Gallo nella ricezione

L’immagine del gallo (per lo più ἀλεκτρυών in prosa e ἀλέκτωρ in poesia) sembra subito centrale a partire dal V-IV secolo, nella produzione letteraria, condizionata e mediata in parte dalla resa dell’animale proposta dalla Archaia. Gli elementi più ricorrenti nella presentazione dell’uccello sono il canto mattutino inteso quale indicatore cronologico nel corso della giornata (ad esempio Nuv. 3) e la sua rissosa litigiosità o il suo carattere combattivo (Eq. 00), secondo un’idea che emerge già dalla XII Olimpica di Pindaro (14) dove il vanto dei piedi di Ergotele avrebbe sparso foglie ingloriose sul focolare avito come un gallo domestico, ἅτ’ ἀλέκτωρ, se le lotte intestine di Cnosso non lo avessero allontanato da Creta. Ma non solo: già in Teognide (861-864) la finta giovane etera propone di trasformarsi nel gallo della buona ora [a riguardo Ferrari (2000) 216-217], mentre nel V ditirambo di Bacchilide (…) il canto del gallo coincide con la voce della sonora di Urania [Nünlist (1998)115]; infine Eschilo nelle Eumendi (858) propone l’associazione tra la rissosità dei galli e le lotte intestine. Rilievo speciale ha infine la favola esopica alla quale Aristofane allude negli Uccelli (…), nelle Rane (…) e nelle Vespe (…). Qui il gallo, di nuovo associato al canto quotidiano, è spesso un esempio di animosità combattiva o di un animale che accoppiandosi con sorelle e madri si macchia di immoralità (fab. XII). La superiorità del gallo tra gli uccelli che invece è un motivo centrale negli Uccelli nella ricostruzione storica delle origini proposta da Pisetero (483-488) sembra aver influenzato la riflessione stoica (ad esempio Clearco fr. 00 von Arnim per il quale il gallo come il toro è un animale regale) e, come vedremo, Luciano nel dialogo il Gallo o il sogno.

 

Il Gallo nel dialogo di Platone.

Più volte Platone ricorre all’immagine del gallo a partire dal Cratilo dove è fatta allusione a coloro che imitano le pecore e i galli e ogni altra sorta di animale (423b3) nell’esame del nome inteso come suono- imitazione di ciò che un uomo vuole indicare; nel Teeteto (164c4-5), Socrate afferma che come un gallo comune ormai assieme a Teeteto rischia di cantare vittoria prima della conclusione del ragionamento, φαινόμεθά μοι ἀλεκτρυόνος ἀγεννοῦς δίκην πρὶν νενικηκέναι ἀποπηδήσαντες ἀπὸ τοῦ λόγου ᾄδειν, mentre nel Liside (211c10), Socrate preferirebbe possedere un vero amico piuttosto che un gallo o una quaglia, animali addestrati per combattere, καὶ βουλοίμην ἄν μοι φίλον ἀγαθὸν γενέσθαι μᾶλλον ἢ τὸν ἄριστον ἐν ἀνθρώποις ὄρτυγα ἢ ἀλεκτρυόνα, visto che si sente φιλέταιρος. La stessa associazione tra il gallo e la quaglia, peraltro, torna anche nell’Ippia maggiore quando Socrate distingue la bellezza di un corpo a seconda delle sue abilità; un σῶμα appare καλόν o per la corsa o per la lotta, così come un ἵππος, un ἀλέκτρυων o una ὄρτυξ (295d). Secondo un’immagine ricorrente nella commedia, poi, il canto del gallo è evocato nel Simposio per indicare il sorgere del sole (223c2), quando Socrate, Agatone e Aristofane prendono parte alla discussione finale nel dialogo, atta a definire il profilo del migliore poeta che deve essere in grado di comporre tragedia e commedia allo stesso tempo [Rowe (00) 0]. E’ molto presto, è quasi giunta la mattina, cantano i galli per annunciare il risveglio, ἐξεγρέσθαι δὲ πρὸς ἡμέραν ἤδη ἀλεκτρυόνων ᾀδόντων: mentre tutti i convitati rimasti nella ricca dimora di Agatone dormono, nella sala del banchetto, bevono dalla grande coppa e continuano a discutere solo Socrate, Aristofane e il padrone di casa. Di non poco rilievo appare, infine, la presenza del gallo nel Fedone. Al termine del dialogo, ultima tappa del romanzo biografico su Socrate [Erler (00) 0], Socrate in punto di morte avverte i primi sintomi della pozione sul suo corpo e, ormai infermo, rivolge agli amici poche parole, una sorta di testamento morale. Sdraiato sul letto a Critone chiede di sacrificare un gallo ad Asclepio (118a5-8). Molto la critica ha discusso sul finale allusivo e problematico del Fedone e sulla scena del gallo [Clark (00) e Most (1994) 00 al quale si oppone Crookc (1998) 00], ravvisando a) un influsso pitagorico nella scelta di un sacrificio da parte di Socrate che tuttavia confligge con il divieto pitagorico ricordato da Diogene Laerzio (Vit. VIII 83) di uccidere e mangiare il gallo bianco, considerato sacro al Sole [a riguardo …]; b) la testimonianza della pietas socratica in antitesi ai capi di accusa scelti da Meleto e da Anito. A ben vedere, tuttavia, la presenza di questa richiesta ben si inserisce nelle caratteristiche del dialogo nel quale convengono e convivono gli aspetti tipici di una tragicommedia. L’ultimo giorno di Socrate è descritto nel continuo segno del riso e delle lacrime versate dai φίλοι raccolti intorno all’uomo più giusto e assennato che sia mai esistito [Rowe (00) 00]. La richiesta di Socrate in questo modo può essere interpretata come una significativa testimonianza del carattere nobilissimo del filosofo che, ancora in punto di morte, non rinuncia a lasciare una traccia della dedizione verso l’uomo, lasciano ai posteri il canto dell’uccello che sveglia e tiene desti gli esseri umani giorno dopo giorno. Le allusioni al gallo in Platone, dunque, possono essere intese come un recupero di una figura di particolare peso sulla scena comica, a sua volta già presente nella tradizione letteraria con doti e funzioni canoniche. Platone riprende questo motivo e lo adatta via via al tema del dialogo sino a rendere il gallo ad un tempo la tessera fondamentale nella consacrazione di Socrate in punto di morte nel Fedone.

 

Litigiosità del gallo

Una caratteristica cruciale del gallo è il suo carattere estremamente combattivo che peraltro si evidenzia anche nelle gare pubbliche condotte dall’uccello tipiche dei teatri ad Atene. Il combattimento dei galli sarebbe il risultato di una legge varata da Temistocle dopo le guerre persiane perché, come racconta Eliano nella Varia Historia (II 28), prima della battaglia di Maratona il comandante ateniese, vedendo combattere dei galli, avrebbe preso tale visione come un segno ben augurante. Il motivo è ben recepito e sfruttato da Aristofane nelle Nuvole nelle quali secondo lo scolio al verso 889 è probabile che durante l’agone il discorso più forte e quello più debole fossero rappresentato da due attori travestiti come galli [Fowler (00) 00]. Ma non solo: sempre nelle Nuvole Fidippide invita Strepsiade a guardare come i galli e gli altri uccelli siano in grado di litigare con i padri e di tenere testa nelle dispute nei loro confronti (1421-1429). A queste parole Strepsiade sprona il figlio ad imitare i galli, secondo un’immagine che torna anche nel Cratilo, e a vivere sui trespoli e a nutrirsi di sterco (1430-1431). Nei Cavalieri (493-497), inoltre, il servo offre da bere una pozione che tempra il cavaliere e ricorda al padrone di mordere, attaccare e mangiare le creste, come fanno i galli. L’immagine del gallo litigioso e scontroso, dunque, appare nota e ben strutturata nella commedia. Senofonte, ad esempio, nel Simposio (IV 9) ricorda che il soldato prima di combattere deve mangiare una cipolla come fanno coloro che allevano i galli da combattimento ai quali è offerto come cibo un po’ di aglio prima della gara. Non sorprende, per tutto ciò, che Platone nelle Leggi (VII 789b) alluda ali combattimenti tra piccoli uccelli – senza dubbio galli – allevati sia dai giovani sia dai vecchi a Creta. Inoltre una prova indiscutibile del carattere ingiusto di Conone è ravvisata da Demostene nella Contro Conone (9, 4-6) nel fatto che l’Ateniese era in grado di imitare i combattimenti dei galli, ᾖδε γὰρ τοὺς ἀλεκτρυόνας μιμούμενος τοὺς νενικηκότας, οἱ δὲ κροτεῖν τοῖς ἀγκῶσιν αὐτὸν ἠξίουν ἀντὶ πτερύγων τὰς πλευράς.

 

Aneddoti sul gallo

Prove più evidenti dell’influenza comica in merito al gallo derivano dall’aneddotica. Nelle Vite dei Filosofi di Diogene Laerzio, ad esempio, è possibile scorgere una serie di aneddoti che hanno quale protagonista il gallo o che sono incentrati sul valore paradigmatico di questo uccello. Forse è verosimile ravvisare nel tono e nell’ambientazione di questi aneddoti un’influenza comica – della Mese? – soprattutto per il carattere etico del plot e per l’interesse nei confronti della figura dell’intellettuale [Imperio (00) 00].

Vit. I 51> Φασὶ δέ τινες ὅτι κοσμήσας ἑαυτὸν ὁ Κροῖσος παντοδαπῶς καὶ καθίσας εἰς τὸν θρόνον ἤρετο αὐτὸν εἴ τι θέαμα κάλλιον τεθέαται· ὁ δέ “ἀλεκτρυόνας,” εἶπε, “<καὶ> φασιανοὺς καὶ ταώς·

φυσικῷ γὰρ ἄνθει κεκόσμηνται καὶ μυρίῳ καλλίονι.” E’ qui narrato l’arrivo di Solone presso Creso: un Creso tutto imbellettato si mostra a Solone seduto sul trono e gli chiede se mai l’Ateniese abbia visto uno spettacolo più bello di quello. Solone risponde che più bella di quella visione è certamente la visione dei galli fagiani e dei pavoni perché sono adornati di un fiore naturale, di gran lunga molto più avvenente di quello artificiale che mostra Creso. La società degli uccelli ideale e idealizzata negli Uccelli di Aristofane sembra essere alla base del confronto tra una natura artificiale e una natura genuina e pura, priva di abbellimenti di sorta.

Vit. II 30 Ἐπῆρε δὲ καὶ εἰς φρόνημα Ἰφικράτην τὸν στρατηγόν, δείξας αὐτῷ τοῦ κουρέως Μειδίου ἀλεκτρυόνας ἀντίον τῶν Καλλίου πτερυξαμένους. καὶ αὐτὸν Γλαυκωνίδης ἠξίου τῇ πόλει

περιποιεῖν καθάπερ φασιανὸν ὄρνιν ἢ ταώ. Socrate invita lo stratego Ificrate all’assennatezza e al coraggio e indica come paradigma palese i galli del barbiere Midia che sbattono le ali in un combattimento contro quelli di Callia. La scelta di Socrate sembra ribaltare un giudizio di Glauconide che aveva criticato Ificrate, dicendo che lo stratego non era utile alla città come il gallo fagiano e il pavone.

Vit. VI 40 Πλάτωνος ὁρισαμένου, Ἄνθρωπός ἐστι ζῷον δίπουν ἄπτερον, καὶ εὐδοκιμοῦντος, τίλας ἀλεκτρυόνα εἰσήνεγκεν αὐτὸν εἰς τὴν σχολὴν καίφησιν, “οὗτός ἐστιν ὁ Πλάτωνος ἄνθρωπος.” ὅθεν τῷ ὅρῳ προσετέθη τὸ πλατυώνυχον.

È qui presa di mira la definizione che Platone offre di uomo come essere vivente bipede e senza piume. Diogene avrebbe spellato un gallo e lo avrebbe gettato nell’Accademia, dicendo che si trattava dell’uomo di Platone. A quel punto Platone dovette aggiungere alla sua definizione di uomo anche l’aggettivo πλατυώνυχον “con l’unghia piatta”. La patina comica può essere individuata nel tema generale dell’aneddoto simile per alcuni aspetti alla scena della diairesis sulla zucca ideata da Epicrate e ambientata in Accademia(fr. 10 K.-A.), nel gioco paretimologico tra il nome di Platone e l’essere vivente πλατυώνυχον, nella scena che l’aneddoto propone nella scuola di Platone, nonché in un generale interesse per la figura del filosofo deriso da un rivale in merito a problemi apparentemente seri e elevati ma facilmente attaccabili e paradossali.

 

Il gallo o il sogno di Luciano

Un discorso a parte può essere proposto per il Gallo o il Sogno di Luciano, un dialogo nel quale confluiscono molteplici suggestioni letterarie (commedia, diatriba moraleggiante, dialogo) e numerosi influssi filosofici. Nel Gallo articolato in due parti [Consonni (1994) 00] l’aspetto comico-burlesco è presente sin dall’inizio quando il povero ciabattino Micillo si sveglia all’improvviso a causa del canto del gallo di buon mattino e perde la ricchezza che aveva in sogno. Il gallo a poco a poco dimostra di non essere un semplice uccello ma la reincarnazione di Pitagora e insegna al ciabattino attraverso una complessa dimostrazione che la ricchezza è la vera causa dei molti mali che affliggono gli uomini. Al termine del dialogo non a caso Micillo rinuncia al suo amore per il denaro e sembra accontentarsi di una successiva discussione con l’uccello. Tra gli elementi che hanno una probabile ascendenza comica in questo dialogo che influenzò il Cantico del gallo silvestre di Leopardi (che non a caso inizia con l’invito del gallo rivolto agli uomini in canto a riprendere la sofferenza della vita) è possibile evocare la lunga scena nella quale il gallo ricorda di essere stato un re. Sotto questo aspetto Luciano sembra essere debitore degli Uccelli (483-484) anche se il modello comico è presto superato perché la primigenia superiorità degli uccelli ravvista da Aristofane per Luciano è un impressionante carico di impegni e di sofferenze. Quando il gallo era re, infatti, non aveva una vita felice come pensa Micillo, perché come tutti i potenti e i ricchi doveva pensare a questioni complicate. Il gallo paragona la sua esistenza regale alle statue di Fidia e di Mirone che fuori rappresentano divinità costruite con oro e avorio ma all’interno sono piene di chiodi, di cunei e di pece.

Dino De Sanctis © 2016