L’erudizione antica ha posto l’accento su diversi aspetti della parabasi: in particolar modo, l’attenzione della tradizione esegetica si è concentrata sulla partizione della parabasi, sulla struttura metrica delle sue singole parti e sui segni diacritici atti a evidenziarle, sui movimenti del Coro al momento della performance, sul valore di questo momento scenico. Per quanto concerne la struttura della parabasi (cfr. Hubbard 1991, 17-23 e Imperio 2004, 3-11), essa, per essere definita ‘perfetta’ (τελεία, cfr. schol. Ar. Nu. vet. 510a, rec. 518c, Pax vet. 729a), come nel caso dei Cavalieri e delle Vespe, deve constare di 7 parti (cfr., in particolare, Heph. 72,17-73,10). Dapprima, vi è il kommation (ossia «piccola parte»), spesso in metri lirici, che segna l’inizio della parabasi: di sovente, l’uscita dalla scena degli attori è indicata tramite il saluto ἴθι χαίρων (cfr. Ar. Eq. 498, Nu. 510, V. 1009, Pax 729); seguono gli anapesti, detti anche – con omonimia rispetto alla partizione della Commedia – parabasi, generalmente in tetrametri anapestici; viene poi il makron, solitamente in dimetri anapestici, detto così perché, almeno secondo Efestione, tale sezione appare più lunga di quanto effettivamente sia, poiché è pronunciata apparentemente ἀπνευστί, ovvero senza che il Coro prenda fiato. Queste tre parti della parabasi sono dette τὰ ἀπολελυμένα, «sezioni sciolte» (ο ἁπλᾶ «semplici», cfr., ad esempio, schol. vet. Ar. Nu. 510a), ossia senza corresponsione strofica: le parti che seguono, invece, sono in corresponsione e vengono chiamate complessivamente syzygia epirrematika (cfr., ad esempio, schol. Ar. Nu. vet. 563a), che consta di un melos (secondo Efestione, solitamente di 16 versi), seguito da un epirrema in tetrametri trocaici, e dalla relativa antistrofe, seguita da un antepirrema (cfr. Martinelli 1997, 33 s.). Questa struttura si ritrova anche nella cosiddetta parabasi seconda, δευτέρα, o finale, τελευταία (cfr., rispettivamente, schol. Ar. Av. vet. 1058 e Nu. vet. 554a), che presentano analogie formali e contenutistiche con le prime parabasi (cfr. Totaro 2000, 3-25).
Tale struttura parabatica, comunque, scompare con la fine della Commedia Antica, tanto che le superstiti commedie di Aristofane ascrivibili al IV secolo, Ecclesiazuse e Pluto, non presentano più questa sezione (cfr. Imperio 2004, 19 s.). Uno scolio recetius al v. 626 del Pluto è indicativo a questo proposito: esso nota, in effetti, come, dopo tale verso, debba esservi la sottoscrizione χοροῦ, cioè «parte del Coro», atta a indicare che coreuti debbano disporsi in mezzo all’orchestra, per dare il tempo a Cremilo e Blepsidemo di portare Pluto da Asclepio per fargli riacquisire la vista. Lo scolio sottolinea che ciò non è affatto illogico, ma che è perfettamente conforme all’uso della Commedia Nuova, nella quale la parabasi è scomparsa. La struttura della parabasi sembra ricalcare le modalità di esecuzione di questa parte della Commedia Antica: ogni sezione della parabasi, infatti, corrisponderebbe a una della 7 evoluzioni che il Coro compierebbe nel corso di questo momento scenico, rivolgendosi una volta verso gli spettatori che si trovano a sinistra della cavea, una volta a destra (ὁ χόρος ἑπτάκις στρεφόμενος πρὸς ἀμφότερα τὰ μέρη τοῦ δήμου ἑώρα, cfr. Tz. Proll.Com. 1,127-28). In sostanza, secondo Tzetzes (ibid. 119-139), il Coro comico, dopo essere entrato nell’orchestra (cfr. parodos) e aver dialogato con gli attori, rivolgerebbe lo sguardo verso la scena. Altre fonti offrono un quadro più particolareggiato e preciso, mostrando come il Coro cambi essenzialmente posizione rispetto a quella assunta a partire dalla sua entrata in scena fino alla parabasi e vada a posizionarsi al centro dell’orchestra. Secondo Efestione (72,11-16), in effetti, i coreuti avanzerebbero (παραβαίνω, donde παράβασις), stando in piedi gli uni di fronte agli altri; gli scoli ad Aristofane (cfr. schol. Ar. Eq. vet. 508b, Nu. vet. 510a, rec. 510c, 518b, Pax vet. 734b, Suda π 282), del resto, spiegano che i coreuti sono soliti procedere verso il centro dell’orchestra, schierandosi in file e disponendosi in formazione quadrata; fatto ciò, essi rivolgerebbero lo sguardo verso l’orchestra, notazione che contrasta con Tzetzes, secondo cui, come si è visto, essi guarderebbero la scena. Ciò che è essenziale, comunque, è che, durante il suo spostamento verso il centro dell’orchestra, il Coro non pare guardare gli spettatori: data la formazione quadrata e il fatto che i coreuti sono gli uni di fronte agli altri, è forse presumibile che essi guardino il centro dell’orchestra. In fine, i coreuti rivolgerebbero lo sguardo al pubblico e pronuncerebbero la parabasi (Heph. ibid., Suda ibid., Tzetzes, ibid. 121), facendo le evoluzioni di cui sopra. Conclusa la parabasi, sembra che il Coro si volga e torni nella posizione precedente.
Se gli scoli danno un quadro più o meno esaustivo riguardo agli aspetti coreografici della parabasi, non offrono elementi così certi sull’aspetto musicale e più segnatamente performativo (su questo, si veda Hubbard 1991, 17-23): ad ogni modo, non è privo di interesse come lo scolio vetus Ar. Av. 682b, che si occupa del valore del verbo κρούειν, «percuotere, far vibrare» (usato propriamente per κιθάρα), indichi che la parabasi fosse solitamente accompagnata dall’αὐλός. Per quanto riguarda la funzione della parabasi, negli scoli (Ar. Eq. vet. 508b, Pax vet. 734b, Ra. vet. 686) e nella Suda (π 282) si evidenza innanzi tutto come essa rappresenti una sospensione della finzione scenica: qui il poeta, per mezzo del Coro (ma gli scoli, in alcuni casi, sembrano ritenere che sia il poeta in persona a parlare, cfr. Ar. Nu. rec. 518ac), offre consigli agli spettatori o, a volte, si rivolge ai giudici perché gli diano la vittoria nell’agone teatrale (cfr. Ar. Av. vet. 682). È questa, oltretutto, la sede per una satira graffiante: lo scolio vetus 1274a ai Cavalieri, in effetti, afferma che il λοιδορεῖν, l’«ingiuriare», sia una parte della parabasi, in questo caso la seconda parabasi della commedia in questione, che attacca Arifrade, definito dal Coro πονηρός, «depravato».
Negli scoli restano tracce dei successi e degli insuccessi che le commedie di Aristofane hanno avuto, con interessanti notazioni sulle parabasi. Della parabasi delle Rane, infatti, l’Argomento 1,29 s. ricorda come essa fu talmente apprezzata dal pubblico che fu rappresentata una seconda volta, come attesta Dicearco (fr. 84 Wehrli); di minore successo furono le Nuvole, di cui Aristofane approntò una seconda versione (cfr. l’Argomento 2,1 s.): lo scolio vetus 520, a tal proposito, nota come la parabasi delle Prime Nuvole fosse diversa da quella delle Seconde Nuvole. Gli scoli ad Aristofane, infine, pongono una notevole attenzione alle questioni editoriali connesse con la mise en page della parabasi, in particolare ai σημεῖα, «segni», da apporre sul testo. Al riguardo, fornisce una ottima summa Efestione (75,19- 76,2): per quanto concerne le prime tre sezioni della parabasi – quelle prive di corresponsione metrica, ossia il kommation, la parabasi (i.e. gli anapesti) e il makron (i.e. lo pnigos) – si pone in correlazione di ciascuna una paragraphos (corrispondente al seguente segno: _ ). Tale indicazione, comunque, è apposta anche al melos e all’epirrema, qualora non vi sia nulla in corresponsione, ovvero nel caso in cui nella parabasi manchi l’antistrofe e/o l’epirrema. Nel caso in cui vi sia la responsione, in corrispondenza dell’epirrema si pone una diplè che piega verso l’interno (>), mentre è apposta all’antepirrema una diplè che piega verso l’esterno (<).
Stefano Caciagli © 2016