Porta nella commedia

Almeno a partire dall’Orestea di Eschilo, come noto, per l’intera durata della rappresentazione, l’edificio che fa da sfondo all’azione, la σκηνή, mostra una porta centrale, che, a causa della inevitabile focalizzazione da parte del pubblico, diviene uno strumento essenziale per lo sviluppo dell’azione drammatica [con l’eccezione, per Whallon (1995), di Eu. 1-234, dove la σκηνή rappresenta forse il muro interno del tempio di Atena]. Non a caso, secondo lo sguardo retrospettivo del Platone delle Leggi, il πηγνύειν τὰς σκηνάς, la costruzione dell’edificio scenico, diviene sinonimo dell’istituzione di un teatro nella città che l’Ateniese sta progettando (VII 817c). Di norma, la σκηνή prevede tre porte, ma in merito al numero di porte necessarie per il flusso narrativo in Aristofane alcuni credono nell’impiego costante di un’unica porta [cfr. Dale (1957) seguito da Dearden (1976, 19-30); Thiercy (1986, 28-39)], altri, in maggioranza, sostengono l’uso di due o tre porte [cfr. Dover (1966); Russo (1994, 64 s., 137-141, 179 s., 225 s.); Handley (1993, 109-111); Pöhlmann (1995, 133-142)]. Nell’impiego della porta e dello spazio a essa antistante però, l’Archaia, e in particolare Aristofane, sembra distinguersi sotto vari aspetti all’interno della prassi teatrale antica. Il peculiare impiego della porta nello sviluppo della narrazione è causato, come vedremo, da un tratto che isola l’Archaia nel contesto del teatro antico: la variazione del luogo scenico, che non di rado in Aristofane si produce con velocità vertiginosa. Diversamente dall’Archaia, infatti, la tragedia prevede, tranne rare eccezioni, un luogo unico per l’azione, senza mutazioni, e nella commedia nuova più luoghi scenici coesistono in parallelo sin dal prologo, dove la maschera prologante stabilisce con chiarezza l’identità dei luoghi che resterà invariata sino al termine dell’azione [cfr. Mauduit (2000, 25)]. Nel processo di mutamento frequente dell’identità del luogo, la facciata scenica è «l’epicentro della metamorfosi dello spazio della commedia antica» [cfr. Giovannelli (2011, 90)]. Un processo di metamorfosi che possiamo seguire nel dettaglio perché più volte nel corso della stessa commedia i personaggi sulla scena informano il pubblico sulla mutata identità della porta, scandendo le variazioni di luogo che la trama richiede. Da Aristofane emergono tre aspetti prominenti nell’impiego drammaturgico della porta, tre sue funzioni principali: la porta assume un valore liminare, di soglia che separa spazi di diversa natura e significato, ai quali non di rado è attribuito il valore simbolico di opposizione fra pubblico e privato (AcarnesiVespe), fra spazio della realtà e spazio dell’utopia (LisistrataUccelliPluto), fra lo slancio della maschera comica e l’oggetto del suo desiderio (NuvoleVespeTesmoforiazuseLisistrataEcclesiazusePluto). Il valore di soglia attribuito alla porta è sottoposto a una continua variazione che segue il variare dello spazio scenico, con frequente violazione dell’unità di luogo; nelle commedie itineranti (UccelliTesmoforiazuseRane), la porta rappresenta la meta iniziale del viaggio dei personaggi, scandendo così uno snodo decisivo del racconto e offrendo l’occasione per esporre il plot; attorno alla porta Aristofane costruisce un modulo scenico ben riconoscibile che, con scopi diversi a seconda dei contesti drammatici, è sviluppato con numerose varianti. L’uso comico della θύρα è caratterizzato infatti dalle singole scene costruite attorno all’atto del bussare, un schema quasi onnipresente nelle commedie conservate di Aristofane al punto da essere definito da Revermann una “comic routine” [cfr. Revermann (2006, 184 s.)] e da Olson uno “stock-in-trade”, un ferro del mestiere del poeta comico [cfr. Douglas Olson (2002, 176)]. Tali scene, che possono essere definite tipiche, sembrano costituire un episodio a se stante, una comic routine il cui valore comico è spesso autonomo. Rispetto all’Archaia, la tragedia evita in modo pressochè costante, pur con le notevoli eccezioni delle Coefore di Eschilo (vv. 653-654) e dell’Elena di Euripide (vv. 435- 455), l’atto del bussare, probabilmente percepito come un elemento di vita quotidiana che il registro sublime della tragedia di per sè respinge, uno degli oikeia pragmata che secondo le Rane di Aristofane Euripide introduceva nella tragedia corrompendola (v. 959). Nella Nea, l’atto del bussare è frequente, costituisce uno dei modi con i quali i personaggi entrano abitualmente in scena, ma non produce più lo schema comico che osserviamo nell’Archaia, con la sua ricchezza di variazioni.

Osserviamo ora nel corpus di Aristofane le scene legate alla porta scandendo l’analisi secondo i tre punti appena isolati.

 

Violazione dell’unità di luogo e funzione liminare della porta

Negli Acarnesi, Diceopoli si muove tra campagna e città, tra lo spazio reale di Atene in guerra e lo spazio utopico delle proprie dimore, sedi della pace privata. Dalla Pnice del prologo, lo spazio scenico perde ogni connotazione quando, al termine dell’assemblea, Diceopoli resta solo. L’edificio teatrale, privo sinora di significato, diviene dal v. 201 la dimora di campagna di Diceopoli, dove l’eroe entra per celebrare le Dionisie rurali. Poi, nello spazio di un verso, alla σκηνή Diceopoli attribuisce un significato nuovo, ora di ambiente ateniese: la casa di Euripide. Dopo la scena con Euripide e l’agone con Lamaco, ancora nel breve spazio di due versi (vv. 620-622), Diceopoli trasforma l’edificio nella sua casa ateniese, di fronte alla quale apre un mercato privato, libero dalle leggi di Atene. La porta assume quindi significati sempre diversi al variare dello spazio scenico antistante, con una libertà che appare senza limiti. Da soglia del mondo colto di Euripide che l’agreste Diceopoli vorrebbe varcare per ottenere gli stracci utili a perseguire il proprio progetto, la porta degli Acarnesi diviene l’ingresso nello spazio privato dell’utopia realizzata, dove la connessione tra interno ed esterno si realizza nella preparazione di un banchetto, frutto concreto della vittoria utopica dell’eroe, con i servi chiamati a portare fuori il cibo (vv. 887-893, 1067-1141).

Per i repentini mutamenti di significato dello spazio scenico, forti analogie con gli Acarnesi presentano le Ecclesiazuse. L’azione si svolge di fronte alla facciata di due case [per il dibattito in merito al numero di porte, cfr. Giovannelli (2011, 95 n. 23)]. Ma l’identità delle case muta tre volte, sempre tramite l’intervento del Coro: fino al v. 730 l’edificio sullo sfondo è la casa di Prassagora, che però al v. 34 aveva bussato a casa della vicina; dopo la parodo, compare un cittadino anonimo che con due servi porta fuori alcuni oggetti dalla propria dimora; dopo il secondo intermezzo corale, gli inquilini divengono una vecchia e una giovane donna. Dal v. 1112 l’edificio assume un valore neutro. La funzione simbolica della porta emerge con chiarezza nella scena con il giovane, dove, con l’esplicita metafora sessuale, la soglia della casa diviene il confine che separa l’eroe comico dall’oggetto del suo desiderio.

Negli Uccelli la connotazione della facciata come ingresso al nido di Upupa (v. 642) evoca lo spazio utopico oltre la soglia. Dopo l’apertura della porta al v. 92, lo spettatore, come gli eroi comici, entra nello spazio dell’utopia. La casa-nido di Tereo (v. 642) è trasformata nella casa dell’eroe: al v. 664 Upupa, esaurito il ruolo di mediatore, rientra per l’ultima volta nella propria soglia e scompare definitivamente dall’azione. Al termine dell’intervento corale, Pisetero esce dalla facciata come nuovo sovrano [vv. 801-806; cfr. Giovannelli (2011, 102): «la riconfigurazione eroica di Pisetero si compie tramite il passaggio di proprietà e di ruolo della facciata scenica»]: la conquista di uno spazio, segnata da ingressi e uscite dalla porta, sancisce il successo del progetto dell’eroe. Nel Pluto il racconto di Carione (vv. 802-822) sulla diffusione repentina della ricchezza all’interno della casa di Cremilo evoca lo spazio extrascenico collocato dietro la porta, che chiude ora uno spazio interno, invisibile al pubblico, dove regna l’utopia raggiunta dopo il recupero della vista da parte del dio.

Nella Pace il frenetico movimento dei due servi collega gli spazi interni ed esterni. Sin dalla prima scena, il servo messaggero spia l’interno della casa (vv. 29-37). Anche al ritorno di Trigeo, la casa diviene sede del banchetto nuziale (v. 1191). Nella seconda parte della Pace, il sacrificio della pecora si svolge tra interno ed esterno (vv. 948-957, 1020-1022, 1041 ss.). Lo spazio interno è quindi in continuità con la dimensione pubblica della strada.

Il rapporto interno/esterno, articolato dalla porta, diviene il perno dell’azione scenica nella Lisistrata. Dopo il prologo, l’Acropoli, spazio per eccellenza della sfera pubblica, è conquistato dal mondo femminile di norma relegato nella sfera privata dell’oikos. Le donne entrano nell’Acropoli, che diviene la loro roccaforte, e lo spazio scenico coincide con la zona antistante le porte: il pubblico è escluso, come gli uomini sulla scena, dallo spazio nel quale si svolge l’azione. Lo spazio interno diviene il simbolo del potere nella polis, inaccessibile perché celato dalla porta serrata. Da leggere in questo senso anche l’episodio tra Mirrina e Cinesia, che si incontrano in un territorio neutro tra l’interno della casa e lo spazio dominato ora dalle donne. La tregua avviene, non a caso, quando le donne lasciano entrare gli uomini nell’Acropoli (vv. 1182-1187). La convenzione che prevede uno spazio chiuso quale sfondo degli eventi si trasforma quindi nel motore dell’azione della Lisistrata.
Nelle Nuvole l’eroe comico tenta di entrare in uno spazio esclusivo ma indispensabile per realizzare il suo progetto: la conquista del Pensatoio sarebbe essenziale per il progetto di Strepsiade, progetto che però non si compie perché lo spazio del potere resta estraneo all’eroe. Il fallimento dell’utopia è rappresentato dall’incendio quale «eliminazione forzosa di uno spazio interno di potere al quale non è stato in grado di accedere» [cfr. Giovannelli (2011, 103)].

La porta è quindi al centro della prassi drammaturgica di Aristofane: la variazione di significato dello spazio scenico comporta una continua risemantizzazione del confine fra spazi che grazie alla porta divengono simbolici.

 

La porta come meta del viaggio

La funzione narrativa della porta come meta per il viaggio dei personaggi sulla scena emerge con frequenza nelle sequenze incipitarie a partire dagli Uccelli. Nelle prime battute degli Uccelli, Evelpide e Pisetero sono in cammino verso una destinazione imprecisata al seguito di un gracchio e una cornacchia che li guidano in un modo che appare del tutto confuso. Al v. 9 emerge persino il terrore da parte di Pisetero di non essere in grado di ripercorrere a ritroso il cammino verso Atene. Solo al v. 15, grazie a un racconto retrospettivo di Pisetero, veniamo a conoscenza dell’origine e della destinazione del viaggio: i due personaggi hanno acquistato due uccelli-guida che, secondo le false promesse del πινακοπώλης, «venditore di tavole (con uccelli)», sarebbero stati in grado di condurli da Tereo, il re di Tracia ora divenuto Upupa. Dopo un ulteriore dialogo nel quale i due personaggi esprimono il loro smarrimento, Evelpide espone agli spettatori il proprio progetto: fuggire da Atene, città ormai in preda alla mania per i processi, alla ricerca di un luogo tranquillo. A questo scopo Evelpide e Pisetero sono in cerca del consiglio di Tereo-Upupa, che con il suo sguardo dall’alto sarà in grado di indicare una città libera dai tormenti di Atene. Subito dopo, a partire dal v. 49, i due uccelli-guida sembrano segnalare una meta precisa. Pisetero esorta ora Evelpide a colpire la roccia prima con un piede, poi con un sasso, gesto che Evelpide accompagna con il consueto richiamo allo schiavo-portiere: παῖ παῖ (v. 57). Solo ora il pubblico comprende che i personaggi sulla scena sono finalmente giunti di fronte a una porta che aprendosi darà inizio al progetto utopico. L’attenzione del pubblico è diretta verso la porta, probabilmente camuffata come roccia nel bosco, con un gioco intermittente di avvicinamento e distanza che favorisce l’ingresso graduale dello spettatore nel mondo utopico della commedia. Simile meccanismo osserviamo nell’esordio delle Tesmoforiazuse, che si aprono con il lamento del Parente sul continuo vagare impostogli da Euripide e con l’esplicita domanda sulla meta del viaggio (ποῖ μ’ ἄγεις, «dove mi stai portando?», vv. 1-4). Euripide e il Parente sono in cammino, ma il Parente, come lo spettatore, ignora la destinazione fino al momento dell’arrivo, quando l’attenzione del pubblico è focalizzata in modo progressivo sulla porta (vv. 26-29). Euripide, con un gioco verbale che introduce il profilo intellettuale del poeta κομψός, «brillante, raffinato», che dominerà l’intera commedia, costringe il parente a non vedere e a non udire sino al momento in cui i due personaggi giungono di fronte a un θύριον, «porticina», sul quale ora Euripide attira l’attenzione del compagno (v. 27). Assicurato il silenzio del Parente, solo ora Euripide rivela che si tratta della casa di Agatone, il tragediografo (v. 29). Emerge di nuovo in modo chiaro il meccanismo del ritardo che produce l’attesa del pubblico, con la focalizzazione progressiva della porta la cui funzione si profila quale punto di arrivo e di nuova partenza per l’azione scenica. Le Rane rappresentano un viaggio scandito nelle sue tappe da successivi arrivi a una porta, meccanismo che comporta la variazione di significato per l’edificio scenico [cfr. Russo (1994, 326)]. L’azione si avvia, come negli Uccelli e nelle Tesmoforiazuse, con un viaggio in corso. Dopo il primo scambio di battute, nel quale non è fornita alcuna informazione né sulla natura né sulla meta del viaggio, Dioniso segnala di essere ormai giunto ἐγγὺς τῆς θύρας («nei pressi della porta»: v. 35). Con il richiamo canonico al παιδίον, è da immaginare un contemporaneo bussare alla porta ancora priva di identificazione. Solo l’uscita repentina di un infastidito Eracle segnala al pubblico l’identità della porta: quella della casa dell’eroe. Da notare, come apprendiamo dalle parole di Eracle, che l’abbigliamento di Dioniso, con la clava e la pelle di leone, identificava per gli spettatori sin dall’inizio il travestimento con i panni di Eracle. Che la casa appartenga proprio all’eroe imitato da Dioniso suscita la sorpresa del pubblico e motiva il ritardo con il quale Aristofane permette l’identificazione, un ritardo funzionale ad accrescere la reazione del pubblico nel momento in cui è rivelata l’identità della casa. Il viaggio ha di nuovo inizio a partire dalla casa dell’eroe: da qui sino all’arrivo alla reggia di Plutone, l’edificio scenico perde ogni senso per la narrazione perché l’attenzione «sarà interamente assorbita dalla dinamica del viaggio e dal continuo mutamento dello spazio» nel paesaggio dell’Ade sino alla pianura fiorita [cfr. Giovannelli (2011, 93)]. La porta non ha quindi rilevanza sino ai vv. 431-433, quando Dioniso chiederà della casa di Plutone e con la sua risposta il Corifeo segnalerà il secondo arrivo a una porta: l’edificio scenico muta da casa di Eracle a spazio neutro e infine diviene la casa di Plutone, alla cui porta ora i protagonisti busseranno (vv. 460 ss.). Anche nell’esordio del Pluto, scopriamo sulla scena due personaggi che si trovano già da molto tempo in cammino, mentre un vecchio cieco li precede: notiamo di nuovo la reticenza di Aristofane nel fornire informazioni su figure, luogo e spazio dell’azione. Solo al v. 54, con l’ancora vago ἐνθαδί, Cremilo guida l’attenzione verso la facciata scenica. In modo inatteso, quindi, il personaggio comunica il termine del viaggio. L‘identità della porta sarà chiarita solo al v. 231, quando Cremilo invita Pluto a entrare nella sua casa. La porta quale meta del viaggio e la scena sulla soglia come snodo fondamentale da cui si avvia l’azione comica sono con ogni probabilità elementi da connettere alla prassi drammaturgica con la quale, a partire dagli Uccelli, Aristofane innova la tradizionale scena d’apertura con i servi prologanti di CavalieriVespe Pace: i protagonisti della commedia sostituiscono le figure marginali dei servi e presentano in prima persona il plot comico [cfr. Nesselrath (1996); Mastromarco- Totaro (2006, 110-112)].

 

La scena tipica sulla porta

In Aristofane, la scena tipica alla porta si profila sin dagli Acarnesi secondo un codice ben articolato e riconoscibile, grazie al quale l’autore può intrecciare un gioco palese con l’orizzonte di attesa del pubblico, tra rispetto e violazione delle norme. Un codice che è possibile descrivere nel modo seguente: un personaggio, o una coppia, si dirige verso la porta della skenè sotto la spinta di un desiderio che ritiene possa essere soddisfatto dal padrone di casa (modulo a). L’approssimarsi alla porta si risolve in un concreto bussare, spesso caratterizzato da particolare irruenza (modulo b1), o ridicola timidezza (modulo b2), oppure con l’attesa in disparte dell’uscita spontanea di un personaggio dall’interno della casa (modulo c). Nel bussare (b1-2) i personaggi richiamano l’attenzione dello schiavo-portiere con l’apostrofe παῖ παῖ (modulo d). Ad uscire dalla porta è di norma quindi lo schiavo addetto alla θύρα (modulo e) ma, per ragioni drammaturgiche sempre palesi, in alcune occasioni è il padrone stesso (modulo f ). Nel caso in cui ad aprire sia lo schiavo, la sua caratterizzazione anticipa i tratti che distinguono il padrone, preparando così l’eroe comico e con lui il pubblico all’ingresso del nuovo personaggio (modulo g). Un elemento centrale è poi la reazione ostile e rude dello schiavo-portiere, che impedisce o ostacola il progetto dell’eroe comico, ostilità poi proseguita dal padrone che però di norma cede, almeno in parte, alle richieste (modulo h). L’ostilità del personaggio che esce dalla casa si esprime in primo luogo nella protesta per il rumore prodotto alla porta (modulo i), un rumore connotato in modo sempre degradante per l’eroe, perchè paragonato allo scalciare dei cavalli (Nub. 136: λακτίζειν), al latrare dei cani (Ach. 410: λάσκειν), alla violenza animalesca dei centauri (Ran. 38: κενταυρικῶς). L’entrata in scena del padrone di casa, che possiede la facoltà di esaudire il desiderio dell’eroe comico, è ritardata e realizzata in modo spettacolare, per provocare la sorpresa del pubblico (modulo l). Da ciò, deriva la frequente posizione della scena sulla porta nelle fasi iniziali della commedia, con l’evidente funzione di preparare l’ingresso di personaggi centrali come Euripide, Socrate, Agatone, Zeus, Tereo, Pluto Revermann (2006, 184). Osserviamo ora come Aristofane tenda a modulare tale schema in funzione dei diversi contesti.

 

Acarnesi (vv. 393-479)

Negli Acarnesi la scena sulla porta compare con i suoi tratti canonici. Dopo lo scontro con il Coro, Diceopoli espone il proprio progetto: divenire ἀθλιώτατος, «in modo da destare la massima compassione», per difendersi agli occhi degli Acarnesi dall’accusa di tradimento per la pace privata siglata con gli Spartani (v. 384). Allo scopo di realizzare il proprio desiderio (modulo a), Diceopoli si reca alla porta di Euripide per chiedere gli abiti più adatti al fine di suscitare compassione (v. 394). Immediatamente richiama lo schiavo-portiere con il consueto παῖ παῖ (modulo d); lo schiavo esce e nega l’ingresso con un gioco di parole di sapore euripideo (modulo e: vv. 396-399) che annuncia, come lo stesso Diceopoli non manca di notare, il carattere del padrone (modulo g: vv. 401-402). Ora lo schiavo serra la porta, ma a questo punto Diceopoli bussa e chiama direttamente Euripide (vv. 403- 405) (modulo b1), che risponde dall’interno, dapprima negandosi, poi uscendo con l’ekkyklema (modulo l: v. 409). Il rumore prodotto da Diceopoli è svilito da Euripide al livello del latrare dei cani (modulo i: v. 410). La scena prosegue con una lista di oggetti di scena che Diceopoli chiede a Euripide, fino alla chiusura della porta al v. 479 dopo ripetuti tentativi di allontanamento. La critica ha immaginato una corrispondente scena sulla porta nel Telefo [cfr. Handley-Rea (1957, 31); Jouan (1966, 229)], dove l’eroe sarebbe stato ricevuto rudemente dallo schiavo-portiere, ma i resti della tragedia non mostrano traccia sicura di ciò [cfr. Cropp (1995, 19)].

 

Cavalieri (vv. 725-729)

Negli Acarnesi, gli elementi dello schema compaiono in sequenza canonica, ma Aristofane dispiega la propria tecnica di variazione sin dai successivi Cavalieri, dove i due personaggi alla porta di Demo, Paflagone e il Salsicciaio, non hanno un progetto comune, come accadrà nelle scene analoghe di UccelliTesmoforiazuse Rane, ma sono fra loro in contrasto polare. Il contrasto polare fra i due personaggi è rispecchiato dagli atteggiamenti opposti di fronte alla porta: all’arrogante irruenza di Paflagone, che nel bussare distrugge l’iresione per le Panepsie (v. 729) (modulo b1), fa da contraltare la rispettosa cautela con la quale il Salsicciaio invita Demo a uscire, con le apostrofi πάτερ “padre” e φίλτατον “mio caro” insieme al vezzeggiativo Δημίδιον “Demuccio” (modulo b2). Dopo la conquista della Bule da parte del Salsicciaio, Paflagone entra furioso sulla scena, minacciando di rivolgersi a Demo, ma il Salsicciaio accetta la sfida ritenendo eccessiva la fiducia di Paflagone nel suo potere su Demo (vv. 691-722). Il motivo della coppia che procede verso la porta spinta da un progetto condiviso (modulo a) ancora non è sperimentato da Aristofane: i due personaggi non collaborano ma sono in contrasto polare tra loro. Permane invece il modulo ricorrente dell’oggetto desiderato, qui il favore di Demo, quale obiettivo comune posto dietro la porta. Paflagone e il Salsicciaio si recano da Demo per l’arbitrato e lo chiamano fuori di casa bussando con violenza (modulo b1). Inoltre, lo schiavo-portiere non può entrare in gioco perché è Paflagone stesso, il personaggio che bussa alla porta, ad essere al servizio di Demo, il padrone di casa. L’impetuoso bussare sulla porta assume quindi un valore nuovo perché mostra il paradossale desiderio del servo di dominare la casa del padrone [cfr. Brown (2008, 354)] (modulo f). Nonostante l’assenza della figura dello schiavo-portiere, permane il modulo della rude reazione al bussare violento (modulo i).

 

Nuvole (vv. 126-221)

Di particolare rilievo per le Nuvole è il desiderio che conduce l’eroe alla porta, desiderio che muove l’intero plot: divenire discepolo di Socrate per vincere i processi e liberarsi dai debiti procurati dal figlio (modulo a). Strepsiade prima esita, poi bussa chiamando il portiere παῖ παιδίον, variando il modulo consueto con il vezzeggiativo (vv. 131 s.) (modulo d + modulo b2). Le modalità del bussare di Strepsiade sono interpretate variamente dalla critica: le lamentele del discepolo-portiere sul λακτίζειν («scalciare») che provoca la perdita di un pensiero appena scovato sono secondo Dunbar (1995, 153) il segno della rozza impazienza di Strepsiade, che prende realmente a calci la porta (modulo i) (non a caso λακτίζειν designa propriamente lo scalciare degli animali; cfr. Uccelli v. 54, Rane vv. 38 s., Pluto v. 1101); Dover (1968, 111) invece si tratta di un gioco comico sul timido e leggero bussare di Strepsiade, che è però sufficiente per distrarre il discepolo dalle sue astruse riflessioni (modulo b2). Che la persona che apre la porta sia un discepolo è la communis opinio fondata sugli scoli [cfr. Willi (2003, 114)], ma per Brown (2008, 356 s.) siamo in realtà di fronte al canonico schiavo-portiere. A questa conclusione inducono il tratto canonico della durezza (modulo h) e il rapporto mimetico con il padrone, come nei casi del portiere di Euripide negli Acarnesi e del portiere di Agatone nelle Tesmoforiazuse (modulo e; modulo g). Come negli Acarnesi, l’uscita dello schiavo produce l’attesa per il padrone, un’attesa che si prolunga in misura ancora maggiore rispetto alla norma (85 versi) al fine di preparare l’entrata in scena spettacolare di Socrate nella cesta (modulo l). L’esplicita e impaziente richiesta di aprire la porta che Strepsiade rivolge allo schiavo ai vv. 181-183 segnala che sino a quel momento, durante il racconto esteso delle scoperte di Socrate, lo schiavo aveva tenuto serrata la porta, accrescendo l’aura di mistero attorno alle attività condotte all’interno della casa. Strepsiade, con il convulso ἄνοιγ’ ἄνοιγ’ ἁνύσας τὸ φροντιστήριον “Presto, apri il Pensatoio” (181) e il successivo comando ἄνοιγε τὴν θύραν “apri la porta” (183), richiama i nessi con i quali i personaggi della tragedia chiedono l’apertura del palazzo, nessi che annunciano la comparsa dei cadaveri. Fattori di forte sorpresa sono quindi l’uscita dei discepoli, non a caso pallidi come cadaveri, al posto del maestro e l’ingresso ritardato di Socrate sulla cesta sospesa dalla mechanè. Una notevole espansione nella scena delle Nuvole subisce quindi il modulo del ritardo, che favorisce l’attesa per lo spettacolare ingresso di Socrate provocata dalla detorsione comica dei moduli tragici (modulo l). Di rilievo è la notevole variazione che la scena delle Nuvole sembra imporre allo schema consueto: l’ingresso dell’eroe nello spazio scenico celato dalla porta in luogo dell’uscita del personaggio che attendeva dietro la porta. Brown (2008, 357) sottolinea però come la richiesta di Socrate ai vv. 181-183 rispecchi, più che un linguaggio quotidiano, il modulo della tragedia che introduceva l’impiego dell’ekkyklema (cfr. E. Hipp. 808-810, con il richiamo di Teseo ad aprire il portale per mostrare il cadavere di Fedra). L’attesa per l’ekkyklema favorita dal modulo tragico è poi delusa, perché sostituita da un altro mezzo scenico della tragedia: la mechane.

 

Pace (vv. 179-187)

Deciso a interrogare Zeus sul destino dell’Ellade (modulo a), dopo il volo con lo scarabeo, Trigeo giunge alla porta di Zeus e bussa con forza chiedendo di aprire (modulo b1). Il motivo dell’entrata spettacolare del padrone di casa è invertito di segno (modulo l): Zeus, il padrone, non comparirà mai sulla scena perché non è in casa, non è a palazzo, e l’effetto spettacolare di norma prodotto dall’ingresso del padrone è provocato dal personaggio questuante che si presenta alla porta. Lo stupore per la comparsa ritardata del padrone di casa è sostituito dalla sorpresa di Hermes, che svolge qui la funzione dello schiavo-portiere (modulo e), per la visione dell’ἱπποκάνθαρος, «ipposcarabeo». La consueta ostilità del portiere non è più rappresentata, come di norma accade (modulo h), quale reazione al semplice bussare che introduce l’esposizione della richiesta e il manifestarsi dell’identità del personaggio questuante, ma deriva da una causa evidente: la visione del mostruoso scarabeo, che produce, da parte di Hermes, un’esplosiva sequenza di insulti che ruota attorno alla μιαρία, «scelleratezza», di Trigeo.

 

Uccelli (vv. 54-92)

Pisetero ed Evelpide cercano Tereo-Upupa perché desiderano indicazioni sul luogo in cui realizzare il loro progetto utopico (modulo a). Credono di essere giunti a destinazione, ma, ovviamente, nella foresta in un primo momento non si scorgono case. Tuttavia, dal momento in cui la cornacchia segnala a Pisetero un punto preciso, in alto nella rocciosa facciata scenica, si avvia un graduale passaggio dall’ambientazione selvaggia all’ambiente urbano necessario per la scena tipica sulla soglia. Sul contrasto fra il mondo arboreo degli uccelli e il sapore cittadino della scena in cui Evelpide e Pisetero bussano alla casa di Upupa Aristofane costruisce una serie di variazioni al modulo consueto. Lo schema subisce variazioni che rispecchiano e annunciano le caratteristiche del mondo degli uccelli. Nel giro di pochi versi, il rumore che Evelpide e Pisetero intendono produrre per stanare gli uccelli è prima indicato da un generico ψόφος, «rumore» (vv. 53, 55), poi dal perspicuo κόπτειν («bussare»), che con maggiore chiarezza indica l’azione del bussare dall’esterno sulla porta (vv. 56, 58): la scena assume i tratti tipici dell’ambiente urbano (modulo b1). Anche il canonico richiamo παῖ παῖ è variato in relazione al contesto: Pisetero rimprovera Evelpide perché Tereo-Upupa, l’ἔποψ, non può rispondere al canonico richiamo παῖ παῖ, ma deve essere chiamato con l’onomatopea ἐποποῖ (modulo d). La casa- nido di Upupa assume invece i tratti del mondo animale con la presenza di un uccello nel ruolo dello schiavo-portiere. La tipica reazione di rifiuto del portiere nella scena degli Uccelli si muta infatti nel timore del portiere-uccello di trovarsi di fronte a due cacciatori (modulo h; v. 63). Al v. 92, da dietro la facciata scenica, Upupa ordina allo schiavo di aprire la porta: ἄνοιγε τὴν ὕλην, «apri… la selva». Il modulo tragico dell’apertura della facciata tramite l’ekkyklema, richiamato dall’ordine di Upupa, è variato ancora in funzione del contesto drammaturgico: l’oscillare continuo fra il mondo degli uomini e il mondo degli uccelli traspare ora dal wordplay tra ὕλη («bosco») e πύλη («porta»), non a caso il termine che in tragedia, in luogo del comico e prosaico θύρα, designa la porta [per il gioco sui campi semantici di ὕλη, termine che indica anche il legno, materia della porta, cfr. Mastromarco-Totaro (2006, 122 n. 17)]. L’entrata di Tereo ai vv. 92-106 è preparata dallo schiavo-portiere che annuncia la rabbia del padrone per il risveglio forzato (modulo h). L’ingresso di Tereo-Upupa suscita la reazione sorpresa ed esilarante di Evelpide e Pisetero (modulo l).

 

Tesmoforiazuse (vv. 25-265)

Ai vv. 25-30 i due personaggi sono in silenziosa attesa di fronte alla porta di Agatone (modulo c), il cui aiuto potrebbe essere decisivo per il progetto di Euripide (modulo a). Al v. 39 appare lo schiavo- portiere che imita lo stile del padrone (modulo f + modulo g) [cfr. Mastromarco-Totaro (2006, 442 n. 7) per i modelli letterari del motivo della quiete cosmica nelle parole dello schiavo-portiere]. Ai vv. 65 s. la richiesta di chiamare fuori Euripide suscita il disprezzo dello schiavo-portiere (modulo h). L’uscita del padrone di casa avviene senza particolari resistenze perché Agatone aveva già intenzione di raggiungere l’esterno per «piegare le strofe al sole» (variazione sul modulo h). Ai vv. 95-98 Agatone esce sull’ekkyklema (modulo l) [cfr. Mastromarco-Totaro (2006, 447 s. n. 14)]. La scena delle Tesmoforiazuse non prevede quindi la resistenza consueta del portiere di fronte ai personaggi questuanti per favorire così lo spettacolare ingresso del poeta che offrirà l’inno cletico per le divinità che proteggono Troia.

 

Rane (vv. 35-46)

Dopo il primo scambio di battute tra Dioniso e il servo Xanthia durante il viaggio, Dioniso segnala l’arrivo presso una porta, designata come prima tappa necessaria (vv. 35-38) ma senza alcuna determinazione precisa (variazione sul modulo a). Dioniso chiama il pais (modulo d), ma con grande sorpresa del pubblico al posto dello schiavo-portiere compare Eracle (modulo f), un’entrata preparata forse solo dalla pelle di leone e dalla clava che Dioniso trasporta (modulo l). Dioniso chiama il pais secondo lo schema consueto, ma con forte sorpresa del pubblico al posto dello schiavo-portiere compare il padrone Eracle: una variazione inattesa che permette ad Aristofane di mettere in scena l’eroe di fronte al suo assurdo sosia, con i numerosi giochi comici che ne nascono.

Dopo la topica risposta di fastidio per il rumore alla porta (modulo i), con il paragone con l’impeto dei centauri (vv. 38 s.), il modulo del rude rifiuto da parte dello schiavo-portiere (modulo h) subisce una sostanziale variazione: Eracle resta in silenzio, sbigottito alla vista di un suo buffo doppio che porta la clava, indossa la pelle di leone ma anche i coturni femminili [cfr. Mastromarco-Totaro (2006, 564 n. 6): lo stupore di Eracle ricorda lo stupore del Parente per la comparsa di Agatone in Th. 136- 140, qui però «motivato dal fatto che Eracle vede davanti a sé un suo buffo sosia»].

 

Rane (vv. 460-469)

Dioniso bussa alla porta di Plutone (modulo b1) e gioca sul modo di bussare in uso nell’Ade: il dubbio è risolto da Xanthia, che consiglia di usare la clava di Eracle. Risponde un pais (modulo e) che rivolge una serie di insulti al falso Eracle: il modulo del rude portiere è variato in funzione della situazione narrativa delle Rane, nella quale a presentarsi alla porta è un personaggio con una falsa identità (variazione sul modulo h). Altro elemento topico è l’esitazione nel bussare di fronte a un edificio la cui funzione incute timore (modulo b2), come accade a Strepsiade di fronte al Pensatoio nelle Nuvole. Nelle Rane, quindi, il travestimento di Dioniso da falso Eracle è il perno attorno al quale Aristofane sviluppa il gioco comico nelle scene sulla porta, sia alla casa di Eracle sia al palazzo di Plutone.

 

Pluto (vv. 1097-1102)

Dopo l’intermezzo corale, Hermes entra sulla scena, bussa alla porta e si nasconde (vv. 1097-1099). I moduli b1 c, di norma in alternativa fra loro, si fondono. Carione esce e chiede, secondo il modulo i, chi ha battuto così forte alla porta (v. 1101), Hermes nega e sostiene che stava per farlo. La critica immagina un gioco scenico silenzioso di Hermes, che per noi non ha però una funzione comica chiara: emerge forse la necessità di dare nuova linfa alla scena tipica, come sostiene Revermann (2006, 184 n. 10), tramite un gioco metateatrale intorno a una routine ormai stanca.

 

La scena sulla porta nella commedia nuova

Nella Nea, la porta conserva il ruolo di perno dell’azione drammatica, ma, rispetto a ciò che abbiamo osservato in Aristofane, il suo impiego appare uniforme, estraneo al gioco di variazioni continue che domina l’Archaia. Di norma, il personaggio prologante identifica due porte che conducono a case appartenenti alle famiglie coinvolte nel plot [AspisDyskolosMisoumenosPerikeiromene, forse Phasma; cfr. Ferrari (2001, 1035 s.)]. Lo spazio antistante la porta coincide quindi abitualmente con uno spazio urbano, di norma una strada o una piazza, che non muta mai nel corso della commedia. In genere [come mette in luce Frost (1988, 24 n. 11)] il personaggio che bussa chiama i servi (modulo d) oppure chi è all’interno chiede l’identità di chi sta bussando, ma in seguito l’azione si sviluppa senza alcuna resistenza da parte dei servi o del padrone di casa (assenza del modulo h) [cfr. Brown (2000)]. Ad esempio, nell’Aspis, dopo il prologο di Tyche che identifica le porte sulla scena, Smicrine intende bussare alla ricerca di Davo, pedagogo di Cleostrato, che esce però in modo spontaneo mentre continua a parlare rivolto alle donne rimaste all’interno della casa (vv. 160-170). Sulla porta avviene solo un cordiale colloquio con Davo, che non si oppone in alcun modo e non reagisce con l’asprezza tipica dello schiavo-portiere dell’Archaia. Il tono di Davo, rivolto alle donne in casa, è anzi del tutto serio: esorta a sopportare il dolore per la presunta morte di Cleostrato. Come mette in luce Ingrosso (2010, 232 s.), nell’Aspis (v. 166), come nel Misoumenos (v. 607), che l’atto del bussare rimanga sospeso nella fase preparatoria di una scena di contenuto serio richiama il codice della tragedia, secondo il quale bussare è di norma da evitare perché in contrasto con l’atmosfera tragica.

Mario Regali @ 2016