Componente peculiare dell’archaia, certo a partire da Cratino, la parabasi è la sezione perlopiù centrale della commedia nella quale il coro si rivolge al pubblico esprimendo il pensiero del poeta, celebrando se stesso e invocando le Muse o altre divinità. Nella sua forma completa la parabasi prevede sette parti: le prime tre (kommation, parabasis o anapaistoi, pnigos o makron), astrofiche, sono eseguite dal corifeo, mentre le altre quattro (ode o strofe, epirrema, antode o antistrofe, antepirrema), strofiche, sono eseguite dal coro (ode e antode) e dal capo dei semicori (epirrema, antepirrema) (cfr. B). In cinque delle commedie conservate di Aristofane (Cavalieri, Nuvole, Vespe, Pace, Uccelli) sono presenti parti corali successive alla parabasi centrale, definite dagli scolii parabasi “seconde” o “finali”, il cui carattere parabatico emerge sia da caratteristiche formali (sizigia epirrematica) sia tematiche [cfr. Totaro (20002, 3-25)].
A partire da Zielinski (1885, 175) è stata opinione condivisa che l’uso tecnico di παράβασις si affermasse solo a partire dall’erudizione antica (cfr. B), ma le occorrenze del nesso παραβαίνειν πρὸς τὸ θέατρον all’inizio delle sezioni anapestiche di Acarnesi (628-629) Cavalieri (507-509), Pace (734- 735) e, almeno in parte, delle Tesmoforiazuse (785) e del Fanciullino di Platone comico (fr. 99 PCG) depongono a favore del fatto che in origine il termine avesse accezione tecnica almeno riguardo la parabasis vera e propria, la seconda sezione della parte astrofica composta dagli anapesti [(Gelzer (1960, 204 n. 3) osserva che Aristofane non impiega mai il nesso per la seconda parte strofica della parabasi]. Come mette in luce Sifakis (1971, 63), infatti, solo nella parte astrofica tornano i motivi ricorrenti nelle sezioni introduttive dove compare il nesso παραβαίνειν πρὸς τὸ θέατρον: la costrizione, ἀναγκάζεσθαι, il movimento del παραβαίνειν, e la lode. Non ha ottenuto consenso l’interpretazione dello stesso Sifakis (1971, 66) secondo la quale παράβασις è da considerarsi sinonimo di παρέκβασις in quanto “digression of the chorus from its main business” [cfr. Bain (1975)].
Il termine kommation è attestato già in un frammento incertae fabulae di Eupoli nel nesso εἰωθὸς τὸ κομμάτιον τοῦτο che prova l’accezione con ogni probabilità già tecnica del termine (fr. 396 PCG). Nel kommation, di forma metrica varia, il corifeo congeda gli attori presenti in scena per poi richiamare il coro a prepararsi per la parabasi e il pubblico a prestare attenzione. La preparazione del coro consiste nel deporre gli oggetti di scena, come i mantelli negli Acarnesi (627), o gli attrezzi dei contadini che compongono il coro della Pace (729), segnale che rappresenta in modo plastico la sospensione dell’illusione teatrale, grazie alla quale i membri del coro mutano l’identità che possedevano sino a quel momento [in merito al ricco dibattito relativo al legittimo impiego del concetto di “rottura dell’illusione scenica” per il teatro antico, cfr. Imperio (2000, pp. 316-318)]. Non a caso, nei kommatia degli Uccelli e delle Tesmoforiazuse, dove il coro conserva la propria identità anche nelle parabasi che seguono, il segnale di deposizione degli oggetti di scena è assente. Di maggiore ambiguità è il caso della Lisistrata, dove la corifea invita le φίλαι γρᾶες a deporre i mantelli ma l’identità del semicoro delle vecchie non viene meno (637). Nei Cavalieri (503-506) e nelle Vespe (1010-1014), il corifeo loda gli spettatori per la loro competenza letteraria, in una chiara forma di captatio che accomuna il pubblico e il poeta nella competenza sul teatro. Nei kommatia conservati, appare forte il legame con la parabasis che segue: negli Acarnesi, nei Cavalieri e negli Uccelli è esplicito il richiamo del coro agli anapesti che seguono (Ach. 627: τοῖς ἀναπαῖστοις ἐπιώμεν; Eq. 503-504: ὑμεῖς δ’ ἡμῖν προσέχετε τὸν νοῦν τοῖς ἀναπαίστοις; Av. 684: ἄρχου τῶν ἀναπαίστων); nei Cavalieri e nelle Vespe, sia nel kommation sia nel primo degli anapesti seguenti si richiama l’attenzione degli spettatori. Le prime tre parti strofiche, in particolare kommation e parabasis, offrono un contenuto a tal punto uniforme, che, secondo Sifakis (1971, 38), la distinzione fra di esse è possibile solo grazie al metro.
Nella parabasis in senso proprio, ossia negli anapesti, il corifeo, deposta la maschera, può farsi portavoce del poeta. La sezione è di norma composta da tetrametri anapestici, ma anche da eupolidei e da forme metriche ad essi correlate. I motivi che si intrecciano negli anapesti sono vari, ma sempre di carattere apologetico. Al poeta è attribuito il profilo del buon consigliere politico che si pone a difesa della polis contro l’influenza nefasta di figure negative come Cleone (Acarnesi, Vespe, Pace), un profilo al quale non di rado è accostata la maestria letteraria, a dispetto delle incomprensioni che ne hanno in passato provocato la sconfitta nell’agone comico in favore di rivali indegni perché autori di plagio o comunque privi di originalità (Cavalieri, Nuvole II*, Vespe, Pace). Nelle parabasi degli Uccelli e delle Tesmoforiazuse, invece, nelle quali il legame con il plot della commedia è più serrato, il coro elogia se stesso: negli Uccelli, al centro del racconto sviluppato dal coro è la superiorità del genos dei volatili fondata su basi cosmogoniche, nelle Tesmoforiazuse, la superiorità del genere femminile su quello maschile (799-800).
Il makron o pnigos, perlopiù in anapesti, recitato dal corifeo, si conclude con un’enfasi di norma coronata dall’invito all’applauso. Nella seconda parte, quando la parabasi assume forma strofica, strofe e antistrofe offrono invocazioni a muse e divinità (Cavalieri, Nuvole, Pace, Uccelli, mentre in Acarnesi e Rane l’epiclesi è confinata alla strofe) oppure, nelle Vespe, l’autoelogio del coro dei giudici anziani che si professano i migliori tra gli Ateniesi, superiori a molti dei giovani. Nel caso della Lisistrata, con il coro sdoppiato fra vecchi e vecchie, la strofe e l’antistrofe ospitano gli attacchi reciproci delle due parti. La coppia di epirremi, per lo più in serie multiple di quattro tetrametri trocaici, recitati dal capo di ciascun semicoro, è di contenuto vario, spesso scoptico, dove il biasimo (ψόγος) è è declinato nell’attacco ad personam (ὀνομαστὶ κωμῳδεῖν) ο nel dileggio di interi gruppi sociali (giovani procuratori negli Acarnesi, strateghi in carica nei Cavalieri, giudici senza ‘pungiglione’ nelle Vespe, tassiarchi vigliacchi nella Pace, sesso maschile nelle Tesmoforiazuse). Gli epirremi possono presentare al contempo, come la parabasis, autoelogi del coro (Cavalieri, Vespe, Uccelli) e serie analisi della situazione politica, con intento requisitorio, come nella Lisistrata, o parenetico, come nelle Rane.
La parabasi compare in forma completa solo in Acarnesi, Cavalieri, Vespe e Uccelli, mentre nelle Nuvole manca lo pnigos, nella Pace le parti epirrematiche, nella Lisistrata e nelle Rane le prime tre sezioni astrofiche, nelle Tesmoforiazuse odè, antodè e antiepirrema, mentre le Ecclesiazuse e il Pluto sono del tutto prive di parti parabatiche. Non appare fondata su di un quadro completo della produzione aristofanea l’opinio communis secondo la quale alla riduzione progressiva dello spazio riservato alla parabasi, dalla forma completa degli Acarnesi all’assenza totale del Pluto, corrisponderebbe un parallelo processo di integrazione nel plot della commedia, con la conseguente scomparsa del tratto distintivo che la critica attribuisce alla parabasi: la sospensione temporanea del patto fra attori e pubblico che fonda l’illusione teatrale (cfr. Imperio 2004, p. 21). Mentre l’ipotesi, sostenuta ad esempio da Nesselrath [2000, 305 (“Neben dieser Schrümpfung lässt sich […] eine Tendenz zu stärkerer Integration der P. beobachten”)], sembra valida per le commedie conservate, dai frammenti emerge un quadro di maggiore complessità: nello stesso periodo degli Uccelli e delle Tesmoforiazuse, dove il coro mantiene le proprie maschere anche in fase parabatica, negli anapesti delle Tesmoforiazuse II solitamente datate tra il 415/14 e il 407/6 compare la voce del poeta [cfr. Austin-Olson (2004, lxxxiv- lxxxvii) e Imperio 2004 X]. In particolare, nel fr. 346 PCG Aristofane si scusa per eventuali manchevolezze del dramma, causate da una violenta raucedine che lo ha tormentato nei quattro mesi precedenti la messa in scena, costringendolo a bere acqua. Nel motivo del poeta astemio, è possibile scorgere la giustificazione di Aristofane per una possibile sconfitta nell’agone. Nel frammento 48 dell’Anagiro, rappresentato tra il 419 e il 412, Aristofane rivolge ad Eupoli un’accusa di plagio in un verso eupolideo di chiara origine parabatica: dal mantello di Aristofane, Eupoli avrebbe tratto tre camiciotti. All’accusa Eupoli risponde nel fr. 89 dei Battezzatori, tra 418 e 412, sostenendo di aver regalato al calvo Aristofane i Cavalieri. Per converso, anche per il primo periodo della produzione aristofanea, i frammenti offrono un esempio di parabasi nella quale il coro sembra mantenere la medesima maschera indossata nel corso della commedia: nelle Navi mercantili, rappresentate alle Lenee del 423, i tetrametri anapestici dei frr. 427-31 conservano un elenco di manufatti e prodotti alimentari che probabilmente il coro di navi vantava di aver portato ad Atene da varie regioni (cfr. Mastromarco 1987, 78). Con ogni evidenza, non sembra legittimo ipotizzare uno sviluppo lineare che da una forma parabatica completa nella quale il coro si identifica con il poeta proceda verso una forma incompleta nella quale il coro mantiene la propria identità. Diversamente, appare plausibile che la persona loquens nella parabasi coincida di volta in volta con il coro o con il poeta a seconda della mutevoli esigenze drammatiche che variano di commedia in commedia al variare dei contesti narrativi. Di maggiore cogenza per la riduzione dello spazio riservato alla forma parabatica è invece il progressivo indebolirsi della funzione del coro. Come sottolinea Hubbard 2001 (p. 251), però, il parabatic impulse sopravvive alla scomparsa della parabasis in senso formale grazie al reimpiego dei suoi temi e dei suoi motivi in altre strutture comiche.
Nella produzione di Aristofane assistiamo, infatti, oltre al ridursi dell’estensione del “materiale parabatico”, anche alla sua “diluizione o ridistribuzione in altre sezioni della commedia” [cfr. Imperio (2004, 16)]. Nella Lisistrata (614-705), in assenza della parte astrofica la sizigia epirrematica risulta duplicata. Nella Pace sono assenti le sezioni epirrematiche, ma ciò sembra bilanciato dall’agone dove riaffiorano i temi della parabasi (vd. infra). In modo analogo, nelle Tesmoforiazuse la strofe è assente ma le due sezioni corali che seguono mostrano un carattere parabatico tramite l’encomio delle feste Tesmoforie che sviluppano. Nelle Rane, all’assenza della parte astrofica risponde una sezione della parodo (354-371) che mostra i tratti distintivi della parabasi: l’andamento anapestico e la caratterizzazione degli Iniziati sia come esperti dei riti delle Muse e della lingua di Cratino, sia come nemici della στάσις odiosa che distrugge Atene (354-368). Peraltro, i resti dei Pluti di Cratino, da datare all’inizio degli anni Venti, che conservano una parodo “parabatica”, dimostrano che l’operazione messa in atto da Aristofane nelle Rane si inserisce nel solco di una tradizione già consolidata.
Il dibattito critico sull’origine della parabasi ha un’ampiezza tale che giunge a comprendere in sé la questione dell’origine stessa della commedia come fenomeno letterario. Se da una parte i Cambridge Ritualists come Cornford pongono l’accento sull’aspetto rituale che connota la parabasi come un fossile successivamente inglobato nella forma storica della commedia [da ultimo Bierl (2001) recupera, con alcuni correttivi, tale ipotesi], gli studi successivi, come Sifakis (1971, 66-68), danno maggiore peso ai temi politici della parte astrofica, interpretati come innovazione tarda risalente alla nascita degli agoni. Un approccio nuovo è proposto poi da Hubbard (1991), che scorge nella parabasi un fenomeno di natura esclusivamente letteraria e intertestuale, il cui legame con l’azione scenica sembra essere molto più stretto di quanto di norma sostiene la critica. Da ultimo Imperio 2004 (cfr. e.g. 14-16) mette in luce come la valutazione letteraria della parabasi si imponga a causa della mancanza di frammenti parabatici prima di Cratino e dell’evidente gusto per lo Spiel mit Formen che mostra Aristofane a partire dalla Pace, dove è possibile osservare un peculiare scambio di temi e forme tra parabasi e altre sezioni della commedia: sia per il metro, con i tetrametri trocaici, sia per il tema della denuncia anti- imperialista il discorso di Hermes (601-648) richiama il contenuto della parabasi. Emerge la tendenza di Aristofane ad innovare, già dal 421, le forme tradizionali in funzione delle esigenze drammaturgiche che sussistono di volta in volta .
Prima Sifakis (1971, 37-44), poi Hubbard (1991, 16-40) e ora Imperio (2004, 22-99) offrono sempre più raffinati cataloghi sistematici dei contenuti delle parabasi. Tra i temi che nella parabasi, pur in forma polifonica, scaturiscono dalla “voce del poeta” è possibile isolare i motivi ricorrenti dell’eulogia o apologia del poeta, dell’encomio che il coro rivolge a se stesso, dello ψόγος e dell’invocazione alle Muse o ad altre divinità. Per il tema apologetico, il poeta comico eredita dalla lirica corale l’impiego della prima persona singolare o plurale quale forma di elocutio che richiama l’attenzione su argomenti di particolare pregnanza la cui comunicazione è avvertita come urgente. In questi casi, il coro nella parabasi oscilla tra i ruoli del personaggio interno al contesto drammatico, del portavoce del poeta σοφός, del celebrante nella festa per Dioniso o del performer di poesia lirica con le varie possibilità di auto-rappresentazione che tali ruoli permettono [cfr. Goldhill (1991, 199-200)]. Tra i capisaldi della lode che il poeta rivolge a se stesso è il merito che Aristofane rivendica nei confronti di Atene, spesso dovuto al ruolo paideutico svolto nei confronti dei cittadini. Dalla tradizione giambica, la parabasi comica deriva il tema della Mischung tra σπουδαῖον e γελοῖον, come mostrano sia la parodo “parabatica” degli Iniziati nelle Rane (389-393), sia gli anapesti degli Acarnesi (646-651). Ancora in continuità con la tradizione giambica, all’elogio la parabasi accosta la forma del biasimo, in una struttura non di rado antitetica. In ambito letterario, sin dalla parabasi dei Cavalieri (488-550), alla lode che Aristofane rivolge a se stesso perché poeta nuovo e originale, si oppone la denigrazione dei poeti avversari che rappresentano un’arte comica ormai invecchiata e rozza (in particolare Cratino e Cratete). Così, nelle Nuvole, alla dicotomia tra raffinatezza e volgarità sono associati gli spettatori (521- 548): nel segno della καινότης e della δεξιότης, con le Nuvole prime del 423 Aristofane si era rivolto agli spettatori δεξιοί, ma fu costretto alla ritirata da ἄνδρες φορτικοί che ne decretarono la sconfitta immeritata, con ogni probabilità Cratino e Amipsia che con la Damigiana e il Conno avevano battuto Aristofane nell’agone. L’autoelogio del coro, in particolare negli Uccelli e nelle Tesmoforiazuse (v. supra), si sviluppa in armonia con il tema che innerba la trama della commedia. Secondo Sifakis (1971, 66- 67), le parabasi di Uccelli e Tesmoforiazuse sono prova del fatto che Aristofane intenda rivisitare la forma tradizionale della parabasi sostituendo l’apologia del poeta, che di norma era offerta dagli anapesti della sezione astrofica, con l’apologia del coro, anticipata rispetto alla sizigia epirrematica, sua sede naturale (ma cfr. le obiezioni di Mastromarco 1987). Con ogni probabilità, però, a determinare la natura personale o meno della parabasi sono ragioni legate alla drammaturgia delle singole commedie: ad esempio, nella fase che dagli Acarnesi giunge alla Pace, inducono Aristofane all’apologia di se stesso esigenze contigenti legate all’impegno civile, come l’azione giudiziaria intentata da Cleone nel 426 e la morte improvvisa di Cleone nel 422, o alla sua carriera teatrale, come l’esordio alla regia nel 424 o la bruciante sconfitta delle Nuvole nel 423 [cfr. Imperio (2004, 72)].
L’aspetto scommatico della parabasi non sembra da ricondurre in modo esclusivo alla pur ovvia parentela con la tradizione giambografica [cfr. Rosen (1988, p. 21)], come mostra la rappresentazione di Cleone-Tifone nelle Vespe (1029-1035) che, pur in pieno registro giambico, riecheggia elementi dell’epos di Esiodo e della poesia corale tardo-arcaica [cfr. Mastromarco (1989) e Zanetto (2001, 68- 71)]. Allo stesso modo, le epiclesi delle Muse e di altre divinità che di norma sono presenti nelle sizigie epirrematiche richiamano forme e motivi degli ὕμνοι κλητικοί, della lirica corale, delle parti liriche della tragedia (cfr. Fraenkel 1962, 191-215).
Mario Regali @ 2016