Parabasi nella traduzione e messa in scena

Parte strutturale della commedia, e tratto peculiare della Archaia (vedi Sezione A) la Parabasi è il momento della commedia che suscita maggiore interesse nelle messinscene e nelle riscritture drammaturgiche. Gli elementi che catalizzano più di frequente l’attenzione registica sono tre: la palese discontinuità rispetto alle tonalità e al registro del resto del testo drammatico; il carattere scopertamente metateatrale; le fitte allusioni alla contemporaneità (su questi aspetti: Hall-Wringley 2007).

Dal punto di vista drammatico, la Parabasi rappresenta uno straordinario momento di contrasto, quasi a controbilanciare le componenti fantastiche della commedia (Treu 2005): il coro – altrove vera e propria personalità drammatica – mostra qui la propria ‘identità cangiante’ (“swithing identity”: Silk 2007, p. 234) e appare esplicitamente come insieme di attori. La maggior parte dei registi sceglie di sottolineare questa cesura, proponendo un cambio di costume probabilmente in linea con la stessa prassi antica (Stone 1977). La Parabasi è del resto il momento in cui “sotto la veste si vedono i coreuti in quanto tali, che non dimenticano mai di essere cittadini ateniesi alle feste di Dioniso” (Treu 2005); e questo effetto viene realizzato per lo più con l’eliminazione temporanea delll’aspetto più connotante del costume e con un’allocuzione diretta al pubblico (così, per esempio nelle Vespe dell’Inda, 2003, regia di Renato Giordano).

Non di rado le regie sottolineano, anche in modo molto marcato, come sia la voce stessa dell’autore a parlare: nella rappresentazione delle Nuvole prodotta dall’Inda nel 1988 (regia di R. Sammartano), un solo attore del Coro interpretava Aristofane stesso. Nella successiva edizione siracusana delle Nuvole (2011, regia di Alessandro Maggi) la Parabasi si apre con il lancio di una testa dal phrontisterion: il Coro passa di mano in mano la testa, che rappresenta palesemente quella dell’autore (“La Parabasi è un escamotage teatrale straordinario, io l’ho pensato come un tributo ad Aristofane, come a dire «questa parola deve vivere per sempre»”, Conversazione con Alessandro Maggi, a cura di Giuseppina Norcia, indafondazione.org). Nelle Nuvole di Latella-Russo (2010) la Parabasi segna innanzitutto una pausa forte ritmica (Capra-Giovannelli-Treu 2010) ed è recitata in versione leggermente attualizzata, dal terzo attore: a nome di Aristofane elogia la sua commedia, fa appello ai pochi spettatori che possano apprezzarla, con toni accorati, depreca le trovate di cattivo gusto dei colleghi.

Dal punto di vista drammaturgico, la Parabasi è il luogo in cui gli adattamenti e le riscritture si muovono con maggiore libertà: le allusioni al contesto politico e agonale vengono frequentemente utilizzate come occasioni per attualizzazione (Hall-Wringley 2007) e per attingere scopertamente ai più commentati fatti d’attualità. Nelle Rane della compagnia Teatro Due (2013), la Parabasi diventa una liberatoria invettiva contro i vizi e i corrotti della nostra società (tra le allusioni palesi: “Quelli che hanno il conflitto d’interesse”, o “che credono che La Russa sia una badante”).

Un esperimento particolarmente ardito e interessante si trova nell’edizione siracusana delle Donne al Parlamento del 2013, dove alla traduzione di Andrea Capra il regista Mario Pirrotta ha aggiunto un peculiare contributo: in una commedia priva di Parabasi, ne è stata aggiunta una ex post ‘alla maniera di Aristofane’, inserita armoniosamente nel testo (Treu 2013; Capra 2013), che allude alle preoccupanti statistiche di violenza sulle donne. Anche dal punto di vista scenico, la rottura con il resto della commedia è palpabile: il coro apostrofa direttamente gli spettatori, entrando addirittura nello spazio scenico destinato al pubblico. In questo caso, anziché svestirsi e deporre le maschere, le attrici del coro si rivestono con un burqua, simbolo di una condizione femminile oppressa e limitata.

Maddalena Giovannelli © 2016