva in maniera improvvisa. La porta di Callia nel Protagora è meta di un viaggio e a un tempo diventa sede di un problematico superamento. Il dialogo dunque recepisce il motivo dalla Archaia con dati ormai canonici, ma riesce a declinarlo con nuova vitalità. Ma non solo: esiste già in Aristofane una valenza per così dire erotica della thyra. La porta, infatti, è recepita in commedia, forse per influenza della lirica arcaica (cfr. Alc. fr. 10 V.), come una possibile barriera tra gli amanti. In effetti le Ecclesiazuse (vv. 952-975) codificano, in chiave ironica, il motivo dell’esclusione d’amore da parte del giovane intorno alla presenza di una thyra. Dopo il lamento di una giovinetta che cerca di sedurre dalla finestra un giovane passante, Aristofane propone un canto del giovanotto intonato dinanzi alla porta dell’amata. L’invito che viene subito rivolto dal giovane è di correre ad aprire la porta se la giovane vuole evitare che il suo amato cada a terra morto. Il giovane infine, dopo ammissioni licenziose, scongiura di nuovo l’amata di aprire la porta e di correre ad abbracciarlo: le parole del giovane segnano il refrain atto a testimoniare le pene d’amore in questo intermezzo lirico, costruito su voluti doppi sensi di natura sessuale. Ora è da dire, come ha notato la critica [cfr. Esposito (2005, 51- 57) e cfr. Capra (2010, 250-252) per il rapporto tra le vecchie megere e la giovane innamorata], che in questa scena è attribuita alla porta e al suo immaginario una profonda valenza erotica. La porta, in altri termini, distingue non solo il dentro dal fuori ma anche la possibilità di amare dall’impossibilità di godere dell’amore attraverso il suo superamento. Non solo: nel caso delle Eccclesiazuse, anche se in un contesto dai toni fortemente parodici, è il giovane che si trova fuori dalla porta, cioè escluso dalla gioia d’amore, ma è stato ben sottolineato come questa scena derivi in realtà da un archetipo in cui il personaggio abbandonato è una donna: nel mito, Arianna lasciata a Nasso da Teseo (cfr. Catullo 64). Del resto, anche nelle Eccclesiazuse il primo personaggio a cantare, seppure alla finestra, e ad attrarre il giovane non a caso è la donna, la giovane donna, la νεανίς.

 

Teocrito

La presenza della porta nell’ambito della produzione erotico-mimica che sviluppa il tema dell’abbandono amoroso trova un decisivo esempio nel II idillio di Teocrito e soprattutto nel Fragmentum Grenfellianum. In entrambi i componimenti, ben diversi sul piano artistico, è possibile evocare il tema dell’esclusione amorosa. Osserviamo da vicino innanzitutto la presenza in Teocrito della porta e la sua valenza al di là del II idillio.

L’incantatrice Simeta assieme alla sua serva sta eseguendo sotto lo sguardo di una placida luna in una notte irradiata dal bagliore delle stelle un rito magico di natura amorosa dopo essere stata abbandonata dal suo amante: da una parte desidera la vendetta contro chi l’ha tradita, dall’altra invece vorrebbe il ritorno del giovane Delfi. Nel ripercorrere la sua vicenda d’amore e nell’eseguire a un tempo il rito magico, più volte Simeta evoca la porta quale elemento dirimente della sua passione: da subito, ad esempio, (6) il destinatario sa che l’amante traditore ormai da dodici giorni non va a casa di Simeta e non sa se vive o è morta e, colpevole, non bussa più alla porta; il rombo che gira sulla bambola di cera che ha le sembianze del giovane traditore ha un moto che Simeta augura sia simile a quello di Delfi quando tornerà ad aggirarsi, al più presto, vicino alle porte di casa sua (40, 31); nel ritornare ai prodromi della vicenda d’amore, in una sorta di archeologia dell’eros, Simeta ricorda il primo momento in cui ha ordinato alla sua schiava di convocare a casa sua lo splendente Delfi. Appena arrivato, Delfi ha varcato la soglia della dimora, ed è entrato senza bussare attraverso la porta, con passo leggiadro; quando Simeta ricorda le parole menzognere del senz’amore Delfi, sul suo letto, accenna alla sua dimora come una meta verso la quale il giovane amante di notte avrebbe voluto dirigersi più volte per baciare la donna. Simeta ricorda altresì che, se avesse serrato la porta con il paletto in segno di esclusione, Delfi avrebbe levato fiaccole e scuri contro la casa. La scena, tipica di un komos, indica la reazione davanti alla chiusura serale della porta e allude a un’eventuale serenata per attrarre l’attenzione della donna.

La porta nel II idillio, dunque, occupa uno spazio primario nella passione amorosa dell’incantatrice. A seconda che sia aperta o chiusa, la porta diventa lo scenario di situazioni amorose e psicologiche che Teocrito desume certo da una effettiva prassi canonica postsimposiale, ma che, proiettate nell’immaginario della donna abbandonata e tradita, tendono a segnalare una zona di duplice natura e di segno positivo o negativo. Nel caso in cui si possa varcare, la porta dà la possibilità dell’amore; nel caso in cui sia chiusa, deve essere espugnata con la richiesta dell’amato di schiudere i serrami. Infine, nel caso attuale di Simeta, la porta ormai chiusa è immagine dell’odio nutrito contro il traditore. La situazione messa in scena da Teocrito, oltre al paraklausithyron delle Ecclesiazuse di Aristofane, sembra essere influenzata dalla commedia nuova e da Menandro, dove ormai la riflessione sull’amore tra giovani e in generale il problema della corresponsione amorosa negata sono diventati motivi canonici. Inoltre è certo che con Menandro si verificano decisivi cambiamenti rispetto ad Aristofane in merito alla focalizzazione spaziale intorno alla porta: si ha come l’impressione, ad esempio, che il bussare alla porta diventi un gesto più stereotipato per il quale Menandro ricorre sempre al verbo kypheo, κυφέω, rispetto alla vasta gamma terminologica di Aristofane ereditata in parte da Eronda [cfr. Melandri (2007) per l’uso del verbo tecnico del bussare nella produzione menandrea], mentre la porta, come anche in Teocrito, tende sempre più a separare in maniera netta la zona familiare o domestica dal mondo esterno. Quando l’ambientazione è posta all’interno della casa del lenone, la porta diventa il traguardo da superare e da espugnare nel caso in cui l’etera non sia crudele e permetta l’accesso.

 

Fragmentum Grenfellianum

Risente certo di Menandro e in generale della commedia nuova la situazione evocata nel noto Fragmentum Grenfellianum. Qui una donna, con buona probabilità una bona meretrix, si trova dinanzi alla porta dell’amato. È una donna esclusa, allontanata dal traditore, forse ingannata. Certo la porta sulla quale riversa la sua sofferenza è il simbolo elegiaco di una lontananza non solo fisica, ma anche sentimentale. Il valore scenico di questa ambientazione è stato più volte sottolineato dalla critica: il Fragmentum infatti si pone come un interessante prodotto di arte mimico-ellenistica nel quale confluiscono echi diversi della produzione lirica, comica e popolare [sulla lingua e sullo stile del Fragmentum canoniche le pagine di Esposito (2005, 41-50)]. Significativa importanza riveste nel lamento l’idea di esclusione dovuta alla chiusura spietata della porta da parte dell’amante traditore (25- 28):

Αὐτὸ δὲ τοῦτό μοι τοὺς στεφάνους βάλε, οἷς μεμονωμένη χρωτισθήσομαι.
Κύριε, μή μ’ ἀφῇς ἀποκεκλειμένην· δέξαι μ’· εὐδοκῶ ζηλῶ δουλεύειν.

«Ma gettami le corone – questo soltanto –
cui stringermi in solitudine.
O signore, non mi lasciare fuor della porta,
accoglimi: altro non chiedo che esser tua serva devota».

Abbiamo in questo caso la ripresa di un nesso tecnico della commedia menandrea, apokleio, ἀποκλείω, un verbo che nella diatesi passiva indica l’amato/a chiuso/a fuori della porta di casa [a riguardo cfr. la dettagliata ricerca di Crusius (1896, 368)]. L’esclusa, ormai in un delirio inflitto dall’amore la cui potenza riesce a sconvolgere la mente umana, si trova dinanzi alla porta dell’amato. Qui prega il traditore di aprire la porta, di rendere possibile il ritorno, di fare in modo che la casa torni a essere accessibile come anche l’amore. L’esclusa non bussa alla porta, ma chiede di non essere lasciata fuori dalla porta, di essere accolta perché possa di nuovo essere la devota serva del padrone. La scena contiene tutti i motivi del paraklausithyron e ha un chiaro modello in Timocle (fr. 25 K.-A.) e nella Taide di Menandro [cfr. Pinotti (2004, 153-174)]. In entrambi i casi, tuttavia, abbiamo un’importante differenza: a parlare non è un’esclusa come nel Fragmentum, ma sia Timocle sia Menandro presentano il lamento di un uomo escluso che compiange l’ingiustizia dell’etera, la donna che serra la porta e non permette l’accesso. Nella Taide di Menandro, ad esempio, l’amante escluso pronuncia un’invocazione alla Musa di chiara matrice iliadica: la dea è ora invitata a cantare la durezza, la crudeltà, la finzione di una donna che ama per interesse e che soprattutto tiene chiusa la porta.

Dino De Sanctis @ 2016